Io sono molto
legato a questo disco. Da qulche anno avevo finito di comprare ed
esplorare tutto il KJ per piano solo (compreso cofanetto sestuplo in
vinile) e iniziavo a conoscerne i dischi in trio, nei quali cercavo
e a volte ritrovavo il suo stile da solista. Poi arriva - come un
fulmine - La Scala.
Ha anche una bellissima copertina, semplice, un tableaux gris et
bordeaux, un carattere aggraziato (Bodonì?) al posto del classico
bastoncino ECM, si intona
con il contesto, ne anticipa l'atmosfera. Trattasi di un concerto di
improvvisazioni del 1997, sull'onda di Koln, Paris e Vienna. Per la
cronaca, la tecnica digitale ha consentito di tagliare e far entrare
tutto il concerto in un cd esatto, al minuto, senza che si senta
alcunché.
Parte I, inizia sul classico come Vienna, semplice, pennellato, tre
accordi e poche variazioni, sono sempre gli stessi intervalli, gira
e rigirano, poi varia sempre un po', piano, lentamente, ma è sempre
quello. Pennellato, una mano destra che vale 100, mille volte il suo
peso in oro. Arriviamo così a 12, 13 minuti dall'inizio che iniziano
delle piccole scale discendenti sui tasti alti, con un bel concio di
imposta a 13:50 e la (s)volta a 14:08. Non si cambia ritmo stile o
strumento, ma il registro e l'ambiente intorno non sono più quelli
di prima. Si scende in cantina, al buio, la mano sinistra attacca il
(solito) basso ostinato. Tanto che a 16:00 mi chiedo come fa, mano
destra e sinistra ha due emisferi incomunicanti nel cervello,
evidentemente). Lo si sente (Keith) battere i piedi e canticchiare,
scende sempre più in basso, nei sotterranei, sino alla fine, a
20:35.
Pausa.
Resta solo una mano, la destra. va piano, poi si aggiunge la
sinistra, il basso ostinato ritorna, un treno lento ma pesante,
sbuffa vapore, scalcia e sferraglia, poche pennellatefino a 33:35,
di nuovo pausa. Stavolta riprende mano strutturato, con un suco
cembalesco delle note basse, e ricomincia.
Ma subito si cambia, ancora, e vola via con lo stile del KJ
classicoide, bachiano e melodioso di 41:00, aperto, solare, brezza
marina, narici piene di odori e fino alla soluzione di tutto, un
giro blueseggiante ma bellissimo, 41:40 (ripreso a 42:50), finchè si
spegne, così come era iniziato, anche suonando il nastro al
contrario, pare che funzioni sempre, tutto.
Part II è tutt'altro. Free, improvvisazione dura e martellante,
dissonante, nonostante un temino country, sembra riprenda qualche
pezzo dal trio scandinavo.
Martellate sui tasti bassi, poi trilli, pause, scaloni discendenti e
sparacchiate, ma di nuovo si apre tutto, inaspettato, in mezzo agli
arpeggi (da 12:45),
schiarisce, profuma di casa. Di nuovo, un tema lento, italiano,
misuratissimo e pulito, lungo e bello, piacevole, e continua così
per 12 minuti, fino a 24:30, dove i neuroni impazziscono, escono dai
tasti e infilano delle scale impossibili per la velocità, pausate e
(notare), ritmatissime. Finisce così, dopo un impazzimento folle,
appunto, e inspiegabile, con un secondo di silenzio.
Over the rainbow è bella di suo, ma qua diventa immortale (il
giudizio è mio). Il motivo è tutto qua, semplicissimo: la suona
Keith Jarrett, e dal vivo. Non serve dire niente di più. E infatti è
così, immortale.
(Gnappolo,
05/07) |