Non me ne voglia
l'inviatore (massimo rispetto, lunga vita a lui) ma anche questo
disco scivola via senza amore e discrete dosi di fastidio. Anni
ottanta, imbrogli, groppi compositivi e poche vie d'uscita.
L'ennesimo figlio di John Zorn o nipotino di Zappa che si mette a
fare canzonette, o un cagone che decide di darsi un tono colto? Non
passa l'esame del primo ascolto (fin troppo).
(Gnappolo,
06/07)
Fra le infornate di indie
(a sapere cosa mai sia, poi) che mi portano tutte le perplessità
possibili, roba da stare davanti al lettore a chiedersi perché,
ecco, finalmente, qualcosa che mi fa venire voglia di ripetuti
ascolti.
Le ultime recensije le ho scritte volutamente senza guardare nulla
in rete, nemmeno foto e, quindi, anche di Bobby non so assolutamente
nulla, nemmeno che faccia abbia.
Però, ascoltando The Homeland, so alcune cose.
Allora, intanto si mescola parecchio, passando con disinvoltura dal
rock piuttosto potente al funky, direi praticamente anche alla
disco. Poi, non so, a volte mi pare di sentire odore di psichedelia
o di progressive, ma è più che altro una spezia.
E poi, Bobby, sa cantare, grazieaddio sa cantare. Certo, spesso è
piuttosto teatrale, ma mi pare che lo faccia sapendo il fatto suo.
(Pazoozo,
08/07) |