Per non saperne
molto, devo commentare restando sulla scia del precedente, rispetto
al quel resta un caleidoscopio (poco psichedelico) di country e folk
rock, ma alla fine meno texmex e più lento.
Lento per lento, l'inizio della 1 (Im through) è un meraviglioso
incipit, voce e melodia a metà tra Cat Stevens e la ballad
semplice-semplice, cresce poco, solo cambia timbro e lascia spazio
ad una chitarrina romaaantica, proprio da lenti delle medie,
interrotta dai canonici 4 colpiditom. Alla fine ok, ci da un po'
dentro, lingua in bocca e coretto doppiato. La scelta di come
iniziare un disco è un po' fortina. La due prosegue sulla china del
melodioso corettato slogan (Stay inside), ma per fortuna arrivano 3
e 4, in realtà in piena deriva country-bifolco-da-bar (provare per
credere, il testo di "Girl's say", dialogo tra adolescenti sessuandi).
Fin qua e anche oltre, purtroppo è tutto così. Poca verve, deriva
romantic-country, ballo di fine anno in tuxedo, ragazze boccolute e
l'anno dopo mamme chiattone, giocatori di football, ma alla fine
c'ha il suo fascino. Un po' come essere dei ragazzi anticonformisti
poco capaci e molto incompresi, nella squallida provincia americana
del southwest. Non resta che spararsi una fucilata sotto i piloni
del ponte, ma poi finisci sul giornale!
Unico lampo di genio mi pare 2nd floor (l'ultima), in cui si
mescolano chitarrone e una voce stiracchiata all'infinito che
nemmeno Eddy Vedder dei Pearl Jam, grandi e lunghe note, fraseggi
avvolgenti, ma ecco, nonostante le chitarrone e l'armonica in stile
NY+CraszyHorse, non è che sia proprio un capolavoro memorabile...
Sfortunatamente deludente.
(Gnappolo,
05/07) |