le allegre nonché inutili guide di trivigante.it: il MUCRI di Roma
MUCRI sta per Museo Criminologico di Roma e questa guida sta per “andatelo a vedere se siete nei paraggi”. Perché qui si parla di Lombroso, di camicie di contenzione, di tortura, di confessioni estorte, di delitti efferatissimi, di falsi, di pornografia, di biscotti, di celle sotto il livello del mare, di attentati, di penitenziari e di crudeltà. Ovvero, c’era un tempo nel quale il carcere era fatto per pagare, pagare sonoramente, il cosiddetto “debito con la società”, nel quale l’idea di concedere un recupero ai condannati non era nemmeno all’orizzonte e nel quale si veniva giudicati dalla faccia. Impressionante.
Il Museo è in centro, vicino a via Giulia, e sebbene sia piccolino contiene una quantità notevole di reperti e documenti che testimoniano come il sistema carcerario abbia fatto passi giganteschi, sì, ma solo negli ultimi decenni. Prima, Lombroso: ovvero, se sei brutto non solo ti tirano le pietre ma di certo sei un criminale, un delinquente, e per te c’è solo la galera. E una volta morto, il delinquente viene sezionato e il cranio svuotato, così che è possibile ricercare le conformazioni ossee del crimine. E se uno cerca con convinzione, di solito trova.
Fin da quando mi interessai di Passannante (qui, 19 giugno) mi ero ripromesso di visitare il Museo ed ora, ecco la guida.
Dunque, sia chiaro: non è solo la visita alla galleria degli orrori, è anche quello, ma è più interessante per la prospettiva che spalanca, dimostrando come da poco il concetto di diritto del detenuto sia entrato a far parte della nostra legislazione e della nostra etica. Per esempio, un reo di regicidio (Bresci, Caserio) non era differente da un attentatore alla salute del re (Passannante), e la pena: finire in una cella alta mezzo metro all’isola d’Elba, con l’acqua del mare che entra per metà. Quindici anni, a sopravvivere mangiando scarti misti a feci e sale, e poi il manicomio criminale, se uno aveva molto molto culo, a fare elettroshock e a pigliar botte. Ma erano anarchici, si sa, e quindi colpevolissimi (qui a destra gli effetti personali di Bresci).
Poi, i delitti efferati di un’epoca in cui le notizie duravano tanto: Leonarda Cianciulli, per esempio, che fece delle sue vicine di casa biscotti squisiti e saponette grasse, e che nel 1946 venne condannata, ancora, sulla base delle teorie lombrosiane. Nel museo le pentole e i coltellacci usati dalla saponificatrice per i delitti e la cucina seguente. E i delitti che fecero scalpore, Montesi, Bellentani, Graziosi e così via, per fatti d’amore, di gelosia o di soldi. Poi i delitti politici e mafiosi: Giuliano, Pupetta Maresca, per dirne due, anch’essi tutti repertati nelle sale del Museo con oggetti e documenti. Pistole, pistolone, fucili, mitra, coltelli, pistoline con il manico d’avorio, tagliacarte, sassi, abat-jour, accette, raffinatissimi punteruoli d’osso, insomma tutto fa assassinio.
E lì ci sono, come da foto degli arnesi e delle vittime della Cianciulli.
Oppure, le riviste proibite perché sporcaccione: sembrerà paradossale ma le copertine degli anni Cinquanta sono incredibilmente più pornografiche di quelle odierne, quelle poche che restano nelle edicole. Il tempo, talvolta, va al contrario.
Oppure, ancora, la strepitosa serie dei falsi, concentrati in tre sale: i quadri, nei quali vince decisamente De Chirico (il quale, negli ultimi anni, faceva da solo i falsi di sè stesso); i soldi (strepitose le banconote da 5 lire cui il falsario aveva aggiunto uno zero a penna per decuplicarne il valore); i cd e i dvd, che ci riportano a tematiche attuali. E la ricettazione, con vasi e reperti storici recuperati per il rotto della cuffia in aeroporto o alla dogana.
Un caso particolare, di cui non avevo mai sentito parlare: il baule della spia. Nel 1964 a Fiumicino la polizia sequestrò un baule diplomatico dal quale uscivano dei lamenti. Non fecero in tempo a decidere che fare che due uomini, arabi, presero il baule, lo caricarono su un furgone e si diedero alla fuga. Dopo pochi chilometri di inseguimento, il furgone si rovesciò e cadde fuori il baule: dentro si trovava, narcotizzato, Mordechai Louk, di professione spia israeliana. Pare un film piuttosto scarso e invece no, pare inverosimile e invece il baule è quello qui a fianco.
Il Museo pare preferire i reperti di delitti non recenti, pare tutto si sia fermato agli anni Sessanta, o primi Settanta: nessuna traccia di polizia scientifica, di impronte, di computers, di luminol e così via. Forse si tratta di una scelta lungimirante, di certo impedisce ai volonterosi dei nostri tempi di ritagliarsi, con le proprie gesta, uno spazio nel museo dedicato.
Quindi, un consiglio: non ci provate, tanto non ci mettono nessuno di attuale. Magari il museo delle navi in bottiglia, forse lì.