qualche nota su Tim Walz

Còmala Harris ha scelto un po’ a sorpresa come candidato vicepresidente Tim Walz. Io avrei scelto Kelly, scommesso su Shapiro, grazie per non avermi consultato e, ora, direi: ottima scelta.

Oltre a Walz, i candidati favoriti sembravano essere il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro e il senatore dell’Arizona Mark Kelly, entrambi principalmente per il fatto di provenire da swingin’ States, cioè Stati in bilico nel voto. Sulla base dei sondaggi, però, nessuno è risultato determinante e alla fine Harris ha scelto più in base alle affinità personali che ai numeri. Domenica tutti e tre sono stati invitati a Washington D.C. per incontrare separatamente Harris, in quello che è stato descritto come un «test di chimica», per valutarne l’affinità personale.

Il ruolo del vicepresidente è complicato e spesso ingrato e, senza dubbio, deve portare esperienza e capacità ma senza mai rubare la scena al presidente. Per questo motivo Shapiro è stato scartato, è sembrato restio a lasciare la propria carica di governatore, non ha mai nascosto le proprie ambizioni presidenziali e si è espresso pubblicamente a favore di Israele, alienandosi la sinistra del partito. Kelly sembrava adatto ma, come detto, probabilmente ha mostrato meno sintonia con Harris.

Oltre all’affinità personale, Walz ha 60 anni, è l’attuale governatore del Minnesota, è presidente dell’Associazione nazionale dei governatori Democratici, è noto e stimato anche negli ambienti politici del Congresso ed è uno dei principali politici Democratici nella zona del Midwest, che include importanti stati in bilico tra cui anche il Michigan e il Wisconsin. Ha idee progressiste vicine alle sensibilità Democratiche, un atteggiamento alla mano e ottime capacità comunicative. Nel suo curriculum ci sono 24 anni nella Guardia Nazionale degli Stati Uniti, la principale forza militare di riservisti dell’esercito, insegnante nella scuola superiore, allenatore di football e deputato al Congresso per più di dieci anni, tra il 2007 e il 2019. Sostenitore del diritto all’aborto, della legalizzazione della marijuana a scopo ricreativo e di maggiori controlli sul possesso di armi da fuoco.

Fino a poco fa Walz non era un politico particolarmente noto fuori del Minnesota. Le cose sono cambiate nelle ultime due settimane, durante le quali ha partecipato a varie interviste televisive in cui è apparso sempre informale e amichevole ma, anche, convinto nel criticare Trump e Vance, diventando il primo a usare l’espressione «weird», cioè “strano”, per riferirsi a Trump, a Vance e più in generale alla componente più conservatrice del Partito Repubblicano, con grande successo comunicativo.

Weirdos.

ancora Bologna, ancora il due agosto (e son quarantaquattro)

Vero, sappiamo chi, sappiamo come e perché. Sarebbe bello fosse storia, almeno, consegnata ai libri come verità storica, giudiziaria e personale di chi ha perso parenti e amici, di chi è stato ferito, di chi ha vissuto direttamente e indirettamente l’insulto e la violenza. E invece no, è vero che manca la stronzata agostana di Cossiga che dal 1980 lanciava annualmente piste diverse, ora abbiamo la seconda e la quarta carica dello stato, minuscolo oggi, che giocano con la pelle e la storia del paese e delle persone, e giù a scendere di piccolo in piccolissimo. Nessuna novità, almeno oggi non ci sono le bombe, mica detto poco. Ma la soddisfazione è davvero altra cosa.

Se, giustamente, Paolo Bolognesi dice dal palco: «Le radici di quell’attentato affondano nella storia del postfascismo italiano: Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale oggi figurano a pieno titolo nella destra italiana di Governo» la cosa ha perfettamente senso. Non ce l’ha che la presidente del consiglio Meloni risponda: «Sono profondamente e personalmente colpita dagli attacchi ingiustificati e fuori misura che sono stati rivolti alla sottoscritta e al Governo», parli di frasi «molto gravi» e aggiunga: «Ed è pericoloso, anche per l’incolumità personale». L’unica risposta è quella, ancora, di Bolognesi: «Meloni la finisca di fare la vittima». Questa destra aggressiva, bulla e sfrontata che quando viene messa in discussione si lagna e piagnucola ha veramente da finire.

un’altra settimana preoccupante in Italia: dal report UE alle liste di proscrizione de Il Giornale

Qui serve seguire e tenere memoria.
Il 24 luglio scorso, come accade ogni anno, la Commissione europea ha pubblicato il report annuale sullo Stato di diritto nei Paesi membri, il cosiddetto 2024 Rule of Law Report. Oltre ad alcune raccomandazioni, al governo italiano «è chiesto di impegnarsi nella digitalizzazione di tribunali penali e procure, di adottare la proposta legislativa in sospeso sui conflitti di interessi, di istituire un registro operativo per le lobby, di regolamentare le informazioni sui finanziamenti a partiti e campagne elettorali, di tutelare i giornalisti e garantire l’indipedenza dei media e di creare un’Istituzione nazionale per i diritti umani in linea con i principi Onu», il report esprime alcune preoccupazioni:

  • libertà di stampa ed espressione: «i giornalisti continuano ad affrontare diverse sfide nell’esercizio della loro professione» tra cui minacce e aggressioni, il report parla di settantacinque episodi quest’anno, «con una crescita di casi di intimidazione legale da parte dei politici». La Commissione europea parla anche di uno spazio civico “ristretto”, alla luce degli «attacchi verbali da parte di alcuni media e politici contro le organizzazioni, soprattutto quelle che svolgono attività umanitarie, e di episodi di violenza contro i manifestanti da parte della polizia»;
  • premierato: la Commissione europea scrive che «non sarebbe più possibile per il presidente della Repubblica trovare una maggioranza alternativa e/o nominare una persona esterna al parlamento come primo ministro». Vengono menzionati la preoccupazione di alcuni “portatori di interesse” per le modifiche proposte all’attuale sistema di pesi e contrappesi istituzionali, e i dubbi sul fatto che la riforma «possa portare maggiore stabilità». L’Italia inoltre, rientra tra i Paesi in cui «le dichiarazioni pubbliche dei governi e dei politici possano influenzare la fiducia nell’indipendenza della magistratura», e anche fra quelli in cui si nota «l’uso considerevole di procedure legislative accelerate o di decreti d’urgenza»;
  • abrogazione del reato di abuso d’ufficio: limita l’ambito di applicazione del reato di traffico d’influenza e con la separazione delle carriere potrebbe incidere sull’indipendenza della magistratura. Nella sezione relativa alla lotta alla corruzione, il report sottolinea come i cambiamenti in quest’ambito potrebbero avere implicazioni per «l’individuazione e l’investigazione di frodi e corruzione». Il documento aggiunge che «le modifiche proposte alla prescrizione potrebbero ridurre il tempo a disposizione per condurre procedimenti giudiziari per reati penali, compresi i casi di corruzione».

Věra Jourová, commissaria ai Valori e alla Trasparenza, «Esprimiamo preoccupazione per l’indipendenza e il finanziamento dei media di servizio pubblico e chiediamo alle autorità di affrontare la situazione. Sono anni che esprimiamo la necessità di tutele. Ma con i nuovi incidenti e i tagli al bilancio, questa necessità sta diventando molto urgente». Molti altri rilievi al governo italiano, basti cui la sintesi, si capisce bene l’evidente stroncatura su molteplici aspetti. È del tutto plausibile la voce che il report fosse pronto dal 3 e che si sia aspettata la conferma di Von der Leyen per inviarlo.

Quattro giorni dopo, Meloni risponde ufficialmente al report con una lettera rivolta direttamente alla presidente UE: «Le raccomandazioni finali nei confronti dell’Italia non si discostano particolarmente da quelle degli anni precedenti, tuttavia per la prima volta il contenuto di questo documento è stato distorto a uso politico da alcuni nel tentativo di attaccare il governo italiano. Qualcuno si è spinto perfino a sostenere che in Italia sarebbe a rischio lo Stato di diritto, la libertà di informazione» per poi proseguire con «attacchi maldestri e pretestuosi che possono avere presa solo nel desolante contesto di ricorrente utilizzo di fake news che sempre più inquina il dibattito in Europa. Dispiace che neppure la Relazione della Commissione sullo stato di diritto e in particolare sulla libertà di informazione sul servizio pubblico radiotelevisivo sia stata risparmiata dai professionisti della disinformazione e della mistificazione». La lettera è molto lunga, si capisce che je rode, e oltre alle mistificazioni e alle fake news, Meloni fa ricorso all’armamentario politico della colpa di qualcuno che c’era prima, arrivando fino al governo Renzi.

E siamo al 28. Il 29 la portavoce dell’UE, Anitta Hipper, dice che: «Abbiamo confermato di aver ricevuto la lettera» di Meloni e che «la stiamo valutando e in questa fase non abbiamo alcun elemento ulteriore», non precisando ulteriormente se vi sarà una risposta o meno. Da ambienti europei, traspare “sconcerto e sorpresa” sia per i toni utilizzati sia perché la lettera di Meloni è stata pubblicata prima che la presidente della Commissione la leggesse. Tutta la situazione si inasprisce e Meloni dalla Cina rincalza: «Capisco il tentativo di strumentalizzare, conosco il tentativo di cercare il soccorso esterno da parte di una sinistra in Italia che evidentemente è molto dispiaciuta di non poter utilizzare per esempio il servizio pubblico come fosse una sezione di partito, però su questo non posso aiutare proprio perché credo nella libertà di informazione e di stampa» ed evidentemente sbanda, ricordando i discorsi più retrivi di Berlusconi che se la prendeva con la sinistra. E maldestramente sostiene che i rapporti con l’UE non siano in peggioramento, contro ogni evidenza, sfiorando il ridicolo con «nessuna interferenza sulla governance Rai», mentre dall’UE precisano che: «Il rapporto è frutto di una metodologia consolidata e basata sui fatti».

Poi, però, qui si passa ai fatti: stamane, 30 luglio, Il Giornale, di fatto organo di propaganda del Governo e di proprietà del senatore leghista Angelucci, pubblica i nomi di sei giornalisti accusati di essere nemici del governo Meloni: Anna Bredice di Radio Popolare, Nello Trocchia e Francesca De Benedetti di Domani, Matteo Pucciarelli di Repubblica, Ilario Lombardo de La Stampa, Martina Castigliani de Il Fatto Quotidiano. Secondo Il Giornale sarebbero responsabili di avere ispirato e passato notizie al consorzio europeo Media Freedom Rapid Response, che in un rapporto uscito ieri denuncia il rischio per la libertà di stampa in Italia: «L’interferenza politica nei media pubblici e l’uso sistematico di intimidazioni legali contro i giornalisti da parte degli attori politici da tempo definiscono il rapporto tra media e politica in Italia. Tuttavia, negli ultimi due anni queste dinamiche hanno raggiunto livelli allarmanti».

se questa è la seconda carica dello Stato

Non mi occupo quasi più di politica italiana, la quasi totalità del dibattito è irrilevante, se non per la continua aggressione ai diritti sociali delle persone di questa squallida maggioranza. Bisogna occuparsi, sarebbe ora di metterlo a fuoco anche quando si vota, di politica europea e mondiale, prendendo atto del fatto che siamo periferia giovernata da nanetti a meno che non ci inventiamo una seconda età dei Lumi.
Stavolta però vorrei riportare un articolo ben scritto e dai toni piuttosto definitivi, che condivido. Gli antefatti: il cronista Andrea Joly de La Stampa viene aggredito da un gruppo di fascisti di Casa Pound perché filmava la loro festa per strada, il presidente del Senato nonché seconda carica dello Stato nonché nostalgico idiota cincischia furbamente, ritiene lui, e fa il solito giochino dei distinguo per avere le pagine dei giornali. «Sulla vicenda di questi giorni, ho una posizione di assoluta e totale condanna», assicura con tono deciso, «Però…». «Però credo che il giornalista non passasse per caso. Non è una sua colpa, però (di nuovo, ndr) sarebbe stato più bello se avesse detto “ero lì che volevo riprendere quella riunione”». Ovviamente non ha alcun significato quel che distingue. «Non vorrei che entrasse troppo nell’uso quotidiano l’inserimento di metodologie che creano poi reazioni che non vogliamo che mai avvengano». In linea con Meloni che all’inchiesta di Fanpage.it dice che non bisogna infiltrarsi.

È qui che voglio riportare il breve editoriale di Andrea Malaguti, direttore de La Stampa, sul giornale di oggi:

Se questa è la seconda carica dello Stato
Confesso che Ignazio La Russa mi mette a disagio. Un limite mio. È un maschio del Novecento che non riesce a uscire dalla grottesca armatura di pece in cui è rimasto imprigionato da bambino. Gli piace fare il bullo. Ha cristallizzato il senso di sé ai milanesi anni Settanta di piazza San Babila. Se non fosse il presidente del Senato derubricherei la cosa a “problema personale”. Invece La Russa è la seconda carica dello Stato. Regala la sua solidarietà pelosa al nostro Andrea Joly per le botte ricevute fingendo sdegno, liquida La Stampa col solito sarcasmo da capocomico e aggiunge: «Non credo che passasse da lì per caso, trovo che sarebbe stato meglio che avesse dichiarato di essere un giornalista». Mi sfugge, presidente: per farsi menare di più o di meno? C’erano cento fascisti in mezzo alla strada a mezzanotte che cantavano a squarciagola canzoncine mussoliniane riempiendo l’aria di fumogeni. Cercavano privacy? Al numero due dello Stato non la si fa, lui lo ha capito che Joly voleva fare il furbetto e che i picchiatori di CasaPound gli hanno dato una memorabile lezione. Che pena. Come avrebbe detto il mio professore di filosofia del liceo: siamo al di sotto del limite morale inferiore.

Già, che pena.

gioventù meloniana: il film dell’estate

Ho preso le due puntate dell’inchiesta di Fanpage.it, le ho salvate, unite e ripubblicate su YT. Perché guarda un po’ si fa pure fatica a trovarle, adesso, se non su Frontpage.it, appunto, e nascoste qua e là su YT, mentre dovrebbero essere proiettate nelle pubbliche piazze, come abbiamo fatto ieri sera, un bel po’ tutti insieme.
Così poi nessuno dica che non lo sapeva.

Ciò che inquieta, oltre a tutto quanto già noto e ipotizzabile, è la saldatura tra potere e base inneggiante, ovvero la consapevolezza di come la fedeltà – cori, slogan, dimostrazioni, saluti, obbedienza – senza pensiero critico sia il trampolino per l’assalto alle istituzioni, il comune di Roma da colle Oppio e da lì in su. Gli stessi campi sullo stile di quelli hobbit costringono a una riflessione. E da parte nostra, intendo sinistra, trovare un nuovo modo di affrontare questa cosa, in tutto ciò che va dall’istituzionale al bastone. Perché pretendere una parola di denuncia da Meloni chiaramente, semplicemente, non basta.

fuori dalle balle, finalmente

Dopo quattordici anni e una serie pressoché infinita di danni, tra una settimana i tories inglesi non saranno più al governo. Finalmente.

A differenza di Francia e parecchi paesi europei prima, la Gran Bretagna va se non a sinistra almeno in direzione progressista. Dopo quel criminale deficiente amorale di David Cameron, dal 2010, dimessosi nel luglio 2016 dopo il disastro della Brexit ma attualmente ministro degli esteri, ancora, Theresa May, dal 2016 al 2019, sostituita poi da Boris Johnson, vergognoso tra l’altro pure durante la pandemia, per toccare il fondo con Liz Truss, rimasta in carica solo dal 6 settembre al 25 ottobre 2022, il tempo di far morire la regina, e poi lo scadentissimo Rishi Sunak. Una bella sequela di fetenti disastrosi, complimenti.
Alle elezioni del 4 luglio, il Partito laburista è dato al 41 per cento, contro i conservatori, fermi al 20 per cento secondo le intenzioni di voto. Colpisce la presenza, di nuovo, della destra populista di Reform Uk, il partito di Nigel Farage, che dopo il macello dell’Ukip per la Brexit ancora lo votano.

Bisogna festeggiare. Un giretto. Magari più d’uno, visto che si respira meglio che qui, là. Dopo i Jet, il pretesto potrebbe essere una data del tour di Paul Heaton, che è in giro con Rianne Downey e di supporto gli interessanti The Zutons.

Sì, ci vuole, biglietti da oggi.

l’anno prossimo sul pratone ci facciamo il concorso dei sosia di Baffone

Dopo Salò, la destra perde un’altra delle roccaforti simboliche del loro potere locale: Pontida.

Ci sono passato per la prima volta la settimana scorsa e in un bar sulla strada ho comprato una calamita da frigo del pratone del raduno. Non quella con le bandiere, non ho avuto cuore, ma quella con l’erba. Devo avergli sottratto potere, evidentemente. La calamita del comando, la cercheranno gli orchi.
Il nuovo sindaco è laureato in Storia e sta facendo il servizio civile nella biblioteca comunale. Probabile quindi non abbia mai incrociato un leghista.
L’anno prossimo sul pratone lissio e Contesse e in culo ai leghisti.