le palline di Calenda parte seconda e il lobbismo non dichiarato

Dopo l’espluà di due giorni fa, il timido Calenda si ripete:

Stavolta ha aggiunto anche il ‘caro’, il problema Salvini effettivamente si propone con una certa ripetitività in questi giorni e ha che fare con le pesche e una catena amica di supermercati.
Provo a metterla in ordine, partendo da una legittima domanda: perché, perché mai un ministro della repubblica si mette in posa e pubblica dei post con tanto di sacchetti ben orientati in favore di camera per fare non uno, non due ma innumerevoli spot a una ben nota catena di supermercati vicini alla destra?

Che poi uno si fa due domande sulle domeniche del ministro in questione, che vitona appassionante, eh? Comunque. Fin dai tempi di Caprotti, Esselunga ha avuto un fruttuoso rapporto con la destra italiana, meglio se al governo. Non è un caso che l’ex tesoriere della lega Centemero sia stato condannato per finanziamento illecito da Esselunga, soldi transitati su una sua associazione e poi serviti per finanziare radio Padania e un convegno del centrodestra. Ma è una storia lunga. Per restare al recente, a maggio Esselunga, con molti altri, va detto, desiderosi di piacere al governo in carica, TIM, Enel eccetera, ha finanziato gli Stati generali della natalità, un accrocchio gestito e organizzato dalla destra peggiore, la Fondazione per la Natalità e il Forum delle Associazioni Familiari, preoccupati per il calo demografico causato dalle italiche donne che non si impegnano come la patria vorrebbe. Ovviamente contrari all’aborto e a tutto ciò che permette alle donne di determinarsi, vurriamai, nonostante dicano che «lo scorso anno abbiamo perso una città come Bari. Trecentoventimilanovecentouno italiani, per la precisione» sono ovviamente contrari alle politiche di immigrazione perché quelli mancanti devono essere italiani alla Vannacci.

C’è pure Poste e questo mi dà molto fastidio, sebbene negli amici minori. Quindi: Esselunga finanzia, il governo ringrazia immediatamente, Meloni celebrando lo spot della pesca – miserello, in realtà – e Salvini, che come tutti i limitati deve esagerare con il messaggio, pubblicando post a iosa che sopravanzano di gran lunga il limite della controproducenza. Che buona esselunga, che bella esselunga, che bello stare dentro esselunga e anche le seconde file si allineano, fino a Padellaro.
Che dire? Eh, pochino, che almeno Salvini si metta la felpa di Esselunga così è chiaro e non ne parliamo più, all’americana in cui il lobbing è dichiarato. Purtroppo ho un’Esselunga a cento metri da casa e un’altra a duecento metri dall’ufficio, per cui smettere di andarci mi costa un po’ in scomodità e finora ho un po’ fatto finta di niente ma lo faccio senz’altro, i miei otto dollari di spese settimanali adesso li avrà qualcun altro. E i due dollari di benzina in più, maledizione, questo sistema mi avviluppa in ogni modo, che non se ne esce mai puliti puliti.

facili previsioni sulla politica dei prossimi nove mesi

Basta un’immagine a far sintesi:

Meloni in consiglio dei ministri si incazza, guarda te, e dà la linea: «Il nostro scopo non deve essere quello di inseguire il consenso, ma raggiungere risultati concreti». E Salvini, ma pensa, nel cdm resta in silenzio tipo quella volta con Conte e poche ore dopo come suo solito se ne sbatte e lancia il suo tour di tutte le regioni per presentare “le opere e i progetti in campo da qui ai prossimi anni in Italia”, “L’Italia del sì”. Dal 2 ottobre a giugno prossimo, ricordo che si vota per le Europee, il signorino starà in campagna permanente con il suo Ponte della fantasia.
Se non fosse, come al solito, che ne andremo di mezzo tutti, e per la mancanza di governo decente del paese e per la sfilza di scemenze infinita che ci toccherà sorbirci, mi verrebbe da sedermi comodo e gustarmi lo spettacolo dei due che battibeccano.
Purtroppo ne va di tutti noi, anche di quei pistola che li hanno votati e che voteranno alle Europee come fosse l’elezione di Fantasilandia.

qual è la cosa più importante di cui potrei parlare?

Me stessa, che altro?
Per motivi che vorrei non spiegare, ho appena visto il primo minuto e mezzo del monologo di Chiara Ferragni a Sanremo di quest’anno, quello in cui per un’abominevole durata di oltre nove minuti non ha parlato di altro che sé stessa, sé stessa, sé sé sé. Ed è un bel monologo, ad avere sette anni e banali aspirazioni.
Queste quattro righe, però, sono per riportare i cinque migliori commenti che ho letto sotto, con sentimento di sincero e commosso ringraziamento. I due similari ma buoni:

(christiansforza3280) Grazie chiara! Mio nonno paraplegico si è alzato dal divano per spegnere la TV.

(crozzy2295) grazie mille, sono in coma da 10 anni, questo video mi ha dato la forza di alzarmi dal lettino e lanciarmi dal tetto di casa mia, ti ringrazio

Il migliore:

(francescomays) Questo monologo mi ha fatto venir voglia di sedermi sulla tv e guardare il divano.

E il non male per quanto fuori luogo ma si sa che in rete il personaggio riscuote successo:

(TerrorDSunny) il pacciani mi ha fatto provare più emozioni

cui prontamente risponde:

(pietropacciani1334) mi hai chiamato?

Ah, se ni’ mondo esistesse un po’ di bene…

saremo per sempre tuoi amici

Sto sgusciando come una biscia nel traffico quando passo davanti alla sede di Forza Italia, abbandonata da anni se non per le vetrine, e colgo qualcosa di nuovo.
Mi fermo e fotografo.

È chiaramente una minaccia. Una minaccia vera. E il cuore servirebbe a sviare ma, nel mio caso, non fa altro che acuire il senso di pericolo. Come il partito dell’amore di allora, ugualeuguale.

a Grazzano giocavi alle bocce

Badoglio, che gran porcaccion, la Badoglieide.

Raro caso di canzone nata in ambito partigiano, una sera nella compagnia di Nuto Revelli, che viene cantata con soddisfazione anche in ambiti fascisti con poche e piccole modifiche, vedi la fine. Visto il successo trasversale del porcaccione.
(Coi quattrini della canzone, tra l’altro, fece la speculazione edilizia in zona archeologica del condominio in cui abito io, com’è piccola la storia. E tanto successo riscosse Renzi che divenne oggetto di una Renzeide, su stessa musica).

open to meraviglia/l’estate sta finendo

E per finire in bellezza, la meraviglia di ‘Open to meraviglia’ non è nemmeno iniziata, risalendo a fine giugno l’ultimo intervento in tema. Social fermi, tutto morto, la campagna del Ministero per la promozione turistica del paese è defunta ancora prima di vivere. Chi l’avrebbe detto? Il tutto, tra l’altro, durante la stagione estiva, irrilevante. Chiedere ancora a Santanchè. La Corte dei Conti indaga, nulla di nuovo fin dall’inizio.

Mai una sorpresa in questo tipo di cose.

L’ultimo cenno, fine giugno. La faccia del vaso accostata alla faccia di lei è proprio ridicola, oltre tutto.
(Aggiornamento del 30/8: è riapparsa su Instagram, evidentemente le polemiche in rete, sui giornali e l’indagine della Corte dei Conti l’hanno svegliata).

live at Pompeii al tempo della destra stracciona

Nell’anfiteatro di Pompei, sì, quell‘anfiteatro, si sono riuniti ieri i rappresentanti del governo per promuovere la cucina italiana, sì, come bene unitario, alla tutela dell’Unesco. Ci saranno andati col treno mensile?

La pompa è magna, ops, perché si presentano in formazione il Ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida, il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, signora mia come si mangia in Italia, ci sono anche amministratori delegati, viceministri, direttori di museo, come mancare?
Il concetto è poverello, nel senso che non si ragiona di un settore, degli sviluppi futuri e dello stato delle cose, bensì di quelle che a destra chiamano sempre ‘eccellenze italiane’, vere o supposte, tra cui la cucina è regina, e che devono in sostanza essere oggetto di vendita al resto del mondo. La resa grafica, quindi, dell’assenza di idee risente dello stesso problema. Ecco il logo che non lo è:

Realizzato dagli allievi della Scuola della Medaglia dell’Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, chiaramente non è un logo ed è, anzi, la solita accozzaglia di luoghi comuni italici, pomodori e ponte di Rialto, Leonardo, Verdi, Montalcini e nutella, prosecco e una pizza pepperoni abbastanza ridicola. Non è un logo, è una rappresentazione grafica e come tale abbastanza inutile. Il claim è il solito di quest’epoca destroidina, tutto maiuscolo e con i cuoricini con bandiera italiana al posto delle ‘o’: i🖤 am🖤 la cucina italiana, non ce la faccio a scrivere tutto maiuscolo, non è che siano morti dei creativi per lo sforzo.

Il pensiero corre, gioioso, a Open to meraviglia e bisogna tenersi forte, avere coraggio da vendere e grande coscienza di sé per sapere, e poi ammettere, che lo stesso concetto di ‘cucina italiana’ è farlocco, ha sì e no cinquant’anni, le nostre specialità sono perlopiù recenti e per dare uno sguardo realistico – grazie signor L. – c’è il bel podcast DOI – Denominazione di Origine Inventata di Grandi e Soffiati. Così qualcosina in più si sa, oltre a Dante in padella col pomodoro pachino.

la brutta abitudine di fare i conti in tasca agli altri senza dirla tutta

E senza guardare i propri, di conti e di tasche.
Buffo che a tutti i giornali italiani di questo agosto non sia sfuggita la notizia dell’aumento del prezzo del Guggenheim a New York, da venticinque a trenta dollari, che segue quello del MET, del Whitney, del MoMA e del Museo di Storia Naturale da un anno a questa parte. Inflazione, diminuzione dei visitatori, cose così. I commenti dei giornali italiani sono salacetti: «Per il turista venuto dall’Italia il nuovo tariffario appare da capogiro soprattutto se confrontato a quello di altri musei della penisola: se l’ingresso agli Uffizi costa 26 euro (più quattro euro di prenotazione), i Musei Vaticani si fanno pagare 17 Euro, la Pinacoteca di Brera 16, mentre al Mann di Napoli 23 euro permettono una visita di due giorni». Perché si fanno i paragoni e sono curiosi, perché agli Uffizi il 26+4 fa proprio trenta, e si dimenticano di citare le facilitazioni di là: residenti e coloro che studiano in città non pagano un biglietto, lasciano un’offerta libera, e le riduzioni a 22 dollari per gli anziani e 17 per gli studenti al MET, per dire. E al Guggenheim con 75 dollari, tutti deducibili, si diventa membri e si entra quando si vuole e si vede ogni mostra aggratis. Ovvio puntino su quello e scoraggino le visite occasionali. Ma è più bello non dirlo. Verrebbero a questo punto confronti sui musei stessi che non si faranno perché siam pur sempre dei signori.

Facciamo allora le comparazioni con altri settori, sempre gli stessi giornali:

E allora io dico che per me un Guggenheim a un prosciutto e melone e mezzo va benone, lascio questo e piglio senz’altro quello, senza esitazioni. A Forte dei Marmi manco ci vado e perché dovrei, quando posso andare a New York spendendo meno?

Peraltro nella foto l’ombrellone non ce l’ha nessuno. Sarà per il costo?

finalmente libero

E nel momento più inatteso.

Ma che cazzo ringrazi, Meloni? Sul serio: perché? Al Sisi è il dittatore che lo deteneva ingiustamente, lo si sa, sì? Quindi perché ringraziare il carnefice?
Detto questo, Meloni cerca di intestarsi una liberazione con cui non ha nulla a che fare – e infatti Zaki non sarà in Italia domani – e a sinistra farneticano di baratti con il caso Regeni. Ma perché, anche qui? Al Sisi poteva benissimo continuare a sbattersene e dell’uno e dell’altro, come negli ultimi tre (e sette) anni ha serenamente fatto.
Su, dai.