il 3 dicembre 2019

Mentre si celebrava nel mondo la Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità e il presidente Mattarella si recava in visita all’Inail, le pagine dei giornali erano occupate dal duello politico Conte-Di Maio, indovina?, fotocopia di quello tra Conte e Grillo di questi giorni, buontemponi dei Cinque Stelle.

Allora però erano al governo. Ecco, appunto: mentre ne sarebbe dovuto rimanere uno solo, e così poi sarà anni dopo, uno dei due stava per prendere la scena assoluta e inventarsi delle assurde conferenze stampa a mezzanotte per darci nuove certificazioni e bonus a pioggia non appena possibile per la pace sociale. Perché il 3 dicembre di cinque anni fa, e noi mica lo sapevamo, veniva rilevato il primo caso di Covid a Wuhan.

Ma no, mica passa da uomo a uomo, figuriamoci, e poi c’era uno a Codogno che corse la mezza maratona nel mezzo di una vita ben vissuta, e poi quello che aveva mangiato il pipistrello e mica potevano stare buoni ‘sti cinesi col cibo? E avanti, dritti nel collo di bottiglia. Che a leggere bene ci fu anche chi avvisò che questo virus avrebbe contagiato tutto il mondo. See, figuriamoci, e noi a farci beffe di Codogno e Vo’ Euganeo. Ma manco pitturato, tornar indietro.

ecco come finiscono poi certe cose quando arrivano i mostri

La batosta è stata colossale, la delusione enorme, alla fine ci si chiede di che si sia parlato per tre mesi. Alla fine se le uova passano da un dollaro e mezzo a quattro, il ragionamento sottile ci lascia le penne.

Adesso arrivano i mostri, le scelte di Trump sono ricadute sui più impreparati, eversivi, complottisti che verranno lanciati alla devastazione delle istituzioni e degli ecosistemi politici e sociali. Come peraltro sta facendo lui, il capo, trasgredendo tutte le regole per una transizione quieta e regolare.
A breve ci saranno le elezioni in Irlanda e il candidato, uno, si chiama Harris. Presto, mandiamogli tutti i cartelli inutilizzati, meno spreco.

12 dicembre 1969: una storia quasi soltanto sua

Questa mattina è mancata Licia Pinelli, cioè Licia Rognini, moglie di Giuseppe ‘Pino’ Pinelli. Novantasei anni di cui cinquantacinque vissuti con la bomba.
Vorrei ricordarla con una cosa breve che scrissi quindici anni fa mentre pensavo a lei, dopo aver letto le sue parole nel racconto di Piero Scaramucci. Si intitolava: “12 dicembre 1969: gli sconfitti e i sommersi”.

Quando qualcuno mette una bomba un venerdì pomeriggio in una banca, non restano soltanto morti e macerie. Restano gli sconfitti e i sommersi, vivi e morti che non hanno avuto la possibilità di salvarsi. Chi di noi ha una coscienza è uno sconfitto e come tale è giusto che si senta. Coloro, invece, che la bomba l’hanno sentita direttamente sono i sommersi, coloro cui non è stata data la possibilità di salvarsi; anche se alcuni di loro sono sopravvissuti, con grande forza e dignità, sono stati sommersi.
Il 12 dicembre 1969, anche se lei ancora non lo sapeva, Licia Pinelli era già stata sommersa. L’avrebbe scoperto dopo.
Feltrinelli ha di recente ristampato una lunga intervista di Piero Scaramucci a Licia Pinelli che vale senz’altro la pena di leggere. E si badi al titolo: “Una storia quasi soltanto mia”. Sua perché di Pino si parla, suo marito, sua perché rimase sola come succede quando ti scoppia una bomba in casa e tuo marito vola da una finestra senza ragione, sua perché – e il titolo lo afferma chiaramente – c’è una bella differenza tra essere sconfitti, noi, io, voi, ed essere sommersi, lei e Pino tra i tanti.
Pochi si salvarono, non sappiamo nemmeno i loro nomi, perché nessun processo, mai, riuscì a dirli. Ed erano quelli con i candelotti nella borsa.

quindi? tutte chiacchiere a vanvera (Trump vince ovunque)

Non è andata molto bene.

Sconfitta senza appello su tutta la linea, uomini e donne bianche hanno votato compatti per lui. L’Ucraina è fottuta, Gaza è fottuta, l’emergenza climatica un tantinello pure e anche quelli che in Europa esultano per la sua vittoria a breve assaggeranno i dazi commerciali e il protezionismo americani.

Un paio di dati, il voto per contea e la distribuzione per genere ed etnia:

Deprimente. Fosse almeno un’altra persona, uno diverso, ma otto anni dopo ancora lui, incattivito, aggravato da cause e processi, invecchiato parecchio, mi lascia ancor più intristito.
Ma la cosa che in assoluto mi fa più male, al di là dei fatti veri, è questa: data per persa ad agosto, al ritiro di Biden, da quel momento lì in poi di che abbiamo parlato? Non ci siamo mai mossi da lì, altro che terno al lotto e tutto equilibrato, serve rimettere a posto ogni capacità di analisi della realtà e di previsione, ma proprio tutte. Che disastro.

la signora Pelicot l’ha fatto

La signora Pelicot, Gisèle Pelicot, 71 anni, è protagonista di una delle vicende più aberranti che io abbia mai sentito: con la complicità del suo ex marito Dominique Pelicot, che la narcotizzava, cinquantuno uomini l’hanno stuprata a sua insaputa nel corso di dieci anni. L’uomo, il marito perdio, le somministrava di nascosto farmaci per consentire a uomini contattati online di entrare in casa e abusare di lei mentre era in stato di incoscienza, mentre lui filmava il tutto. Fin da quando qualche settimana fa è emerso il caso non riesco a farmi una ragione di tanta crudeltà, ci penso spesso sgomento.

In questa storia che di decente non ha nulla, Gisèle Pelicot ha deciso non solo di affrontare il processo e tutti i connessi a testa alta, assistendo a tutte le testimonianze degli imputati, guardandoli in faccia – e questo sarebbe già ben più che ammirevole – ma ha deciso di fare del proprio caso un esempio, «per cambiare la società»: «Voglio che tutte le donne vittime di stupro – non solo quando sono state drogate, lo stupro esiste a tutti i livelli – dicano: la signora Pelicot l’ha fatto, possiamo farlo anche noi». Non basta: «Quando vieni stuprata provi vergogna, e non spetta a noi provare vergogna, spetta a loro».

Ecco. Si tratta di stupri, certo, sì. Ma si tratta anche di giustizia, di rispetto, di rettitudine, di morale e di etica e di coscienza. Ecco perché il «la signora Pelicot l’ha fatto, possiamo farlo anche noi» dovrebbe valere per tutte le giuste cause, lei sta affrontando l’inaffrontabile, perdio ce la posso fare anch’io nelle mie piccolezze. E tutti gli altri, se ce l’ha fatta lei. Incredibile, questa donna.

«I still don’t give a shit if I get judged»

All’improvviso, la notizia della scomparsa di Steve Albini, produttore, musicista, critico, ingegnere del suono, soprattutto direi conoscitore della musica e persona intelligente. I commenti sono stati numerosi, spesso competenti, la sua famosa lettera di produzione dei Nirvana è stata citata in ogni dove: «I think the very best thing you could do at this point is exactly what you are talking about doing: bang a record out in a couple of days, with high quality but minimal “production” and no interference from the front office bulletheads», etc. Il fatto che in primis lui fosse un musicista e del periodo più florido del suono di Seattle e filiazioni varie ha influenzato positivamente tutto il suo lavoro.
Oltre ai dischi suonati, Shellac sopra tutto e ci dev’essere un’uscita a breve, quelli prodotti sono innumerevoli, di cui direi ne conosco il tre per cento. Gli elenchi dei migliori album da lui prodotti si sprecano, quasi tutti riportano In Utero dei Nirvana per primo, poi Surfer Rosa dei Pixies, Rid of Me di PJ Harvey, Walking Into Clarksdale di Page and Plant e Ys. di Joanna Newsom. Che comunque si dovrebbero conoscere.

Per quanto mi riguarda, se Walking Into Clarksdale lo metterei solo per la felicitazione della reunion, confermerei PJ Harvey, i Pixies, anche Death to the Pixies pur essendo una raccolta, poi ci metterei dritto dritto Razorblade Suitcase dei Bush, scherziamo?, poi Pod dei Breeders che, alla fine, sono la costola significativa dei Pixies, aggiungerei Blow It Out Your Ass It’s Veruca Salt delle Veruca Salt, pur essendo un EP, infine Urge Overkill, direi The Supersonic Storybook e Jesus Urge Superstar. L’impronta di Albini nella musica della seconda metà dei Novanta è stata poderosa, quel suono inconfondibile delle chitarre e delle batterie è per buona parte suo, gli va dato merito.