i cinquant’anni di Van Gogh

Nella spianatona dei musei di Amsterdam è stata notevole la festa per i cinquant’anni del museo, sì, non lui, Van Gogh. Dopo le celebrazioni di rito con presidenti, collettoni e real babbione, a sera – e vien buio alle dieci e rotti – è stato messo in scena uno spettacolo con una pattuglia di droni impegnati a riprodurre i motivi più famosi della pittura di VG.

Per concludere con la sua firma. Non tutti riconoscibili, almeno per me, ma è stata una bella celebrazione, emozionante.

Vento, ancora

Eh lo so, ma questa l’ho letta dopo, ciascuno passa la festa della Repubblica come crede. Stanca.

Stanca, sfinita, esausta.
Annoiata, affaticata,
Nauseata, fiaccata,
Logorata.
Abbattuta, atterrita, esasperata.
Torturata, sfruttata,
Disfatta.
Sterile, debole, deperita e cerea.
Vorrei tornare a casa,
La casa mia.
Lontana.
E non pensare più.

Ancora Flavia Vento, sempre dalla sua raccolta poetica Parole al Vento. Solo in apparenza un elenco, il cerea sorprende, in certi passaggi sembra una canzone di Rino Gaetano o una lista di Salvini.
Inaspettata la chiusa, devo dire.

Ultima, giuro. D’altronde le ho lette tutte. Mostro marino.

Pavoni,
Balene,
Pagliacci,
Maghi,
Cantanti,
Mare.
Isola,
Mosquitos
Zzzzzzzz…
Mosquitos
Zzzzzzzz…
Mostro marino
Fischio divino.
Mostro marino
Canto divino.
Zzzzzzzz…

Il che sposta ancora più oltre la difficoltà di definire cosa sia, davvero, la poesia. E, forse, in maniera definitiva.

dopo Leopardi

E tu, luna splendente, Luna, che ci fai lì?
Mi guardi e stai zitta, Poi mi sollevi e mi fai pensare.
E stai lì, ferma immobile Nel tuo mondo e io nel mio.
E siamo noi due
Che ci guardiamo e ci diamo Un saluto leggiadro Come una stella cometa.
E siamo qui.

Flavia Vento, Luna dalla sua raccolta poetica Parole al Vento.
Facile dire che basti andare a capo a caso – qui peraltro quattro casi in cui secondo me mancano -, usare qualche parola evocativa e pescare dalla terminologia ad hoc, facile pensare sia facile. No no, non lo è. Dimmi, che fai, silenziosa luna?

frutta fresca caduta dai camion

Gran raccolto per quanto riguarda le uscite di dischi in questi giorni di maggio: Albert Hammond jr., Tinariwen, Robyn Hitchcock, Alison Goldfrapp, Moby, Kesha, Sufjan Stevens, Graham Nash, Calibro 35, Rickie Lee Jones, Mark Knopfler, Goran Bregović, Gaz Coombes, Dropkick Murphys, Ana Popović, Samantha Fish, Dave Matthews Band. Per restare a quelli che interessano a me e attendendo i prossimi dieci giorni. Tra tutti, quello che mi incuriosisce di più è quello di Paul Simon, Seven Psalms. Concepito come un’opera unica, le sette canzoni che lo compongono sono in realtà unite in una traccia sola: Seven Psalms: The Lord / Love Is Like a Braid / My Professional Opinion / Your Forgiveness / Trail of Volcanoes / The Sacred Harp / Wait. Anche in streaming, cosa ardita. Non che però il titolo inviti troppo, vediamo.

finalmente anche lui confessa!

Detto questo, io capisco tutto quanto dell’intervista di Schlein a Vogue, capisco il volersi andare a prendere una fetta specifica di coetanee uscite marginalmente dall’area o meno e parlare a un certo tipo di persone, lo capisco e ben comprendo. Capisco meno fare il nome, lo spottone, della professionista amica, bastava una risposta generica, e nemmeno l’accenno all’armocromia, ben sapendo che sarebbe rimasto solo quello di un’intervista lunga e articolata, ma vabbè, mica devo capire tutto io.

chissà come ne va fiero (non cancellatela)

Sul muro esterno del cinema Sacher è apparsa una risposta, ehm, politica al nuovo film di Moretti, Il sol dell’avvenire. Che, tra l’altro, è un film molto bello, carico di umanità, affettuoso e spiritoso, un divertito testamento artistico pieno di citazioni, esterne e di sé stesso, alcuni tormentoni, qualche naturale cosa noiosina, qualcuna ovviamente irritante, politica, amore, canzoni, decisamente riuscito.

25 aprile, com’è andata

Meglio di ogni previsione, non c’è come un governo di destra per compattare la sinistra e tutto il resto dell’arco. Va’ che foto.

Un sacco di gente, prima sole poi pioggia poi sole, motivati e presenti, ogni età possibile. Meglio governi democratici e rispetto costituzionale ma 25 aprili mogi e infrequentati o governi neofascistelli senza criterio e manifestazioni partecipatissime? La prima che ho detto, ovviamente.

il settantottesimo 25 aprile

Il 25 aprile è il natale, anzi il Natale, delle brave persone.

Io sarò a Milano in corteo e quest’anno, come tutti quelli all’opposizione e ancor di più visto questo governo, sarà senz’altro un 25 aprile vivace. Meglio di quello dell’anno scorso, nel quale le posizioni sulla guerra in Ucraina ebbero giustamente il sopravvento e si faticava a trovare due posizioni concordi.
Per festeggiare, in attesa del pomeriggio, una canzone nuova sulla Resistenza, di tre giorni fa: Staffette in bicicletta di Vinicio Capossela con la grande Mara Redeghieri. Un pezzo di pane, un litro di latte sottratti al nemico sono lotta, né più né meno.
Buona Liberazione, dunque, alle brave persone. Per chi ci sarà, ci vediamo in corteo. Agli altri, quelli che in questo cavolo di paese ancora diviso non vogliono capire, agli indifferenti, agli opportunisti, oggi a tutti loro un bel calcio in culo.

in tua vece

Caro C. sono al tuo concerto. Riconosco il tocco, la scelta saggia: posto centrale ma a lato, con spazio per le gambe. Non troppo vicino ma nemmeno lontano. Solo chi ne ha fatti tanti sa. E sempre sempre vicino a un’uscita, questa è proprio tua. Ne abbiamo fatti un po’ insieme, di concerti, questo lo considero tale.

Mi fa sempre sorridere che ti sia appassionato a questa musica pestona, parrebbe incongruo e, invece, la dice lunga sulla tua apertura di interessi e del tuo sguardo, anche in questo.

Sono fisicamente al tuo posto, stavolta, metaforicamente e moralmente anche, il fatto è ricco di significati e mi dice molte cose su di te, su di me, sul tempo e come lo usiamo, sulla cura e l’attenzione verso gli altri, sulle fortune che ho. E non è più il fatto di un concerto, non solo, diventa tutto più ampio e il pensiero corre a quel gran mescolotto che si allarga anche oltre i propri confini e che chiamiamo, in fondo e in qualche modo, vita.