Perché è solfrizzio, d’inverno appunto, e le processioni e gli azimutali e inclina di qua e inclina di là, allontana e poi avvicina e poi di nuovo allontana, insomma tutte le persone di buona cultura sanno come funziona: a un certo punto, cambia la stagione. E questa è particolarmente bella per chi, come me, funziona meglio col freddo. Buon inverno ai buoni e agli altri, tutti, niente di niente. Perché dovevano pensarci prima.
Coppia di ottime notizie: dopo la morte della vecchia, la vittoria di Gabriel Boric alle presidenziali cilene. Sia per lui, che proviene dal movimento studentesco, è giovane e critico con il sistema neoliberale cileno, sia perché ha ricevuto l’appoggio convinto degli elettori, mai così numerosi, sia perché ha sconfitto José Antonio Kast, candidato di estrema destra, disgustoso fascista sostenitore di Pinochet, omofobo e contro ogni forma di immigrazione. Come se tutti loro non fossero lì per quel motivo.
Prendetevi tre anni di tempo. Ovvero, 1001 giorni, fine settimana esclusi. Un album al giorno tra i 1001 che Robert Dimery ritiene che noi si debbano sentire prima di morire.
Si può naturalmente fare in autonomia, e io modestamente lo feci, oppure usare questo comodo servizio. Una volta al giorno, una volta creato il progetto, verrà indicato un album da sentire. Oh, giovani: per intero. So che non usate ma una volta era così e i dischi erano concepiti per essere ascoltati per intero. È possibile anche selezionare i generi ma questo contraddice, a parer mio, l’idea iniziale: farsi una cultura in campo musicale. Intendo: quasi tutti i generi, tranne classica, all’incirca. Il progetto può essere messo in pausa, lo farà automaticamente se non vi farete vedere per quattro giorni consecutivi, terrà traccia della cronologia per non ripetersi, complimenti allo sviluppatore, Alexander Nilsson. E, magari, offrirgli una birretta, almeno. Su. Io mentre scrivo queste righine sono a Let’s Stay Together di Al Green, 1972, genere che apprezzo. Miglior canzone che non conoscevo del disco: It ain’t no fun to me. Ci risentiamo qui tra tre anni, all’una e quaranta.
Percorrere tutta la E30. Forse la sigla non dirà molto ma indica la strada europea E30, una bella stradona di classe A ed essendo una dorsale Ovest-Est è quasi tutta bella dritta. Eccola, nella sua intera bellezza.
Poche sterzate. Si parte da Cork, facendola da ovest, traghetto, Inghilterra, poi è un po’ complicato perché da Felixstowe partono solo traghetti cargo, insomma si risolve, poi avanti – sommi capi – per L’Aia, Utrecht, Hannover, Berlino, a Francoforte sull’Oder si scavalla in Polonia dopo una bella indigestione del piatto Brandeburgo, Poznań, Varsavia, da Terespol via in Bielorussia verso Brėst, che non è quella ma l’altra, fino a Minsk, da lì si segue l’itinerario asiatico AH6 andando in Russia, passando da Mosca, sosta, e dritti fino a Omsk. Dove, se uno è fortunato, ci sono quaranta gradi d’estate e quaranta sotto zero d’inverno. Cosa chiedere di più? 5800 km complessivamente (qualcuno dice 6530, le fonti sono confuse), è la nostra highway 61, mi attira. Vorrei comprare una Zhiguli, fare tutta la E30, rivenderla a Omsk e prendere l’aereo. Per Novosibirsk. Così. O, volendo, si può curvare e pigliare la AH6 dell’Asian Highway Network, che arriva a Busan, in Corea del sud. Non male. Secondo gugolmaps sono meno di 6400 chilometri e in settantacinque ore secche ce la si fa. Però a Wexford c’è un cantiere, quindi non so, forse qualcosina di più.
Se le cose proseguono come in questo periodo, quasi quasi vado.
Per chi, come me, si è occupato delle cose della filologia e, inevitabilmente, della linguistica, Gerhard Rohlfs è una figura a dir poco leggendaria. La faccio brevissima: filologo, linguista e glottologo tedesco, docente di filologia romanza all’Università di Tubinga e all’Università di Monaco di Baviera, alla fine degli anni Dieci si mise lo zaino in spalla e scese, a piedi, verso l’Italia. La girò tutta, intervistò persone, scattò fotografie, ascoltà voci, registrò accenti e varianti linguistiche. Anni. E poi pubblicò l’opera che ancora oggi costituisce uno studio insuperato: la Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. Per capirci e per dirne una sola, ci sono tutti i dialetti calabri, le loro varianti minori, molte delle quali oggi scomparse, non riesco a fare un paragone appropriato: potrebbe essere come uno di noi che venisse mandato in Germania a studiare le differenze fonetiche, grammaticali, linguistico-sintattiche tra un dialetto del Meclemburgo inferiore da quello medioinferiore in un raggio di cinque chilometri. E farne una comparazione diacronica. Io avrei difficoltà a trovare la regione, figuriamoci il resto. Un mostro sacro.
Nel 1954 Gianfranco Contini, solita persona intelligente, propose a Einaudi di pubblicare la Grammatica di Rohlfs, l’editore colse l’occasione e si mise alla ricerca di traduttori. Cosa curiosa tradurre dal tedesco all’italiano un testo sulla lingua italiana, comunque alla portata solo di traduttori competenti in materia. Fu proposto Pietro Citati, allora lettore di Rohlfs, però non disponibile, allora si ripiegò su un suo allievo, Salvatore Persichini. E qui viene il pezzo della storia che mi fa ridere. Il Persichini, avventato, promise un volume ogni otto mesi. Poi, finito il primo ben oltre, si guardò attorno, fece due conti e accettò un posto a tempo indeterminato nelle Ferrovie dello Stato.
Ahah, ciao. Subentrarono poi altri, Franceschi e Fancelli, molto validi, e la vicenda si concluse felicemente nel 1969 nonostante grandi ritardi e risentite preoccupazioni dell’autore.
Questo è il cinema Lux, 1934, vero capolavoro di art déco. Fu cinema Rex prima, poi volgarmente Dux nei periodi bui, poi com’è ora. Anche la Galleria San Federico, che lo contiene, è in stile. La sala, enorme, aveva più di millecinquecento posti, ora ne hanno ricavato tre sale, esigenze minori del cinema contemporaneo. La foto è mia e il cinema è a Torino, splendidamente visibile anche oggi e accogliente anche con chi, porello, non ha casa e letto.
Ora: per quanti anni e quante volte devo ripetermi dicendo quanto sia bravo Saul Steinberg? Ecco, a Milano c’è la mostra, è bella perché è piena di cose sue belle, io altro non ho da dire.
Colonia. Il duomo di Colonia è una delle meraviglie del gotico. E del neogotico, perché tra il 1248, il propizio ferragosto, e il 1880, anno di inaugurazione, molti gotici sono passati sotto i ponti. Smessi i lavori a metà del Cinquecento, solo con il revival del medioevo nell’Ottocento la cattedrale incontrò l’interesse della cittadinanza e i lavori ripresero nel 1842. Peraltro, per dire dell’interesse popolare, solo in parte lo stato prussiano finanziò i nuovi lavori, il resto fu raccolto con sottoscrizioni pubbliche. Qui sotto una foto del 1855, a lavori ripresi, e il particolare interessante è la gru su una delle torri campanarie della facciata, a sinistra, perché pare proprio dalla forma e dalla struttura una vera e propria, integra, gru medievale.
La gru è rappresentata in alcuni dipinti, ad esempio l’arrivo di sant’Orsola a Colonia del 1489, sul reliquiario di Hans Memling (anche nel martirio):
O la veduta di Colonia di Sebastian Münster a metà del Cinquecento:
O, ancora, la veduta del 1660 di Jan van der Heyden (ne metto un particolare):
Nel 1870, i lavori erano molto più avanzati.
Noi per riferirci a un lavoro senza fine citiamo la costruzione del duomo di Milano, altrettanto lunga, loro quello di Colonia. Una volta finita, ne è valsa la pena: è un edificio colossale, le torri superano i 157 metri, la volta è una delle più grandi e delle più alte mai costruite dall’architettura gotica, il complesso è impressionante. Salirci a piedi la mattina presto è una delle esperienze che sono molto contento di aver fatto, la vista da lassù è notevole, con la città e il Reno appena sotto. Più volte colpita dai bombardamenti alleati, Colonia fu praticamente rasa al suolo, tuttavia per fortuna non collassò. Qui un video delle prime riparazioni dopo la guerra. A tutt’oggi è l’edificio religioso con la facciata più grande del mondo, e se ne percepisce la portata. Eccone una mia foto.
La su su su in cima, oltre i 157 metri, le torri hanno due guglie, floreali. Si vedono a guardar bene. Una di esse è una copia, l’originale è giù, precipitato nella piazza davanti, a testimonianza delle dimensioni: la sola guglia sono nove metri. Eccola.
Ed è solo il pistolino in cima, mica male, nanetti.
facciamo 'sta cosa
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