Non dev’essere facile, politicamente e umanamente. E nemmeno tutta l’operazione, adesso, dai delegati ai finanziatori alla campagna, il partito dovrà fare quadrato perché, come dice Obama nella lettera a Biden: «We will be navigating uncharted waters in the days ahead», navighiamo in acque sconosciute, vero.
E avanti Kamala, a questo punto, che gode di una rarissima seconda occasione. Nel suo primo discorso, notevole, in Wisconsin, ha formulato un primo slogan per la campagna, tompettiano: «We’re not going back». I giochi di parole già si sprecano, da Yes we Kam, buono, alla Casa Bianca già ribattezzata in Kamalot, Beyoncé ha dato il suo assenso per l’utilizzo della sua Freedom in campagna e un importante endorsement, pare che nelle prime ore siano stati raccolti cento milioni di dollari e il numero di delegati raggiunto, staremo a vedere.
Trovavo Kamala convincente anche quattro anni fa, poi chissà dove si è persa. La trovo affascinante anche fisicamente, ora e anche quando sembrava la controfigura di Prince, lasciamoci prendere dalla Harrismania alla conquista di Kamalot!
E contrariamente alle attese, il gambetto alla francese funziona e la faccia di Bardella a sera è da incorniciare nella galleria delle soddisfazioni. “Alleanza del disonore” la chiamano Le Pen e il giovanetto e la destra tutta e in effetti il gioco delle devoluzioni dei candidati è un po’ al limite, l’avessero fatto loro forse avrei avuto a che dire. Ma loro son fascisti, è questa la differenza. Per cui la Francia va a letto che è a sinistra mentre si era alzata sicura della destra, vedi te la vita. Serve un’altra rassegna stampa, ancor più stavolta col risultato ribaltato. E la gente va in piazza, come mostra Libération:
Le Figaro fa più l’istituzionale, mostra la sconfittona di RN, “cocente”:
Il quotidiano liberale l’Opinion sottolinea la difficoltà di trovare una maggioranza, imparino da noi che siamo molto più bravi in questo, e sottolinea il carattere un po’ estemporaneo di tutta la vicenda elettorale:
La prima pagina più bella, insieme a Libération, è quella del cattolico La Croix, la Francia dice no a RN, con l’ennesima Marianna avvolta nel tricolore:
Les Échos è il principale giornale economico finanziario francese per cui registra i fatti apparentemente senza entusiasmi o mal di pancia:
L’Humanité, infine, giornale fondato da Jean Jaurès e da sempre vicino alle posizioni del PCF gongola non poco e sfodera per la prima pagina la grande onda di Kanagawa:
Beh, che goduria, esser certi del peggio e poi ritrovarsi del tutto in altra situazione. Sarà un pasticcio comunque, intendiamoci, l’operazione è stata spericolata – non per la prima volta, peraltro – ma ne è valsa la pena: all’angolo RN e con esso anche il governo italiano e la tronfia destrina europea, che perdono appoggi da qualche settimana. Su 151 ballottaggi tra la sinistra e il RN, i due terzi sono vinti dalla gauche, e su 131 ballottaggi tra macronisti e RN, nel novanta per cento l’estrema destra è stata battuta ed è anche sconfitta in 70 delle 75 triangolari. Stiamo a vedere, adesso servono alchimie complesse e difficoltose ma se non succedono scemenze se ne riparla alle presidenziali tra due anni e mezzo. Salùt e in culo ai lepenisti.
Come da previsioni, larghissima vittoria dei laburisti in Gran Bretagna, come non se ne vedevano da Tony Blair ma nemmeno dal 1906, credo sia la peggiore batosta per i conservatori dell’epoca moderna. E del tutto non solo meritata ma pervicacemente cercata, portando il paese sull’orlo del baratro, ‘sti criminali minchioni.
Ho una certa voglia di rassegna stampa, voglio vedere come la stanno prendendo, là. A partire dalla prima pagina più bella, secondo me, il Daily Express che ammette e accoglie la sconfitta, decent and sincere:
Tra i locali, l’unico a dedicare quasi tutta la prima pagina è il Manchester Evening News che sottolinea l’urgenza del compito di Starmer:
Il Daily Mirror invece gongola, mattone per mattone:
Immagine del mattone ripresa anche dal Daily Record, scozzese, a fronte della sonora sconfitta anche degli indipendentisti del paese. Noto il possessivo our prime minister non da poco e mi fa sorridere l’elenco delle pagine dedicate, perché 2-17 chiaramente non riempiva la riga:
Il Daily Star conferma la fetecchia che è, sottotitolando una cosa del tipo: “Starmer inizia il lavoro facendo cose importanti”, lasciando poi spazio alle consuete notizie ben più importantissime:
Il Liverpool Echo, da sempre rivolto alle cose davvero fondamentali in città, il calcio, il fòball, il calcio e quella cosa contro i mancuniani, fa la battutona e unisce i rossi al governo ai rossi di casa:
Il Newcastle Chronicle va via pulito per essere un locale e segnala la vittoria popolare, facendosi scappare qualche soddisfazione:
Un po’ di quelli grossi. Ehm, nazionali. Il Guardian è ovviamente entusiasta e parla appunto di ‘valanga’:
Il liberale The Indipendent riporta invece la notizia in modo asciutto, tranne il carattere del titolo, pur segnalando anch’esso la valanga e giocando sulle due foto, chi entra e chi esce:
Il Sun, ahah da minchione qual è, ripiglia la stessa immagine e in modo del tutto irrilevante gioca di parole tra ‘here’ e ‘Keir’, il nome di Starmer, serve immaginare la pronuncia:
Ciò che conta è la seconda pagina, al Sun. Il Times, che è conservatore ma più decent, riporta fatti e dichiarazioni:
Non male la pubblicità ingannevole in fondo alla pagina. Segnalo infine la dichiarazione ufficiale di Rishi Sunak, premier uscente, magnanima e onesta insieme, che alla sconfitta ha dichiarato: «Sir Keir Startmer will shortly become our Prime Minister. In this job, his successes will be all our successes, and I wish him and his family well», i suoi successi saranno i nostri successi, visto il lavoro che fa. Non è nuovo, Sunak, a questa frase, già usata svariate volte. Ma è comunque un tono e un modo che da noi sarebbe davvero impensabile e questo mi dà anche stavolta da pensare. Avanti, dunque, adesso con la valanga e vediamo di fare le cose come vanno fatte. Amen.
Una giovane guida autistica di un museo vive secondo una rigida routine fino a quando non si innamora del suo collega e deve affrontare un vortice di nuove e intense emozioni.
È la trama di Goyo di Marcos Carnevale ma non è quello che mi interessa: semplice, senza fronzoli, dritta al punto, non convenzionale, coerente con la trama, è la locandina. Ben fatta, ben riuscita, complimenti. Unica pecca, del film e non della locandina: sarebbe bello, sorpresa!, se la guida autistica fosse lui e il (la) collega che la trascina nel vortice fosse lei. Invece no, sempre la stessa dinamica.
Una volta i video musicali raccontavano storie strutturate, piccoli film a corredo di una canzone. Non tutti, quelli però che avevano una buona produzione e un budget sufficiente sì. I registi di videoclip erano molto richiesti e servivano buone idee. Oddio, tutto questo valeva anche per le canzoni che, spesso, raccontavano appunto storie, più o meno convincenti. Se ne potrebbero citare centinaia, forse migliaia.
Tra le canzoni più riuscite, Cloudbusting di Kate Bush. Il brano, ispirato dall’autobiografia di Peter Reich, A Book of Dreams, racconta il suo rapporto con il padre Wilhelm, psichiatra e psicoanalista, e, in particolare, i suoi ricordi giovanili riguardo una macchina, il cloudbuster, inventata dal padre per far piovere (e respingere gli alieni, altra storia), e il suo successivo arresto, tra i timori e la frustrazione del figlio. E già sarebbe parecchio per questi nostri tempi così poco creativi. C’è di più. In collaborazione con Terry Gilliam, Bush scelse Julian Doyle per dirigere il video e fu coinvolto in corsa un grande attore che si poteva prestare: Donald Sutherland interpreta il ruolo di Wilhelm Reich e Kate Bush quello di Peter da giovane. Mica male, eh, per un video? Altro che musicarelli o le semplici riprese di un playback. Scelsero Vale of White Horse nell’Oxfordshire al posto del Maine per ambientare la storia, fecero costruire il cloudbuster al team che aveva realizzato la messa in scena di Alien, e si vede, e vualà: ecco un piccolo film.
«I got into the video because Kate found out from Julie Christies hairdresser that I was staying at The Savoy. She came and knocked on my door. She was so small that when I opened the door I didnt see anybody. I looked down and there she was. She told me she wanted me to play Wilhelm Reich. I wanted to be able to create a character that could hold a child by his feet and hit him against the side of a building and turn his head into a squashed pumpkin, which is what we did. So it so profoundly impressed me that she wanted to do that. I adored her. I thought she was great».
Beh, tante cose insieme e tutte direi abbastanza notevoli.
Dopo Utah, Romania, California, New Mexico e Galles, ne avevo detto qui, la Las Vegas Metro Search and Rescue – LVMPD – ne ha avvistato uno vicino a Gass Peak, bellissimo.
Dove andrà, ora, questo monolite matomatomato? Chi lo sa, la vicenda è a dir poco appassionante, questo di Las Vegas, perché non è sempre esattamente lo stesso, esso muta leggermente, è pure molto bello e scintilloriflettente. Notevole. Vai, prisma, vai, libero come tu sai essere.
Uhm, Dublino, Belfast, Birmingham o Nottingham? Scelte, scelte, che cosa magnifica sono le scelte. In Inghilterra ci si pesta di più, al centro-nord pure, quindi direi che la scelta obbligata è Birmingham o Nottingham. Che poi sono una attaccata all’altra, un’ora di treno. Doppietta? Potrebbe, almeno delle città.
E l’O2 Institute Birmingham è pure notevole e mi ci potrei fermare fino al 17 per vedere anche i New Model Army. Andata, arrivo amici.
Ora, ciascuno ci legga quel che desidera, i gironi danteschi, la critica al consumismo sfrenato, alla voracità, all’assenza di limiti e così via. Senza una parola, alcune figure e alcuni sguardi qualche cosa la dicono. C’è anche la signora Leningrad cowboys, magnifica.
facciamo 'sta cosa
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