Non dico nulla di nuovo se dico che la Turchia, la Turchia di oggi, mi sta sui maroni. Però hanno costruito una centrale a pannelli solari fenomenale.
La centrale Kalyon a Karapınar, 3,2 milioni di pannelli, dello studio Bilgin. Il fulcro è il centro di controllo che, grazie ai pannelli riflettenti, sparisce e cambia colore a seconda del tempo e della luce, sfumandosi quando c’è nuvolo.
Magnifico. E che effetto di notte.
Ovviamente tutti quei pannelli servono a illuminare l’edificio di notte. E basta.
Un monolite alto tre metri e mezzo, a forma di prisma di metallo, apparso improvvisamente nel novembre del 2020. E così scomparso dopo undici giorni. E già c’erano adoratori, complottisti, alienisti, teorici dell’inganno e fanatici di Kubrick in grande pellegrinaggio nel deserto. Lo stesso giorno un monolite apparve vicino a Piatra Neamt, in Romania.
Forma identica, finiture non esattamente uguali al primo ma chi sono io per dire qualcosa? Anche lì il monolite restò a far parlare di sé per cinque o sei giorni e poi scomparve, perché ne riapparisse un altro ai primi di dicembre in California, sulla Pine Mountain ad Atascadero.
Infine, dopo qualche giorno, sparì e ne apparve uno ad Albuquerque in New Mexico.
Questo fu preso e spostato il giorno stesso e poi di monoliti, diciamo di questa serie, non se ne parlò più. Finora. Perché qualche giorno fa, nella piena brughiera gallese, vicino a Hay-on-Wye, vualà, un monolite.
Urrà, è tornato e continua a girare il mondo, non se n’è andato. E dove andrà adesso? Chi troverà il prossimo? C’è un disegno delle destinazioni? Qualcuno sta unendo i punti su una mappa? Facendo le dovute triangolazioni? Eh, domande, saperlo. Urrà per il monolite.
Anche in Germania, a Kempten, ne apparve uno improvvisamente poco tempo fa ma secondo gli scienziati non è dello stesso tipo.
Poi ad Amburgo mi scappa l’occhio e noto l’appropriata chiesa-barca galleggiante.
La flussschifferkirche, per tutti coloro che non camminano sulle acque. Suggerisco attenzione al simbolo, felice combinazione tra la croce e l’ancora marittima, niente sirene, bestie. Al fianco destro per chi guarda, la chiesina barchina del chierichetto o per operazioni liturgiche di emergenza ed esorcismi di marinai. A sinistra, la chiesa, pur sempre galleggiante ma non-barca, quindi va ormeggiata e lì sta.
Quando, come in questo caso agosto 2022, le acque sono basse, occorre andare per vie tradizionali, ovvero essere dappertutto perché la barca, dispiace, ma non serve.
Piuttosto emozionante incrociare il piroscafo ‘Sudan’ in risalita sul Nilo, la mia foto.
La SS Sudan Steam Ship è un battello a vapore costruito nel 1921 per la flotta Thomas Cook Egypt e ancora in uso per crociere sul Nilo. La ruota è ancora in funzione per ovviare a una caratteristica peculiare della navigazione sul grande fiume: il vento soffia quasi sempre da nord a sud, ovvero da Alessandria verso le sorgenti del Nilo, per cui se è agevole la risalita del fiume anche a vela, la discesa da sempre è impossibile se non venendo trainati, un tempo da buoi e oggi da rimorchiatori. La stanza di Agatha Christie è richiestissima, anni di prenotazioni manco poi ne uscissero giallisti, e il piroscafo ‘Karnak’ di Poirot sul Nilo (Death on the Nile) è ovviamente ispirato al ‘Sudan’ e i due adattamenti cinematografici furono girati perlopiù sulla nave. Spesso veniva trainata da piccoli cargo poiché il rumore del motore interferiva con le riprese. Pagando un certo qual sproposito è possibile anche oggi esserne crocieristi ma, ripeto, non credo basti per ricevere l’ispirazione che porta al successo. Con la stessa cifra meglio pagare uno bravo.
Quando negli anni Settanta Marshall McLuhan predisse la fine della carta stampata il gruppo editoriale La Presse Quotidienne Regionale che, invece, godeva di grande salute, rispose al massmediologo canadese pubblicando un’immagine di Gutenberg:
E, in effetti, finora ha avuto ragione lui, Gutenberg. Ma non è che McLuhan avesse proprio torto…
Che dire? Il giorno in cui vien proprio voglia di pubblicare un disco (anche se la cosa assurda è che il primo singolo è di novembre 2022…). Mia reazione agli ultimi quattro dischi dei Kaiser Chiefs: “oh no, cosa siete diventati?”. E poi lo capisco dopo un po’. Ma questo è easy.
Ecco, secondo me in Italia il Panasonic deck rs-296US non arrivò mai e se anche lo fece di sicuro non nelle case dei giovani ululanti come me.
Fortuna peraltro che ne abbia scoperto l’esistenza solo ora, allora sarei diventato pazzo a non poterlo avere, avrei sbavato per mesi o anni. Un po’ sto sbavando anche ora, a esser onesto. Venti cassette in fila su entrambi i lati, l’autoreverse per chi lo sa, addirittura il selettore per l’ordine di riproduzione. Altro che il fuoco, Prometeo portò questo dall’Olimpo tra gli umani.
Il disco ruotava, portando in posizione la cassetta che poi si inabissava andando sulle testine e venendo riprodotta. Ovviamente, sarebbe stato da pazzi avere venti testine e il disco fermo. Ovviamente Panasonic non fu l’unica ad affrontare la questione della riproduzione in sequenza di cassette, vedi per esempio le programmazioni delle stazioni radio, specie di notte, ma fu quella che la fece nella maniera più elegante anticipando tutti. Anche la Pioneer produsse il proprio modello, ben più tardi, il CT-M6R. Anni Ottanta, sei cassette, infinamai telecomando, impilabile con gli altri elementi dello stereo.
La Philips, come suo solito, affrontò il problema nel modo più creativo possibile e sicuramente più economico, con quello che poi venne colloquialmente chiamato il ‘crazy ski slope’, l’N2408. Ecco la mattata:
Le cassette risalivano la rampa, girandosi di lato, e venivano reimpilate. Ecco come funziona. Un sacco di usura meccanica e di possibili complicazioni, secondo me si incastravano di continuo ma Philips faceva così: innovava, spesso con estetica ingegneresca e nederlandica. Una completa follia, bellissimo. Di cassette ne ho ancora a bizzeffe, centinaia come minimo, tutte belle organizzate e, chissà, smagnetizzate. Ma se avessi un magnifico deck rs-296US allora sì che potrei, allora sì che il sole mi splenderebbe in casa, allora sì che tutto avrebbe finalmente senso. Allora sì.
Cioè Apple lo presentò e lo mise in vendita dal 24 gennaio 1984 al 1º ottobre 1985, al prezzo di $2,495. Che oggi sarebbero circa settemila dollari. In quella finestra, mia madre con un balzo evolutivo grandioso che ancora oggi le riconosco lo comprò, alla modica cifra alla quale era in vendita in Italia allora: sette milioni. Per capirci, il prezzo di una Panda 45, modello lanciato l’anno prima da FIAT e di grandissimo successo. E in più, la stampante ad aghi, stesso prezzo. Due auto, quindi. Ma per il suo lavoro fu impagabile, dall’alto dei suoi 128k di RAM, niente disco fisso, interfaccia grafica che tutti gli altri se la sognavano e dischetti da tre e mezzo. Ciao altri, ce l’ho ancora e va. L’ho già raccontata. Per dare un’idea della legge del raddoppio, il Macintosh Plus del 1986 aveva 1mb di RAM espandibile a 4 e floppy a doppia densità, fino a 800kb. Che tempi. Lo slogan di lancio? Non fidarti mai di un computer che non puoi sollevare! Vero, perdio.
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