Belle le foto di Portoghesi di Borromini, c’è la mostra.
Anche perché Portoghesi poteva arrivare dove gli altri no, vedi la foto qui sopra, ovvero la sommità di Sant’Ivo alla Sapienza.
Belle le foto di Portoghesi di Borromini, c’è la mostra.
Anche perché Portoghesi poteva arrivare dove gli altri no, vedi la foto qui sopra, ovvero la sommità di Sant’Ivo alla Sapienza.
Ho mangiato una mela.
Una mela rossa.
Rossa dentro. Dove il mondo diventa mancino, la mela lasciò il suo vecchio vestito e prese l’abito da sposa più rosso, più rosso. E via.
È la Kissabel Rouge o Weirouge o quel che si vuole, ha gli antociani dentro oltre che sulla buccia. Ed è magia o lago di sangue, a seconda. E la mela salì, salì, salì, salì, salì.
Il genio, ancora una volta, si manifesta tutto attorno con intuizione, fantasia, colpo d’occhio e, appunto, velocità di esecuzione. Questo è magnifico.
Scrivere sui muri è arte sopraffina e dovrebbero farlo solamente coloro che sanno ciò che scrivono. Con ‘pas de quartier’, anche se si intuisce, si intenda ‘nessuna pietà’ e il luogo è un muro di Marsiglia, scorsa primavera.
le scritte sui muri:
a saperlo prima, aggiunte, arriva l’estate, attualità stringente, avverbiunque, basta!, bellalavita, bellezza assoluta, braccia restituite all’agricoltura, dal libro dei Savi IV, 42, dialettica politica, e tutto il resto, fatevi una vita, fuori gli obiettori, i cattivi, i lavoratori più disciplinati, i tre comandamenti, il benessere, il clero, il formaggio, il genere, la lasagna, la musica alternativa, le certezze, le decorazioni, l’immigrazione, l’indignazione, maledetta la fretta di far la rivoluzione, maria jessica, mentalità aziendale, nella strada e nella testa, palumbo, pas de quartier, però serve, pio pio tutto io!, politica contemporanea, possiamo smetterla?, prima sopra, ora sotto, rubare ai richi, sintesi politica, sintesi politica due, speranza per tutti, superminimal, togliete quei maledetti calzini, uomini al bar, voce del verbo rapire
Penso di poter affermare con un buon grado di certezza che la copertina su cui si siano imbizzarriti di più i grafici editoriali sia Lolita di Nabokov. Ragazzine ammiccanti da ogni parte, da una vaga sobrietà alla più spinta esposizione senza freni che poco hanno a che vedere con il romanzo. Quattro esemplificative tra le ragionevoli, nessuna idea buona davvero:
Per tentare di ovviare allo scempio o, quantomeno, denunciarlo visto che dura da decenni o pro domo sua, l’architetto John Bertram ha lanciato un concorso per nuove copertine del romanzo e, tra molte, spicca per arguzia quella ideata da Jamie Keenan, che è uno bravo.
Sia perché richiama, com’è ovvio, il corpo, sia perché l’angolo è il posto dei colpevoli, sia perché è la stanza della ragazza e così via. Notevole. Poi Bertram ci ha fatto un libro, Lolita: Story of a Cover Girl. Comunque, io mai letto e nessuna tentazione, sono onesto, troppe cose da leggere prima.
La prima è il Baltic Forest Trail che, come dice il nome, scorrazza per le foreste lituane, lettoni ed estoni per 2141 km, partendo dal confine polacco-lituano a Lazdijai fino a Tallin. O, ovviamente, viceversa.
Su sentiero, ciclabile o passerella, tutto il percorso, che è parte dell’E11, sentierone che parte dai Paesi bassi, richiede tra i centodue e i centoquattordici giorni per essere ultimato ed è suddiviso in segmenti da circa venti chilometri pari a uno massimo due giorni di cammino, tutti punteggiati da posti in cui soggiornare e trovare trasporti.
Uno dei tratti più belli è quello tra Riga e Tallin, il Metsa trail, suddiviso anch’esso in cinquanta tappe da un giorno, ciascuna da venti chilometri, ha anche alcune varianti in base alla difficoltà ed è completamente servito, l’asfalto è molto raro.
La seconda proposta, come da titolo-promessa, sempre per svagarsi a piedi o in bici in Livonia, Curlandia, Semgallia e Samogizia, è il Baltic Coastal trail che, come dice il nome, costeggia tutta la costa del mar Baltico lungo le tre Repubbliche Baltiche. 1419 km, circa una settantina di giorni di percorrenza è parte dell’E9, ovvero un percorsone dal Portogallo all’Estonia che segue tutta la costa nord dell’Europa.
Stesso tipo di segmentazione, tappe da venti chilometri, il massimo di altitudine raggiunta sono i 67 metri delle dune nella penisola di Neringa, ne ho parlato qualche mese fa quando ne ho fatto un pezzetto, girolando tra Nida e Klaipėda. Posti strepitosi e alcune tra le pinete più belle che io abbia mai visto, mi riposto per testimonio:
Farne qualche pezzo, saltare di qua e di là, star via centosettanta giorni andando per l’interno e tornando sulla costa, a ciascuno quel che voglia. Tra l’altro, i due siti che ho indicato sono una meraviglia, dettagliatissimi tappa per tappa, persino con le tracce gpx da scaricare, non oserei chiedere di più. A me che sto qui a scriverne e fantasticarne già mi brucia la sedia sotto al sedere, accidenti alla funzione di servizio.
Come evitare la seconda guerra mondiale, chiede una persona in rete, senza però uccidere Hitler?
Uccidendo tutti gli altri, risponde quello fuori dagli schemi. Estasi ineccepibile.
Torna Tusk, Kaczynski a quel paese, il 75% degli aventi diritto ha deciso, viva i compagni polacchi, la fratellanza e l’amicizia tra i popoli, il sol dell’avvenire e avanti tutta con un bel piano quinquennale. Io parto prontamente per la Polacchia, ci andavo volentieri con gli orchi, figuriamoci ora.
Oh II, finalmente II è II uscito II.
E io vado eccome, appena capita. Posti piccoli, grandi suoni, vicinanze fisiche e musicali. Ma ora ascolto.
Elliot Erwitt è un grande fotografo. Giovane con Capa, Steichen, Stryker e i giganti, lavorò ad ampio spettro per la Standard Oil e seguendo i grandi avvenimenti dalla visita di Nixon in URSS nel 1959 all’insediamento di Obama. Nato a Parigi da genitori ebrei russi e poi naturalizzato americano, prima di parlare di politiche di immigrazione bisognerebbe sempre ricordare i contributi dati al mondo in ogni campo da chi si muove, chi si mischia, chi cambia. Chi sta fermo, in generale, ha meno da offrire.
Teorico della fotografia che coglie l’attimo, che scatta nel momento giusto senza costruire la posa ad arte, ha spiegato al riguardo: «All photographers strive for that special moment that transcends the subject and transcends the place and [has] something that last and can be looked at for years to come. And that’s what is called magic», traduco malamente: «Ogni fotografo lotta per quell’attimo straordinario che trascende il soggetto e trascende il luogo, ed [ha] qualcosa che dura e che può essere guardato negli anni a venire. E questo è ciò che si chiama magia». Famose molte sue foto, la signora con la faccia di bulldog sugli scalini, la bambina al museo egizio e così via. Non si tratta, ovviamente, solo di aspettare e cogliere, per quello uno fotografa un saltatore in lungo con un tempo brevissimo. Si tratta di partecipare a ciò che si inquadra, di averne compassione, di condividerne la sorte, di coglierne e restituirne l’umanità ed è questo che rende Erwitt grande.
Una delle sue molto riuscita è la fotografia scattata al Prado, nella sala in cui sono esposte affiancate la Maja vestida e la Maja desnuda di Goya.
Va spiegata? No, non credo. È buffa, anzi sono buffi quegli uomini ingruppati che sembrano aggiungere al senso dell’arte qualcos’altro, e il tizio in primo piano in impermeabile – porello, inconsapevole – aggiunge un elemento non da poco in questo senso; la contrapposizione con la donna composta, sola, che osserva con attenzione la vestida completa la composizione della foto.
Ricordo un’intervista di Erwitt in cui spiegava che, come tutte le sue foto, anche questa non fosse preparata, si trattò solo di aspettare, aspettare finché non fosse venuta un’occasione. Non disse, o non lo ricordo, quanto aspettò, chissà se scene del genere in quella sala siano frequenti oppure no, non saprei che augurarmi.
Sto lì, guardo questa grande foto che dice molto su noi persone con grande umanità, mi aspetto sempre che a un certo punto l’uomo apra l’impermeabile verso la Maja ma, forse, questo è ingiusto.