Non è quel momento dell’anno preciso ma è sempre il momento di contribuire a tenere in piedi «il più grande progetto collaborativo nella storia dell’umanità» nonché, più modestamente, il sito che visito di più, wikipedia. Stavolta ho rischiato pure di romperla, cercando ‘wikipedia’. Non sarò l’unico a usarla. E quindi? Quindi sostenere, sia editando che correggendo che, più volgarmente, cacciando due lire o tre.
Non è tanto per quello che possono sequestrare, che comunque ha la sua buffa rilevanza, quanto per la posa con la merce, spesso con lo sguardo intenso e pensoso verso l’oggetto o l’animale o l’obbiettivo. Un contatore. Del gas.
E quello della luce. Entrambi i carabinieri fotogenici e bellocci, vigilano anche sull’energia.
Sublime la posa coreografica dei due, incrociati sulla bestia:
Più noncuranti quelli di Agrigento con le pecore, nemmeno un minimo di composizione fotografica (però c’è chiaramente un ispettore, in campo):
Molto meglio questa, con la carabiniera che simula un momento di lavoro, verbali e carte, in mezzo al sequestro. Colgasi il dettaglio del lampeggiante, colto acceso, non casualmente. Chissà quante ne hanno scattate.
Non da meno i forestali, in questo caso in posa da catalogazione, uno dice: «Fringuello dal collare» e l’altro scrive. Magnifici:
Sempre forestali, in questo caso il giovane guarda il dromedario che guarda l’altro che ricambia lo sguardo. Quasi caravaggesca, ci fosse più chiaroscuro:
Non male per niente il forestale che interviene alla fine del processo della foresta, al momento della salsiccia insaccata e alle centottanta uova:
Tornando ai carabinieri consueti, inarrivabili le prossime tre. La prima con uno che controlla il verbale della confisca del barattolo di crema da spalmare e l’altro con sguardo vigile, è il caso di dirlo, che controlla i movimenti del fermato. Bella anche la disposizione delle banconote su quello che sembra proprio un banco di scuola.
Altrettanto inarrivabile la coppia in posa davanti alle scarpe, ancor più visto che hanno sentito l’esigenza di mettere in posa anche la volante in quello che non sembra per nulla un garage quanto un ufficio. Quello a sinistra pare meno convinto e, infatti, viene sorpreso a guardare in macchina:
Ultimi ma non ultimi, i due del cactus. Lo sguardo di entrambi fisso su di lui aspettando che proferisca verbo e che indichi la strada da seguire è fenomenale:
Una serie paragonabile alla leggendaria e indimenticata serie di Kim Jong-un che guarda cose. (Grazie a Il Post per l’ispirazione).
Caroline Rose, cantautrice apprezzabilissima per la sua Soul n°5 e che parecchio mi fa ridere nelle cose che fa, ha valicato un importante confine nel merchandising:
Il prezzo è giustamente insensato, metti poi che qualcuno li voglia davvero.
Tra gli edifici art nouveau di Ljubljana, sulla piazza principale balza agli occhi uno abbastanza particolare, con un cappellotto davvero strano.
Art nouveau, ma è sempre una definizione di stile insufficiente. Infatti è una declinazione particolare, è stile Sezession viennese, precipuo della ristrutturazione di Ljubljana a fine secolo e scampato all’ultimo terremoto, progettato da Ciril Metod Koch nel 1873 per il commerciante di colori Adolf Hauptmann in Preseren Trg. Eccezionali i decori in ceramica pastellata in alto, sotto il tetto. Un po’ di pastiche con l’edificio precedente, che doveva essere rinascimentale nelle forme, secondo me si nota. Bello? Sì, perché no? Particolare di sicuro, forse non l’art nouveau più pura e affascinante ma di gran moda a fine secolo sotto l’influenza viennese.
Sono davvero davvero lieto di presentare Arthur Wellesley, I ducaconte di Wellington, generale vincitore a Waterloo, due volte primo ministro, Feldmaresciallo Sua Grazia e sa il diavolo che altro, con il suo maestoso cono.
Non avrei saputo pensare a un ornamento più appropriato. Perbacco, uno anche per il suo fido destriero.
È forse un unicorno, chiede qualcuno? Ma che dire? Non bastano i coni per un sì alto rango, ne vanno aggiunti altri, mostrine su mostrine, onori su onori.
Accade poi qualcosa, che so? l’invasione dell’Ucraina, e il ducaconte Wellington è certamente attento all’attualità e non si lascia sfuggire l’occasione di dire la propria.
Anche in occasione di qualche festa dei bambini. Adorabile.
E a natale no?
A volte il ducaconte vuole strafare ed esagera un po’.
(Con questa me faccio addosso per davvero). A volte la Scozia e lui con lei vorrebbe tornare in Europa e lo fanno notare (no, non è il cappello di un mago, era il triste giorno della Brexit).
A volte, invece, si sente solo bene, in forma, e gli va di essere elegante e sbarazzino. Perché quel giorno gli sta bene tutto.
Quando poi la Scozia vince buona parte delle medaglie inglesi alle olimpiadi è proprio il caso di farlo notare.
Come ogni gentiluomo di rango, ha naturalmente un assistente personale che lo riveste a sera.
(E bisogna pure andare con la signora scala tutte le volte). Volendo c’è anche il suv’nir, come si confa ai luoghi turistici.
Quello senza coni ovviamente non c’è. Perché a chi importa?
La statua del ducaconte sta davanti al Royal Exchange di Glasgow, oggi Galleria d’Arte Moderna. Opera di Carlo Marochetti, fu eretta nel 1844 – il ducaconte vivente – per celebrare il vincitore di Waterloo e così in tutto l’impero. Dagli anni Ottanta, almeno, la meravigliosa popolazione locale cominciò a vestire il capo del ducaconte con un cono stradale, così che la marzialità del militare andasse a farsi benedire con fare istantaneo. A ogni rimozione, una nuova collocazione. A volte, come visto, anche più di una, spesso anche il cavallo ne gode. Nel 2005 il consiglio comunale di Glasgow chiese ufficialmente di piantarla, adducendo danni al monumento come motivo, un costo di cento sterline a ogni intervento ma è chiaro che non siano gli argomenti giusti per negoziare in questo caso. Allora approvò un assurdo progetto da sessantacinquemila sterline per raddoppiare l’altezza del basamento ma una campagna prima social e poi di persona in manifestazione, “Keep the Cone”, dissuase il consiglio. Pare che, pervicacemente, si sia testato un software CCTV, costo 1,2 milioni di sterline, in grado di rilevare automaticamente le persone che mettono i coni sulla statua ma la cosa non ha avuto ancora un seguito. Fatto sta che uno o più coni sulla testa del ducaconte ci sono sempre. Il che ne fa uno dei miei monumenti preferiti e, per estensione, l’opera di street art che preferisco per il sensazionale dileggio del potere.
Oggi nel senso di oggi fino al 28 agosto, il Museo ospita la prima mostra ufficiale di Banksy, Banksy: Cut and Run. 25 years card labour – e niente niente avviene mai per caso – e ieri è stato un vero spasso guardare il campionato del mondo di ciclismo – per inciso: gara bellissima, non poteva succedere di più – che per dieci volte ha imboccato il rettilineo di Ingram street davanti al ducaconte ornato, anche stavolta, del suo bel cono.
Per quanto mi riguarda, il cono del ducaconte è motivo più che sufficiente per andare a Glasgow che non brillerà per bellezza in sé ma di certo la popolazione esprime grandi qualità che suscitano la mia più completa riverenza.
Non entrerò nel merito della scelta della RAi di blindare tutti i propri contenuti audio, podcast e trasmissioni (stolti), né sul funzionamento dell’app RaiPlay Sound (mmm) né sull’ideona di tenere distinti i contenuti video da quelli audio su piattaforme diverse (assurdità?), non entrerò per nulla perché mantengo gli impegni. Entro invece nel merito di una trasmissione, che non scopro certo io: Alle otto della sera. Cicli di trasmissioni dedicati a un argomento di volta in volta e proposti da uno specialista: cosa buona e tendenzialmente ben fatta. Al punto che è poi diventata anche una collana cartacea di Sellerio. Il ciclo migliore che ho ascoltato finora e che mi ha tenuto incollato alla radio-fòno – al punto che un viaggio di mille chilometri, zitti zitti a sentire, non ci è bastato per finirlo e saremmo andati avanti a guidare – è il Napoleone di Sergio Valzania.
C’è anche ovviamente il testo. Scrittore di storia militare, non intende tracciare un bilancio della vicenda di Napoleone e delle ripercussioni sulla storia europea successiva, bensì farne un resoconto appassionante di vicenda in vicenda, così finalmente da farmi capire come si possa partire dalla Corsica e possedere poi quasi tutta l’Europa in una ventina d’anni, anche meno. Irresistibile. Il podcast, non Napoleone lui lui. Provare.
Ma che cazzo ringrazi, Meloni? Sul serio: perché? Al Sisi è il dittatore che lo deteneva ingiustamente, lo si sa, sì? Quindi perché ringraziare il carnefice? Detto questo, Meloni cerca di intestarsi una liberazione con cui non ha nulla a che fare – e infatti Zaki non sarà in Italia domani – e a sinistra farneticano di baratti con il caso Regeni. Ma perché, anche qui? Al Sisi poteva benissimo continuare a sbattersene e dell’uno e dell’altro, come negli ultimi tre (e sette) anni ha serenamente fatto. Su, dai.
Il signore straniero di circa sessant’anni che sugli spalti dell’Arena porta la cassetta con acqua e bibite al pubblico durante gli spettacoli e grida: «Dai signori facciamo muovere l’economia» già ha trovato la sua chiave. Quando però aggiunge: «Soprattutto la mia» raggiunge, per svariati motivi, il sublime.
È il nuovo palazzetto di Las Vegas, esattamente lo Sphere at The Venetian Resort. Centocinquanta metri di diametro, ventunmila posti dentro per sport o concerti o altro, fuori centosessantaquattromila altoparlanti e, ovviamente visto che è la caratteristica più visibile, è tutto ricoperto di pixel.
Quindi ci si proietta, mmm trasmette?, qualsiasi cosa si voglia, a seconda.
Uno degli effetti più belli è quando si proietta quel che sta dietro.
Bellissimo. Sta qui. Un secondo, o seconda, è in progetto a Londra. Quello americano sarà inaugurato il 29 settembre con un concerto degli, mah, U2. Infatti immagini dell’interno finito non se ne trovano, al momento. È più la gente che va a vederlo fuori che dentro, notevole.
facciamo 'sta cosa
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