aspettavo questo momento dal 1987

Tardi io, tardi lei, noivoiessi, finalmente Suzanne Vega dal vivo.
Anche se tardivo, così posso non includerla nei miei concerti mancati.

In realtà, nemmeno tanto tardivo, anzi: un concerto molto bello e per nulla nostalgico o dall’aria ripetitiva. Lei è decisamente una ragazza vivace di sessant’anni che fa quel che le piace, convintamente, e si percepisce da disco e decisamente dal vivo. Io che ne sono innamorato dal 1987, ovviamente Luka anche se non ne intuivo granché il senso, oggi anche di più, per bravura e fascino.
Accompagnata da Gerry Leonard, il chitarrista degli ultimi anni di Bowie, che con l’elettrica dà spessore all’acustica di Vega, reinterpreta e riarrangia in maniera brillante un sacco di suoi pezzi (spiritosa, alla terza una cosa del tipo: “e ora una vecchia canzone, così non staremo a chiederci ansiosi quando suonerà le vecchie”), qui una Tom’s diner abbastanza simile, per capirsi. E poi balla, si diverte, esattamente come me, noi. Non mancano i momenti più seri, Last train from Mariupol, apprezzo anche un paio di incursioni nei dischi che prediligo, 99.9F°, Nine Objects of Desire, i suoi testi sono sempre interessanti, musicali e ben scritti. D’altronde, si vede chi viene dalla letteratura.
Ben fatto me, ben fatto lei, noivoiessi, ottima occasione, ne son contento. Certo che a New York nel 1993…

schiavo son dei vezzi tuoi

Serata d’opera all’Arena di Verona per il Rigoletto.

La cosa particolare è la messa in scena, che il regista – Antonio Albanese, guarda te, e io tutta la sera a pensare a Frengostop forse ma forse – ha voluto nel Polesine degli anni Cinquanta. «Omaggio al cinema neorealista del Dopoguerra», dicono, è che comunque è tutto un “Conte” e “Duca”, a me non pare aggiunga nulla di utile. La musica comunque è notevolissima, non lo scopro io, molte arie che conoscevo le risento, finalmente collocandole, grandi interpreti. Ammetto che alla terza ora di struggimento amoroso perdo la concentrazione e vedo uno col cappotto che vuole qualcosa da uno senza cappotto, davanti a una donna che non credo di aver mai visto prima, finché non muoiono pressoché tutti.

una giornata di fine giugno di sette anni fa

Io e molti molti altri camminammo su un lago.

E sapevamo che non sarebbe stato ripetibile.
Un’incredibile esperienza e interazione con quell’arte contemporanea che quando è fatta bene, e quella lo era perché non solo visiva, l’arc de triomphe per dire, ma tattile e soprattutto collettiva, fatta insieme per davvero, lascia un segno vero.

Con le persone con cui andai allora stiamo ricordando anche oggi con trasporto quel che fu quella giornata e, ancora, parecchia emozione persiste. Che potenza, Christo.

dà sempre trentaquattro?

La puntata di ieri di ‘Comizi d’amore’ è stata strepitosa, come spesso accade. Non è stato troppo difficile indovinare quasi, quasi, tutti i film.
A tema scuola, si apre con il Moretti di “ma magari non interessa” e la classe che ovviamente risponde: “sì, sì, interessa”, sul calcolo del quadrato magico di Dürer in ‘Bianca’. E poi alcuni pezzi da ‘Auguri Professore’ di Riccardo Milani che sono, appunto, da antologia: “Quanti anni ha la tua professoressa? Cento?”.
Buona parte del bello di ‘Comizi d’amore’, secondo me, è che è la domenica dalle 13.20 alle 14.00, un momento poetico e mezzo morto perfetto per “quaranta minuti di musica e dialoghi cinematografici trasposti, isolati, destrutturati per creare nuove forme emotive di ascolto”, specie in una domenica agostana come ieri. Cerco di ascoltarla alla radio per questo.

«possiamo concludere che il sovrano, ben lungi dall’essere il padrone assoluto dei popoli che sono sotto il suo dominio, per quel che lo concerne non ne è che il primo servitore»

Molto buono il saggio di Alessandro Barbero su Federico il grande.

A differenza di altri suoi saggi, vere e proprie lungaggini in cui si perde in rivoli interminabili di particolari minimi senza distinzione – per esempio il suo Carlo Magno in cui per quattrocento pagine pretende di descrivere gli aspetti più minuziosi dell’organizzazione sociale, politica e dello stile di vita dei carolingi, o come diciamo noi più avvisati pipinidi – questo è un saggio breve, ben scritto, dritto al punto. Persino divertente, sicuramente piacevole. E racconta una figura di sicuro interesse a capo di una nazione di grande interesse anche per il ruolo, inconsapevole e in parte immeritato, rivestito alcuni decenni dopo nell’ascesa nazionalsocialista.
Raro che qualcuno riceva in vita il titolo di Grande, der Große, a Federico II capitò, sia per capacità che per circostanze fortunate che fecero di un amante della musica e delle belle lettere, un po’ impacciato, insicuro e succube dell’ingombrante e fastidioso padre, un ammirato capo militare in tutta Europa. Sfacciato, pure, nell’invadere la Slesia approfittando della debolezza della successione di Maria Teresa, disinvolto in Boemia, illuminato verso i sudditi, interessato sempre alla cultura, aspirante filosofo, giusto nel suo Anti-Machiavel, divenne comunque il militare che aveva odiato nel padre.
Una bella occasione anche per ascoltare l’Offerta musicale di Bach, non farò finta la conoscessi prima, che il musicista compose su un tema suggerito da Federico, modesto flautista e compositore appassionato, mentre gli mostrava in cosa consistesse la scrittura di una fuga.