quest’anno ho buttato duemila minuti

Non ascoltando musica, chissà che cavolo ho fatto.

Il 7 gennaio è stata evidentemente una giornata gloriosa, forse aspettavo Ascanio. Sopra tutti, gli Shins e ne vado consapevolmente fiero, pezzo i Wombats di Let’s Dance to Joy Division. Idem. Ovviamente è tempo di Wrapped su Spotify, chissà quanto potrei fare ancora in questo dicembre. Che poi le cose vanno sempre nel modo più inaspettato, proprio ora per esempio sto sentendo Bootylicious delle Destiny’s child, vedi la vita?

cinque pezzi strani (consigli di lettura)

È una cosa che facevo tempo fa, i consigli di lettura dei libri più belli sul mercato sottostante. Beh, perché non rifarlo se ci sono dei libri per cui ne valga per davvero la pena? Avanti, dunque, in ordine crescente di bellezza.

L’ossessione per il cuoio, sesso e sessualità nel vecchio West: Hell-Bent for Leather: Sex and Sexuality in the Weird Western, Kerry Fine, Michael K. Johnson, Rebecca M. Lush, Sara L. Spurgeon. Sarebbe ‘strano’, weird, non vecchio, a voler essere precisini. Ci si sono messi in quattro, copertina più bella.

Un bel manuale per crescere dei figli: How to Dungeon Master Parenting, Shelly Mazzanoble. Prima di inorridire del tutto, credo che il dado alluda al gioco, gamifing, più che al compiere le proprie scelte tirando a caso. Educatori morti.

Dopo il re pescatore, la filosofia del pesce, storioni, caviali e una del tutto da capire geografia del desiderio: The Philosopher Fish: Sturgeon, Caviar, and the Geography of Desire, Richard Adams Carey. Lo sfondo di caviale è da gran premio della giuria.

Difficile scegliere a questo punto ma tocca. Ecco dunque: Looking through the Speculum: Examining the Women’s Health Movement, Judith Houck. Il riferimento è chiaramente ad Alice attraverso lo specchio ma qui lo specchio è uno specolo e ciò che c’è da vedere è lo stato di salute delle donne. Lo sguardo appassionato delle spettatrici, specie della fumante, trasmettono tutto l’entusiasmo della cosa.

E per chiudere, Killing the Buddha on the Appalachian Trail. Walking On Through Self-Doubt and Aging, John Turner. Un manuale, pare, per uccidere Buddha sul cammino degli Appalachi, imparando a gestire l’invecchiamento e l’incertezza di sé. Ma non potrebbe aiutare Buddha in questo? Ma che ha fatto il porello?

Tutti in gara per i titoli più strani, diciamo originali o stravaganti, chiaramente. E chissà dentro che spasso.

“gli animali sono esseri scorrevoli; però il rinoceronte ha il freno a mano”

È tempo di rinoceronti nell’arte contemporanea:

Appesi o che se la piglino con gli affari mediali attuali, quelli che ho visto io di recente. Ma non sono una novità, il rinoceronte sta comodo nell’arte sin da Dürer:

E anche da ben prima, spesso pure meno idealizzato. Per esempio, il rinoceronte nella grotta di Chauvet, circa trentacinquemila anni fa:

O quello simpatico e tondolone del vaso rituale in bronzo a forma di rinoceronte, 1100-1050 a.C., dinastia Shang, Cina, tendente all’ippopotamismo:

E sarebbe lunga, proseguendo con i mosaici della villa romana del Casale del III sec. d.C. e andando innanzi fino a Dalì, Warhol e Niki de Saint-Phalle e, appunto, a quelli all’inizio in luoghi pubblici, passando per la Signorina Clara dei Paesi bassi del 1741.

minidiario scritto un po’ così al di là de «il discendente»: sei, torno, la situazione si è complicata e di molto

Ecco, la disfatta elettorale americana mi ha distolto dalla conclusione del minidiario giordano e, devo dire, reso piuttosto di cattivo umore. Ma le cose vanno concluse, va messo un punto per partire con altro. È chiaro che, come per l’Ucraina, per Gaza ora le cose si fanno difficili – ancora più difficili -, non a caso in Israele si è fatta festa per la vittoria di Trump, il carnefice criminale Netanyahu idem, era due settimane fa a casa Trump in Florida, dove ha passato la fine settimana, figuriamoci.
Scrivo ora da casa, ampiamente tornato: ne apprezzo il verde, l’erba, le piante, dopo molto molto seccume e deserto, sabbia e polvere, la terra promessa… Questa è una cosa che se uno non ci è nato, si fa fatica o, almeno, la faccio io. Per il resto, la domanda nello sguardo delle persone con cui parlo dopo il ritorno è: ma non è pericoloso? No, non lo è, le condizioni della Giordania sono più che sicure, proprio per quel trattato di pace ineguale con Israele che li mette al riparo da un lato e da una certa capacità di equilibrismo con gli altri paesi attorno che sono, però, genericamente arabi allo stesso modo. Di sicuro, un paese come la Giordania che campa di aiuti internazionali per le decine di migliaia di profughi che accoglie e, soprattutto, di turismo, la situazione attuale sta mettendo in difficoltà tutta l’economia dello stato e la condizione personale degli individui: guide turistiche, autisti, operatori, impiegati del settore, tutti quanti subiscono il calo superiore all’ottanta per cento del numero dei turisti, il che vuol dire non lavorare proprio. A Petra, dove dopo una certa ora non si cammina dalla ressa, non dico fossi da solo ma insomma poco ci mancava. E, ammetto, la cosa ha influito anche nella mia decisione di andare proprio ora.

autoritratto

Nel frattempo, ha nevicato nel deserto di Al-Jawf, in Arabia Saudita, di cui il Wadi Rum è la piccola estensione giordana. La notizia è pessima, è la prima volta a memoria d’uomo che la cosa accade ed è sintomo, l’ennesimo, di un cambiamento radicale che non va bene per nulla: correnti d’acqua e d’aria, temperature di terra, mare e cielo che cambiano e spostano equilibri che, a vita d’uomo, consideravamo immodificabili e che, in quel poco di tempo da cui esistiamo, ci hanno consentito di svilupparci nelle direzioni che conosciamo fino a oggi.

Certo, poi se si vota Trump… Sono partito con agenti Frontex a fianco, concludo con due funzionari di UNHCR, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, in attesa in aeroporto. Passano due caccia in cielo diretti verso est, va’ a sapere, e un elicottero dai colori militari volteggia attorno da un poì, anche qui chissà. Non sono i primi, ogni giorno o quasi è capitato, d’altronde le basi militari dei paesi colonialisti, come dicono qui, sono molto vicine. Succede un mezzo casino ad Amsterdam dove, pare, un gruppo filopalestinese aggredisce un gruppo di tifosi del Maccabi Tel Aviv e la cosa non è sorprendente: chi a Gaza ha perso tutto crescerà nell’odio più profondo per Israele, dato lo strapotere militare chi potrà esprimerà il proprio odio lontano, persone e luoghi legati al paese oppressore in questo momento, i quarantatremila morti in un anno sono un abominio.
Ora so molte cose in più di quando sono partito, e questo è già molto, adesso ciò che ho visto deve avere una rilevanza per ciò che sono e faccio, altrimenti non ha senso, è farsi viaggiare senza scopo: deve modificarsi di conseguenza il mio modo di affrontare le cose, di raccontarle e condividerle, come dopo ogni viaggio o persona rilevante incontrata. Guardo fuori, stanno arrivando gli storni come sempre fanno a novembre. Mi piace guardarli volare, non sono sicuro sia un novembre, questo, in cui fare degli auspici, meglio non fare domande di cui si temono le risposte.


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minidiario scritto un po’ così al di là de «il discendente»: cinque, piove e il gatto eccome se si muove, sì, ma che hanno fatto per noi?

A un certo punto tuona. Poi ancora e vien su un gran grigio. E poi diluvia, eccome se diluvia. In realtà non è che la cosa sia rara, tutt’altro, sono io che mi rendo conto che non so nulla delle zone desertiche e come funzionino. Per esempio, suppongo che non piova mai ed è invece vero il contrario. Mamdouh mi spiega la differenza, ovvia a saperlo, tra zone aride e zone desertiche. Già. Osservando le rocce e le striature ovunque, oltre alle cisterne nabatee, le vasche di raccolta secondo pendenza, si capisce che piova, e pure spesso e ancor più spesso improvvisamente e a carattere di nubifragio. Siamo pur sempre vicino a un mare, Mediterraneo, e a un altro, Rosso. Il che, intendo la pioggia, spiega peraltro come accidenti ci siano abitazioni nel niente niente. Nel 1963 ventidue turisti francesi morirono intrappolati in una grotta di Petra, due anni fa le forze dell’ordine evacuarono millesettecento turisti in pochi minuti a fronte di fiumi di fango improvvisi. Io però sono alla cittadella di Amman, quindi in alto, e sono seduto al bar a prendere un caffè, quindi tutto quello che devo fare è sedermi all’interno e contemplare. Facile.

Amman è una cittadona senza confine, fino all’Ottocento era un modesto villaggio, oggi oltre che capitale un inurbamento di oltre cento chilometri di raggio. Con un grande passato, però, fondata dagli Ammoniti, ricostruita dai Tolomei che le diedero il nome poi durato nel tempo, Philadelphia, sì, proprio così, poi eccetera eccetera, tutta la sfilza di passaggi e dominii. La cittadella, ovvero una delle colline della città, la più centrale, mostra i segni di ogni passaggio, dalla chiesa poi moschea omayyade alla statua di Ercole di oltre tredici metri alle abitazioni ottomane. Poi, dopo la grandezza, conobbe la decadenza fino a divenire un villaggetto da niente e poi, in un secolo, una città tentacolare, in cui i tre piani per legge poi diventarono quattro e poi cinque e poi cominciarono a contarli solo dal livello della strada e poco importava se gli altri dieci piani scendevano lungo la collina.

E questo perché? Inurbazione? Profughi? Sì, certo, dalla Siria, per fare un esempio, ne arrivarono ottocentomila tutti in una volta. Ma anche per demografia matta, non ho conosciuto nessuno che avesse meno di quattro figli in questo giro, dal tassista al dirigente politico. E sei fratelli, almeno. Ad Amman c’è l’ospedale di Medici senza frontiere più importante di tutta la zona, proprio perché la Giordania raccoglie i profughi e i feriti da tutto il medio oriente. E soprattutto dallo Yemen, adesso, in cui una guerra civile disastrosa infiamma la regione da più di dieci anni, coinvolgendo nove stati sunniti contro quelli sciiti, bombardamenti aerei inclusi. Nell’ospedale di Medici senza frontiere curano chiunque arrivi, un ferito è un ferito, non chiedono nemmeno l’identità, ci sono state alcune puntate di Cecilia Sala recentemente sul punto. Ed è, credo, l’unico atteggiamento possibile in una zona del mondo in cui il Fronte di liberazione palestinese è in conflitto con il Fronte di liberazione della Palestina.

Vado a Jerash, Gerasa una volta Antiochia sul fiume d’oro e così qualche altro nome dell’antichità che va a posto, per quel che durerà. L’Antiochia sull’Oronte è invece in Siria ed è quella la più nota, capitale dei seleucidi. Mai una volta che a scuola ci abbiano fatto vedere una mappa, eh? Va bene, ma cos’hanno fatto i Romani per noi? Uhm, gli acquedotti, l’igiene, le strade, le fognature, l’irrigazione, l’istruzione, il vino, le terme pubbliche, la sicurezza e la salute pubblica. Va bene, ma a parte l’igiene, la medicina, l’istruzione, il vino, l’ordine pubblico, le fognature, l’irrigazione, le strade, il sistema di acqua potabile e la sanità pubblica, cosa hanno davvero fatto i Romani per noi? Jerash è una delle città romane più imponenti e sontuose che io abbia mai visto, due teatri, tre decumani maggiori allineati, un foro ellittico che solo forse Palmira, colonne in granito rosso d’Egitto che solo Roma si poteva permettere, quadrivi monumentali, templi con dentro altro templi con dentro altri templi. Sì, ma quindi? Niente, non hanno fatto niente per noi. Sembra una battuta ma è così, il sentimento generale è che tutto provenga da qui e, in effetti, in parte è anche vero, provenendovi un bel pezzo di civiltà umana. Però, insomma, moderazione e realismo, dai. Il superbonus è nostro.

Difficile arrivare a un punto, qui. La Giordania stessa è un paese palestinese legato a doppio filo a Israele, poco lontano da qui ci sono le basi americane e francesi e inglesi che vanno in appoggio quando serve, oggi c’è stata la prima incursione in Iran, per quanto terrestre, e a molti tocca abbozzare. Pare che Ragna regina di Giordagna sia a Parigi da due mesi e che il re mediti di fare lo stesso, abdicando. Per quanto l’erede sia stato definito nei modi più svariati da coloro che hanno risposto alle mie domande, da good guy a totally jerk con tutte le tenui sfumature che ci sono in mezzo, le relazioni non cambieranno e la tanto sospirata unità dei popoli arabi non ci sarà. Perché il Fronte di liberazione palestinese farebbe volentieri la pelle al Fronte di liberazione della Palestina ben prima che a Israele.


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minidiario scritto un po’ così al di là de «il discendente»: quattro, fortezze, mare, sale, deserto, pensamenti

I racconti si accumulano. Mentre Israele ha attaccato non solo il sud ma anche il nordest del Libano, contraddicendo le previsioni ottimistiche di voler solo creare un’area cuscinetto a nord di Israele, qui non se ne percepisce alcun effetto. Se non nei discorsi. Sento racconti personali, di famiglie di Jaffa scacciate ed espropriate dei propri beni nelle tende dei profughi in Giordania e Siria, in condizioni disumane senza documenti con potere di movimento ma solo di identità; e discorsi massimalisti – due ore di cena interminabile, per esempio – in cui si spazia tra Lawrence d’Arabia, colonialismo inglese, accordi di Oslo, i Rothschild, la rete dell’ebraismo internazionale fino ai protocolli dei savi di Sion, figuriamoci. Sento di tutto, dal ragionamento politico su Israele, Egitto, Iraq e i reciproci rapporti passati e attuali, pacato e basato su fatti, all’antisemitismo più assurdo, fatto di luoghi comuni triti e insensati, dall’usura alla regia occulta di ogni avvenimento della storia. Ovvio.

Andando verso sud, visito alcune tra le fortezze più importanti di questo lato del mar Morto, Masada, quella della rampa romana per l’assedio, è di là. Kerak, Shobak, viste le posizioni eccezionali su spuntoni di roccia in mezzo alle valli carovaniere, grandi canyon di roccia gialla nel punto più basso della terra, furono occupate dal paleolitico, poi da non ricordo chi, dai greci, nabatei, romani, seleucidi, omayyadi, mamelucchi, bizantini, crociati, ottomani e così via. A me piacciono le pinete sul mar Baltico, moltissimo, ma se c’è un motivo per cui poi finisco sempre in questi posti battuti dalla sabbia è proprio questo: il susseguirsi, direi l’accatastarsi, di vicende umane. Una spremuta di melograno per strada, un’insalata araba, come la greca ma al posto della feta ha un chilo di cipolla, grandi saluti con tutti e ancor di più quando mi sanno italiano – la politica filoaraba di Mattei, Craxi e compagnia bella? – e proseguo per la depressione del mare.

Dove c’è acqua, si coltivano persino angurie, e poi pomodori, cipolle, carote, patate, banane, tutto buono, fuori sabbia, saline nella parte sud del mar Morto che perde ogni anno un metro di profondità, forse esagerato, ovvero quaranta chilometri di lunghezza negli ultimi decenni, questo si vede a occhio. E indovina? Esatto, l’acqua del Giordano è stata deviata dagli israeliani nel 1968 a seguito della guerra dei sei giorni e della quintuplicazione del territorio israeliano. Mi colpisce a un certo punto Samir quando parla dell’ebraismo come “religione biologica”, intende che si è ebrei per nascita e solo per parte di madre ma sottende il concetto di ‘popolo eletto’ e, quindi, alla fine trionfatore, mentre l’accento di islam e cristianesimo sarebbe di più sull’inclusione, senza distinguere più di tanto tra convertiti e non. C’è del vero. L’ebraismo non contempla la conversione, se non in termini occasionali e comunque non paritari, non la incoraggia, a differenza di musulmani e cattolici, non tende ad allargare la comunità se non in termini, appunto, biologici. Sarebbe un bene, diceva Natalia Ginzburg in un articolo dopo la strage alle olimpiadi di Monaco del 1972, se Israele non fosse “una nazione potente, aggressiva e vendicativa” ma un “piccolo Paese inerme e raccolto”. Il ragionamento seguiva una strage e una rappresaglia prevedibile del Mossad e proseguiva spiegando che la sola scelta possibile è “essere dalla parte di quelli che muoiono o patiscono ingiustamente”.

Giù, al confine con l’Arabia saudita, al Wadi rum, un deserto rosso di grande effetto. Attraversato da sempre da carovane provenienti da sud e da est, lo testimoniano numerosi graffiti rupestri, oggi è una riserva naturale, seppur in certe zone ampiamente frequentato. I nabatei, rieccoli, erano i padroni delle rotte e delle tratte, lunghe carovane di oro, incenso e mirra – ricorda qualcosa? Sì, erano loro -, spezie, tessuti e così via dal lontano est verso il Mediterraneo. E le vie del deserto bisognava conoscerle a menadito, è grande e pare tutto simile, facile perdersi. E dietro le famiglie, il cibo, le guardie, gli esploratori, Petra era dunque al centro di queste rotte, sensato farne la propria capitale. Esco a guardare le stelle, che in pianura padana non conosco, e a godermi il silenzio. Mi han detto di stare attento ai cani, finché non abbaiano non ci sono. Vado, ascolto e sto a tiro di corsa, difficile negoziare coi cani, non è che uno arriva e spadroneggia nel deserto.


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minidiario scritto un po’ così al di là de «il discendente»: tre, cerco di parlare di politica locale, cammino sotto il sole, forse trovo qualcosa

Qualcuno mi racconta che, nel 1947 all’arrivo dei primi ebrei in fuga dall’Europa, i suoi nonni donarono loro alcuni terreni che, poi con l’istituzione dello stato di Israele, diventarono quel che poi sono oggi, il centro di Tel Aviv. E i nonni fuori. Poi, io che considero come tutti gli europei il governo giordano una monarchia costituzionale e tutto sommato rispettosa di certi diritti vengo contraddetto molte volte, mi viene spiegato come sia invece il contrario, nessuna opposizione se non controllata dal re stesso, nessun quotidiano discordante, nessuna radio se non quelli, appunto, controllati.

Anche il re giordano sarebbe in mano al governo israeliano, mi spiegano in molti, e il trattato di pace avrebbe allora tutto un altro aspetto. Anche tutti gli aiuti internazionali, erogati per aiutare a sostenere la pressione dei profughi della macroregione sulla Giordania, almeno formalmente, sarebbero invece un modo sostanziale per mantenere lo stato allineato all’occidente. Certo, ovvio che devo fare mille tare a quanto mi viene detto ma, come sempre, è utile venire a vedere dall’altra parte. Ah, qui non la chiama nessuno Giordania: la chiamano Palestina. Per saperlo, ecco. Anche in Yemen, sul fondo della penisola arabica, c’è la guerra, in questo caso una guerra civile, ma gli effetti della situazione a Gaza si ripercuotono anche lì, con gli Houtu che nel mar Rosso intercettano le navi in nome della libertà palestinese. Si tratta chiaramente di strumentalizzazione ma fa parte del sistema di geometrie variabili per cui chiunque nell’area si muove in reazione a un’azione altrui, vuoi per vicinanza, convenienza va a sapere che. Ormai è tutto talmente compromesso e da troppo tempo che cercare una logica lineare è una perdita di tempo e risalire di azione in azione, di posizione in posizione indietro nel tempo, altrettanto. L’idea che mi viene trasmessa maggiormente è che Netanyahu non solo non si fermi perché criminale ma, a questo punto, non si possa più fermare perché, a potere perso, dovrebbe rispondere di ciò che ha fatto in questo anno. Forse negozierà un’uscita ma non ora.

Scendiamo a sud, ovviamente voglio vedere la piccola e la grande Petra, ci mancherebbe che già che son qui non ci andassi. E così è. Un paio di cose, altrimenti sarebbe troppo lungo e complesso raccontarne e poi, comunque, esistono le guide esaustive. La prima è che noi chiamiamo Petra un solo monumento, anzi a essere precisi, una tomba mausoleo, quella che sbuca fuori al termine della gola, quella di Indiana Jones e chiamata, propriamente perché lo è, “il Tesoro”. In realtà, Petra è un’enorme città, le tombe scoperte sono circa ottocento, molte delle quali simili alla prima, ed è ancora in gran parte da scavare. Per arrivare all’ultima, “il Monastero”, cammino prima un’ora e poi in salita per quasi mezz’ora, per più di settecento gradini tra le gole di roccia rossa. Questo per dire delle dimensioni. Fino a pochi anni fa la vecchia Petra, abbandonata per un millennio dopo le glorie nabatee, era abitata dai beduini e in piccola parte ancora lo è, in alcune grotte ai margini. Poi fu costruito un villaggio qui sopra, sono in realtà case modello-calabrese, per i beduini, in cambio dello spostamento. I nabatei, poi. Ci sarebbe molto da dire, popolazione davvero interessante di cui sto apprendendo ora le caratteristiche e la storia, fino a due giorni fa per me ignote. Magari più avanti, è già venuta lunga oggi e non è nemmeno mezzogiorno.

Come da prescrizione, tralascio le coppe più sontuose e scelgo la coppa più umile, quella certamente fabbricata da un modesto falegname. Eccola.

Se questo è il sacro Graal, allora qualcuno stia molto molto attento a sé da adesso in poi, eheh. Anche se, forse, non era proprio questa l’idea iniziale, sospetto.


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