Ecco, il servizio è quasi finito, grazie. Mi sono tenuto in fondo i più belli, in fondo in fondo il più bello di tutti, ne valeva la pena. Citandomi, “fedele alle funzioni di servizio, l’Ufficio Analisi Elettorali, sezione Europea (UAE-E) di trivigante prosegue la sapida disamina dei simboli elettorali depositati per le elezioni di domenica prossima”, vabbuò. Ecco l’ultimo giro.
Anche il simbolo di Italia Moderata è l’ennesima volta che viene presentato, e il suo fondatore, socio unico, ispiratore e amministratore Antonio Sabella insiste nel ricordare, ci tiene, che il suo arcobaleno, poi copiato a mani basse, sia stato il primo di tutti e che nel suo caso alluda a un’alleanza con l’Alto.
Moderati son moderati, va detto. Anche nella scelta dei colori e delle scritte. Forse più Italia Modesta, ecco. I penultimi due, che vanno necessariamente affiancati. Quello a sinistra è il simbolo di un partito, il Partito pirata italiano, che cinque anni fa si era presentato apparentandosi con il Partito Pirata Europeo, evitandosi così l’onere della raccolta firme. Poi però hanno litigato e allora alcuni pirati italiani hanno costituito l’associazione Pirati che, richiamando lo stesso simbolo – nel tondo piccolo – si sono associati a quello europeo, tagliando fuori di fatto il primo soggetto. La domanda è: ma su cosa avranno litigato? P2P, protocolli, 1080 e 4k? Boh. E in che differiranno i loro programmi? Windows e Linux? La bandana allude alla Federazione dei Giovani Pirata, proprio detta così.
Ed eccomi alla fine e alla vetta, finalmente: il Movimento Poeti d’azione. Loro ci sono da parecchio e lo stesso accostamento da molti anni dei poeti all’azione, non esattamente l’immaginario più diffuso, forse Foscolo e qualche cavallo, Byron, solitamente stanno al tavolo incatenati e ingobbiti. La penna e la spada difendono un tricolore da confezione di affettato – prodotto italiano, quasi – e riportano il nome unico dei poeti: Alessandro D’Agostini.
Anni fa presentò il movimento Giovani poeti d’azione, giusto, poi è cresciuto anche lui e i Giovani sono diventati Poeti d’azione e basta, però maiuscolo. D’Agostini, ovviamente poeta pure lui, con afflato dannunziano spiega il senso: «i Poeti d’Azione credono che i poeti e gli artisti possano mettersi alla guida di un popolo come nella storia ci si sono messi conquistatori, re, rivoluzionari. Sarebbe la rivincita di una oppressione millenaria. La liberazione definitiva dell’uomo prigioniero nel mondo perché prigioniero di se stesso». E io sono d’accordo, guidatemi, o poeti.
E a tutti gli altri: andate a votare, santoddio. Eddai.
Sempre fedele bla bla bla funzioni bla bla servizio, proseguo la disamina dei simboli depositati per le Europee di sabato e domenica, sperando che il loro iddio guardi giù e li castighi come meritano. Avanti, che siamo quasi sotto, rapidamente. Perché, anche se non sembra, lavori di questo genere sfiancano: prima si ride, poi si abbozza e poi di intelligenza sparsa a piene mani se ne farebbe anche un po’ a meno. Andiamo, dunque.
La combriccoletta che deposita il simbolo di “Base popolare” dichiara: «Lo abbiamo fatto innanzitutto per avere una prima tutela giuridica per il nostro che è un simbolo nuovo; continueremo a usarlo più avanti per iniziative, guardando oltre le elezioni europee», quindi niente scheda stavolta ma, comunque, ci sono. Se il simbolo è nuovo, vecchi sono gli ingredienti: gli ex parlamentari Lorenzo Dellai, Giuseppe De Mita, Mario Mauro e Gaetano Quagliariello, l’ex presidente della regione Marche Gian Mario Spacca. Sai mai che poi si aprano spazi, meglio essere pronti. A me ricorda certe cassette che usavo negli anni Ottanta per registrare Duran Duran e Iron Maiden, capace che se mi distraessi li voterei pure, in nome di allora.
Il simbolo successivo è un casino: presentato da tal Antonino Iracà, ora tra i reggenti di ItalExit per l’Italia, dichiara il desiderio di libertà e di comunanza, “Insieme liberi”. Il problema è che lo stesso simbolo appare quasi identico – con la parte di “UscITA” nella metà inferiore – nel simbolo di Libertà, lista di cui è propulsore “Sud chiama Nord” di Cateno De Luca. Che è senza ombra di dubbio il simbolo più pieno, accatastato e riempito si sia mai visto. Un prodigio politico oltre che grafico, oserei dire anche fisico, ovvero l’attrazione di molteplici soggetti delle dimensioni di un nanosbirolo.
Lo vogliamo fare? Sì, lo vogliamo, li elenco tutti: Sud chiama Nord, nelle declinazioni “per le autonomie” e “De Luca sindaco d’Italia”, il predecessore Sicilia Vera, i Civici in MoVimento con Pirozzi, Confederazione Grande Nord, Popolo Veneto, Noi agricoltori e pescatori, Noi ambulanti uniti, Partito pensionati + salute, Sovranità [Marco Mori], il Vero Nord, il Popolo della Famiglia, Vita, Fronte Verde, Insieme liberi – UscITA, Partito moderato d’Italia, Movimento per l’Italexit e i simboli individuali di Capitano Ultimo ed Enrico Rizzi. Gira la testa? Già. Per riprendersi, uno semplice: il simbolo di In-pen-za! Di-den di Gianni Alemanno. Scherzo, Indipendenza!, il cui simbolo è stato disegnato dagli stessi due autori di quello di Alleanza Nazionale, non hanno né perso né mutato il tocco. D’altronde gli elementi obbligatori quelli sono, non c’è tanto da spaziare.
Indipendenza da che non è dato sapere, anche perché non si presentano stavolta, i tempi non sono ancora maturi. Un altro bello, con delle belle implicazioni: Partito animalista – ItalExit per l’Italia, sopra l’anima animalista che contiene i simboli della coalizione animalista europea Animal Politics EU – che però non è un partito europeo -, della tedesca Partei Mensch Umwelt Tierschutz e l’olandese Partij voor de Dieren. Sotto, sempre per lo stesso ideatore, Cristiano Ceriello, il simbolo ufficiale di ItalExit. Ed è già la terza volta che lo si incontra. La cosa promette bene, ancor di più sapendo che Andrea Perillo, membro del consiglio di reggenza di ItalExit per l’Italia, ha già depositato una memoria per contestare il Movimento per l’Italexit della lista promossa da Cateno De Luca.
Spumeggianti. Meno la Nuova Italia di Giuseppe Giovanni Grippo, con le sue venti stelle, boh, su bandiera italiana, spiga di grano ed Euro tridimensionale fluttuante. Niente a che vedere con la casa editrice, anche loro, o lui, chissà, restano a vedere con simbolo depositato, in attesa di tempi buoni per papparsi tutto. Solo che è dal 2004 che depositano e aspettano, io due conclusioni le avrei tratte.
E poi c’è chi vorrebbe la bici: nella prima ruota, Pensioni & Lavoro, partito creato quasi trent’anni fa da Ugo Sarao che si è inventato anche la seconda ruota, quella di Risveglio pubblico, ribattezzato per l’occasione Risveglio europeo, l’omino che si stiracchia. Il cartello sulla canna della bici recita: “… e si riparte”, insieme alla mappa vecchiotta sotto direi che mette le migliori premesse al futuro che potremmo desiderare.
Sempre fedele alle funzioni di servizio, l’Ufficio Analisi Elettorali, sezione Europea (UAE-E) di trivigante prosegue la sapida disamina dei simboli elettorali depositati per le elezioni di domenica prossima. Attenzione, depositati, non è detto che poi abbiano presentato firme e liste. Ma ci sono.
Per esempio, tal Antonello De Pierro ha depositato il simbolo di Italia dei Diritti, movimento attualmente unipersonale che sembrerebbe alludere a una certa qual questione meridionalista, con la bilancia sbilanciata. La prerogativa di De Pierro è quella, del tutto impolitica, di essere dal 2014 l’ultimo a depositare il simbolo, nel senso che lo fa apposta: arriva due minuti prima della chiusura, tipo gli anziani al seggio che vogliono essere ultimi o primi e pure lo chiedono. Altre prerogative, programmi, intenzioni, collocazioni, tutte ignote.
No, non inventata: reale. Non è quello il senso dell’aggettivo nella lista Italia Reale-Aemn che è, piuttosto, quello monarchico. In effetti la corona lo suggerirebbe. Va da sé la collocazione, la sigla Aemn sta per Alleanza europea dei movimenti nazionali, che è un partito politico europeo – di cui è segretario tal Valerio Cignetti – con cui Italia reale nel 2019 aveva presentato le proprie liste con CasaPound Italia. Una bella combriccola, proprio.
Qui abbiamo un filosofo pensatore. Luciano Chiappa. mente e braccio del movimento, dopo aver ideato nel 2018 la libegualità, poi ingiustamente bocciata per somiglianza con Liberi e uguali, ora sforna il concetto sostanziale di esseritarietà che, per profani, ignoranti e studenti, è il “processo reale d’inedita aggregazione, fondato sulle strutture paritarie della cooperazione umana e della promozione sociale”. C’è anche un libro ma, temo, non avrà il successo di Vannacci e non regalerà la ribalta a Chiappa.
Per mostrare l’evoluzione del pensiero di Chiappa dalla libegualità alla esseritarietà, ecco il simbolo della lista precedente, dal cui confronto si può cogliere senz’altro la prodigiosa evoluzione del Chiappa-pensiero, lanciato a bomba verso le frontiere del pensiero umano.
Discoring. Il simbolo Parlamentare indipendente, già si capisce dal singolare, afferisce a una persona sola, ideatrice, disegnatrice, ideologa, segretaria, esponente di spicco, Lamberto Roberti. Egli presenta il simbolo da che lo Statuto Albertino lo consentiva e poi procede nella medesima maniera da sempre: intende presentare candidature individuali in tutti i collegi, poi qualche funzionario gli spiega che la legge non prevede tale possibilità, a quel punto Roberti denuncia storture a proprio danno e probabilmente va in letargo fino alla tornata successiva.
Non sottovaluterei l’importanza dell’aver certezze. Il seguente è proprio nuovo, invece: Contro sistema. Marco Zanleone, rappresentante legale, spiega “che “l’azione di un partito antisistema: combattere non il sistema in sé, ma le ingiustizie che ci sono sempre al suo interno”, per questo si candida all’interno del sistema. Anzi no, non si candida, il simbolo è depositato in previsione di azioni politiche future. Attendiamo in vivida apprensione.
Infine, un simbolo che ormai, frequentandolo da anni, mi è entrato nel cuore: il Sacro Romano Impero Cattolico. Niente di meno. Anche qui, tutto l’Impero è in realtà una persona sola, Mirella Cece, quella la cui faccina appare cinque volte nella parte bassa del simbolo, talmente affezionata alla posizione numero tre nel deposito dei simboli, o scaramantica all’inverosimile, da far passare avanti Stati Uniti d’Europa per avere, appunto, la terza posizione.
Le faccine sotto alludono ai cinque movimenti già fondati da Cece, uno più bello dell’altro: Movimento Liberal-Cristiano “Giustizia e Libertà”, Sacro Romano Impero Cattolico, Teologi e Giuristi del Sacro Romano Impero Cattolico, Advocatorum Postulatores et Peritorum, Atuttocampo nel tempo e nello spazio. Quest’ultimo, Atuttocampo nel tempo e nello spazio, mi diede già grandissime soddisfazioni, specie pronunciandolo ad alta voce aggiungendo poi: ora e sempre forza Lazio. Cece è sicuramente una giganta di questo tipo di iniziative, rispetto a Zanleone, Chiappa, Roberti, Cignetti, De Pierro, e come si evince chiaramente dal simbolo aspira a una monarchia costituzionale, istituzionale e ministeriale, vale la pena farsi regalare il simbolo grande e leggere con calma la scritta a tondo attorno al cerchio.
Possibile che non ce ne sia nemmeno una? No, infatti:
Tali Nino Luciani e Carlo Leonetti, che si dichiarano rispettivamente segretario politico e amministrativo, non solo sarebbero entrati in possesso del diritto sul logo autentico ma, orpo, anche del codice fiscale originario della DC, dichiarano orgogliosi. Programmi e candidati non pervenuti ma basta il simbolo, no? Uno più piccolo è anche nel contrassegno dell’Unione di centro, quindi stavolta siamo a due. A un partito che credevamo defunto – ma quando mai? Se ne sono presentati almeno quattro a ogni votazione dal 1994 a oggi – un candidato che sembrava, ripeto, sembrava tale:
Per il cognome, passi. Ma il ‘Presidente’? Il participio presente? E di che? Sentire Tajani che spiega che anche solo scrivendo ‘Berlusconi’ il voto sarà valido è da sbellicarsi. Diciamo. E se nomino il segretario Mauro Alboresi? Eh, infatti:
Eppure è il segretario del Partito comunista italiano. Già, Berlinguer? Mah. Il simbolo è identico, tranne per due particolari: le aste, blu, e il nome, senza i punti dell’acronimo. Evoluzione del Partito dei comunisti italiani, stupisce che a questa tornata sia l’unico partito comunista in qualsiasi declinazione e l’unica falce e martello in vista. Anche questa è crisi della sinistra? Me sa.
Tra poco si voterà e io, fedele alle mie funzioni di servizio, devo cominciare a scrivere sapide storielle su liste e candidati in lizza, come faccio sempre. Niente schedina, non ho tempo, ma i commenti sì. Cominciamo con lo slogan, che è uno di quelli che mi fa più ridere: niente verbi, niente costrutto, proposta sintattica dritta dritta a qualcosa del tipo: amore bello, odio brutto, per citare una parte di Lauzi, proposta politica boh, del tutto inesistente. Ecco Renzi e la lista di cui dico sotto:
Manco è suo, lo slogan. «Al passato: grazie. Al futuro: sì» è di Dag Hammarskjöld, uomo politico svedese per due volte Segretario generale delle Nazioni Unite che, almeno, metteva i due punti. Il nome della lista mi fa molto ridere, Stati Uniti d’Europa, filiazione di +Europa, addirittura lo stesso grafico, Stefano Gianfreda; la lista di scopo raccoglie +Europa e Italia viva, Partito socialista italiano, Radicali italiani, Libdem europei, L’Italia c’è, Renzi fa il buffoncello e si candida sì ma come ultimo in lista, per mostrare che gli importa ma lui non è come gli altri leaders di partito.
Non basta. C’è una seconda lista Stati Uniti d’Europa, depositata da Diego Sabatinelli per conto di Maurizio Turco per conto a sua volta della Lista Marco Pannella, con il solito simbolo della rosa nel pugno:
La cosa si infittisce. Non sono a conoscenza, ora, delle decisioni della Direzione centrale per i servizi elettorali, se consentire a entrambe le liste di partecipare, se modificarne una, e quale?, se ambe. Se la seconda si era già presentata nel 2019, in previsione di una corsa con i socialisti, poi non andata a buon fine, la prima è stata depositata prima stavolta. Cosa pesa di più?
Per restare negli Stati Uniti (minuscolo), altra lista contigua: USE – Stati uniti degli Stati aderenti all’Euro. È il tizio del salvadanaio, Enrico Andreoni, quello di Recupero Maltolto di due anni fa, simbolo molto bello a vedersi e concetti per nulla affastellati:
Solitamente questo Andreoni deposita, poi alle elezioni manco ci arriva perché non raccoglie le sottoscrizioni. Ma è il suo modo di partecipare, se sta bene lui io pure, figuriamoci. Andreoni grazie, elezioni urrà.
E già la prima Aurora cospargeva le terre di nuova luce, abbandonando il croceo giaciglio di Titone. La regina, non appena vide biancheggiare la luce dall’alto e avanzare la flotta con le vele allineate, e si accorse che le coste e i porti erano vuoti senza la ciurma, battutasi tre e quattro volte il bel petto con la mano e strappandosi le bionde chiome, disse: “Per Giove, questo straniero se ne andrà e si prenderà gioco dei nostri regni?”. Già, se n’era ito, il fellone. Non restava che l’atto finale, povera Didone. Già nel IX secolo coloni provenienti da Tiro fondarono l’ennesima base commerciale, stavolta sulle cose dell’odierna Tunisia, la prima Birsa. Il racconto è noto, Didone fece a fettine la pelle, guadagnandosi così un’estensione notevole per la città. Ed è così, in breve tempo diventò una delle maggiori città del mediterraneo, in grado di rivaleggiare con chiunque sul mare. Se i primi secoli furono di intesa pacifica con Roma, lo scontro si avvicinava inevitabile, troppo grosse e ambiziose entrambe, e così fu, fino all’epilogo del 146 a.c. Racconta Polibio delle lacrime di Scipione, forse presago, ma nessuna fonte nessuno parlò mai del sale e a noi, ennesima bufala, lo insegnano a scuola. Tant’è che Cartagine mica morì, venne romanizzata in epoca augustea, poi spopolata in epoca araba a favore di un presidio militare e poi ancora ancora fino a essere, oggi, un quartiere residenziale molto costoso e di pregio. In cui, qua e là, emergono case, quartieri, porti, basiliche e santuari. Che emozione, essere sulla collina e guardare verso il mare, proprio come Didone vedere biancheggiare la luce dall’alto.
Troppo perfetta la posizione, troppo indovinata, la natura l’ha predisposta e chiunque, persino io, avrebbe potuto dire: lì, puntando il dito. Nel 1985 i sindaci di Cartagine e Roma si incontrarono ufficialmente e sottoscrissero una pace, formale e simbolica, e un’intesa di collaborazione futura. “Delenda Carthago” / Con le dita colorate di henna / Su patrizi triclini / Si gustano carni speziate / D’aromi d’Oriente / In calici finemente screziati frusciano i vini / Le rose, il miele, ancora Battiato, poi yeah, yeah, yeah, yeah, prima di attaccare il Properzio di Conferendis pecuniis / Ergo sollicitae tu causa / Pecunia, vitae!. Da non credere i porti punici di Cartagine, quello militare soprattutto: circolare, con la struttura di ricovero e arsenale al centro, resta una darsena, per, si dice, duecentoventi navi. Poi divenne foro sotto i romani, circolare anch’esso, oggi si vedono i bacini e si può provare a fantasticare.
Mi resta ancora una cosa da fare, visitare il museo di mosaici romani più importante del mondo: il Bardo. La radice è la stessa, spagnola, da pardo, prado, con la tipica trasformazione della ‘p’ in ‘b’, non avendola in arabo. Impossibile non pensare ai ventiquattro morti dell’attentato del 2015, proprio nel museo, ancora si vedono i proiettili nei muri e i marmi sbeccati dai colpi. Come a Sousse lo stesso anno o Hatshepsut, per restare all’Egitto di qualche mese fa. Da allora il turismo in Tunisia sparì e tra Covid e crisi economica a oggi il livello non è nemmeno lontanamente quello di allora. Il museo, tutto ristrutturato, ha riaperto da poco ed è davvero strepitoso: mai visti così tanti mosaici romani, belli e grandi, fantasiosi, ispirati. Altrettanto meritevole di visita il carico di una nave romana affondata di ritorno da Atene dopo il sacco sillano alla città che, tra statue, bronzi, idoli, oggetti, è a dir poco incredibile per quantità e qualità, inarrivabile. Il rapporto d’amicizia e simpatia verso il popolo italiano in genere è palpabile, ovvero chiunque non sia francese, sebbene per lo meno in Tunisia non siano arrivati ai punti dell’Algeria, pur esercitando una pressione notevole sul paese. Fin dai tempi delle corse coloniali nel mediterraneo l’idea che uno stesso paese, l’Italia, potesse controllare lo stretto di Sicilia da entrambe le coste andava di traverso a inglesi e francesi, per cui andò come andò e l’Italia ripiegò, ehm, sulla Libia.
Affascinante, Tunisi. Ho la fortuna di conoscere C. a un caffè, una donna inglese di settantotto anni in viaggio per la Tunisia che mostra, fin dalle prime parole, pur permeate di grande modestia, di aver avuto e avere una vita decisamente fuori dal comune. Chiacchieriamo un po’, qualche esperienza emerge, qualche racconto particolare, condividiamo l’apprezzamento per Henry James, lei decisamente vive a un altro livello, di relazioni intendo, e ha una grazia impareggiabile. Il racconto di questo incontro ha un’aria vagamente coloniale, almeno letterariamente, me ne rendo conto, forse è così, europei nel Maghreb, certi caffè con Camus nella villa di Yves Saint-Laurent, sì, potrebbe. Canetti a Marrakech. Non che io abbia a che fare, per carità, sto parlando però di costruzioni, di immaginazione, di un certo modo, di approcci che abbiamo e dei quali facciamo fatica a liberarci, per quanto sinceri democratici e amici di tutti. E posso dirlo? Non nego che in certe occasioni sia persino piacevole, l’ho detto. Comunque, il mio progetto di esplorazione delle rive del mediterraneo prosegue, sicuramente in Algeria appena possibile, Giordania, oltre agli impossibili Siria, Libia, Libano, Israele di questi tempi. Cambieranno le cose, a partire da Gaza, spero presto. Consiglio la Tunisia, senz’altro, come sempre non posso uscirne entusiasta tout court, sarei stupido o stato in villaggio turistico, troppe aree povere, difficoltà, monnezza, mancanza di libertà per saltellare entusiasticamente, ma tanto altro, fascino, storia, cultura, persone, paesaggi che meritano eccome, possibilità di incontro e di scambio, alla fine il mediterraneo di allora, di Cartagine e Roma, non è troppo diverso da quello di oggi, o potrebbe non esserlo. Considerarlo tutto un insieme, un orizzonte di riferimento, un bacino culturale, il nostro, potrebbe aiutare. Non mi viene niente di più intelligente, devo aver consumato troppo, forse la salsedine, magari poco sonno, il pollo, ecco il pollo, chiudo qui.
L’ultima città romana che vedrò in questo viaggio è Thuburbo majus. Qualcuno mi ha detto che tutte le città che iniziano con la ‘ti’ in Tunisia siano puniche, la prendo per buona e quindi questa suppongo lo sia anche se l’impressione è che vadano bene tutte le iniziali. La città è del secondo secolo e dalle dimensioni delle terme è facile constatarne la grandezza e la ricchezza, quando poi scopro che ne esistono di ‘invernali’ ed ‘estive’, poi, figuriamoci. Peculiare di questi posti è poter vedere di fatto come alle strutture romane si siano aggiunte quelle vandale, prettamente artigianali, quindi vasche, macine, magazzini e così via, riutilizzando i muri e gli spazi precedenti. L’insediamento poi delle basiliche, i battisteri e i luoghi di culto cristiani, in mille varianti, per cui per esempio le chiese donatiste sono separate, è evidente e affascinante da osservare. Se a tutto questo si fossero poi sovrapposte le città successive, come da noi o, per esempio, a Cartagine o El Jem, il tutto sarebbe riservato a pochi specialisti.
Una fonte battesimale bizantina ricca di simboli pagani e naturali che potrebbe anche farmi venire un afflato spirituale. Ah, certo: mi sono dimenticato dei muezzin. Me lo ricordano loro già dalla prima notte, ore tre e cinquanta, parte una salmodia lagnosona a volume inaudito che dura il tempo della mia imprecazione contro tutti i culti ma sufficiente a farmi penare per più di mezz’ora per riaddormentarmi. E così tutte le notti in cui ci siano minareti a tiro, scampo il deserto. Non che le campane siano diverse, ce l’ho anche con loro ma, almeno, di notte le abbiamo sopite. E l’afflato spirituale, fugace, se n’è definitivamente ito. Pioviggina tra la città romana abbandonata, è un momento particolare anche questo.
Una corsa a Sousse per entrare nel museo prima che chiuda, un’altra ubriacatura di mosaici romani d’Africa, davvero magnifici per fantasia, composizione, colori e fattura, apprendo tra le altre cose l’esistenza del mosaico a ‘pavimento non spazzato’, ovvero una cesta di pesci rovesciata, come fosse inavvertitamente caduta.
La ricchissima Sousse, in Numidia poi Byzacena ora Sahel, antica Hadrumetum, si schierò con Roma nella seconda guerra punica e ne derivarono onori e ricchezze. Certo, bisognava vincere, prima. Fu uno dei baluardi islamici sul mare a protezione della città santa Mahdiyya, devo dire che anche qui potrei fermarmi un po’. A parte un signore dalla lunga barba, un caffettano addosso – anche questo in Star Wars, ah, Lucas… – e un nodoso bastone, un paio di ragazzini che giocavano con un coltello a serramanico e i contrabbandieri di benzina, devo dire che non ho avvertito situazioni forse spinose finora. Ma chissà. Ultima tappa, domani.
Aderisco prontamente a un’escursione locale alle pendici dell’Atlante, per vedere una piccola oasi incastonata nelle rocce e fare una camminata un po’ in su. L’autista del fuoristrada mette subito le cose in chiaro con la radio, un movimiento secsi, eeamacarena, alè e via a novanta all’ora su una strada ricoperta di sabbia, con Hello Kitty che dondola dallo specchietto. Sono numerosi i letti dei fiumi in secca, non capisco se facciano parte di un’epoca ormai finita o se siano a carattere stagionale, vedendo i villaggi abbandonati a fianco temo sia la prima che ho detto. Dopo una breve salita a piedi sulle rocce, dopo una quarantina di minuti arriviamo alla sorgente e vedere come con l’acqua, anche poca, la vita fiorisca persino nei posti più inospitali è commovente.
Al punto di partenza è pieno di bancarelle che vendono paccottiglia, rose del deserto e fossili a niente, bicchieroni di succo di dattero da iperglicemia istantanea. Seguendo il rigagnolo verso i laghi salati arrivo persino a una cascatella, ‘la grande cascata’ delle guide locali.
Addirittura alcuni vendono la palma, a mazzetti di due, maschio e femmina, piccoli bulbi con lunghi getti. Assicurano la vitalità fino alla piantumazione in Italia. Eeelagasolina e giù a rotta di collo, passando per Nefta verso Tozeur. In un albergo a dir poco sontuoso cerco di contenere le mie abluzioni allo stretto necessario ma la vasca che vedo in camera tradisce altre consuetudini. La piscina fuori pure, qualcuno mi parla anche di un campo da golf negli anni Ottanta. Bravi, davvero, tutto ampiamente tramontato.
Parto presto per Sbeitla, l’antica Sufetula, città romana nel deserto caratteristica per il capitolium a tre templi invece che tre sale e per i santuari bizantini sorti poi nei templi della città stessa. Il passaggio non fu traumatico, dicono gli archeologi, avvenne quando i templi erano ormai abbandonati. Esattamente come le strutture artigianali dei vandali si installarono tra le mura di edifici romani ormai lasciati a sé stessi. Non è raro, dunque, vedere battisteri e fonti battesimali all’interno di templi ed è sicuramente più facile comprendere il passaggio dalla basilica romana alla basilica cristiana e persino alle prime forne di moschee, che tutte condividono lo stesso impianto architettonico. Il luogo, nelle cosiddette ‘steppe alte’, zona poverissima oggi un po’ recuperata alla produzione di olio d’oliva, è al centro di molti crocevia, fu infatti teatro di un’importante battaglia tra arabi e bizantini per dominio del nordafrica, fino ad americani e tedeschi pochi decenni fa.
Lungo la strada rischiamo un incidente con un’auto senza targa che compie una manovra del tutto azzardata. Sono i contrabbandieri di benzina, mi spiegano, in questo caso dall’Algeria. Là costa meno, riempiono l’auto di taniche e la portano di qua. Ancor più conveniente, ma più pericoloso, con la Libia. Queste auto senza targa sono disposte a tutto pur di non fermarsi, non conviene litigarci, la manovraccia che ci hanno fatto non è solo aggressiva bensì dimostrativa. Uno spasso fare un incidente con un’auto piena di benzina. A un certo punto, il progetto di unione tra Libia e Tunisia arrivò talmente a buon punto che mancavano solo pochi giorni alla firma nell’isola di Gerbah nel 1974. Aveva anche senso per molti motivi, data la somiglianza tra i due paesi per molti aspetti. Alla fine, Bourguiba temette – a ragione, probabilmente – la stretta mortale di Gheddafi, che avrebbe tenuto per sé il comando militare, e si tirò indietro.
Vado a Kairouan, la città santa, prima città araba fondata in nordafrica, nel 670. A pianta circolare, come poi sarà Baghdad, fondata dopo, riprendendo il modello dai persiani e di impianto militare. La città è affascinante, la medina è ricca e varia, la giro con piacere, ed è dominata dalla Grande Moschea, il più grande campionario esistente di colonne romane, bizantine, arabe e di risulta. Il minareto, come la moschea tra i più antichi essendo anch’esso del VII secolo, ha ancora la forma del faro di Alessandria, come il termine stesso, ‘minareto’, manār, lett. ‘faro’, suggerisce. Essendo la scuola tunisina molto rigida, non si può entrare mai nella sala di preghiera, a differenza per esempio delle moschee turche o iraniane. Tutta la città è di fondazione aghlabita e uno dei lasciti più impressionanti sono le due gigantesche cisterne, essendo la città in zona desertica e sorta per scopi militari. Faccio fatica a calcolare il diametro di quella grande, direi almeno cento metri, forse di più. Un lago.
Attraverso ormai il vero e proprio deserto, arrivo a sera a Douz, la cosiddetta ‘porta del deserto’. Infatti, nei primi margini della città si alternano persone in contemplazione delle dune, carovane di turisti alle prese con l’esperienza dondolante del dromedario, file di motociclisti cui piace sentir scodinzolare la moto sulla sabbia e pirla coi quad. Basta però, come sempre, allontanarsi di poco per ritrovarsi soli tra le dune fatte di una sabbia finissima giallo-rosa, a seconda dell’inclinazione della luce. Appurato che con gli scorpioni non si muore, vagolo fino al tramonto.
Svuotate le scarpe e le calze dalla sabbia e subito riempite di nuovo – l’uso delle ciabatte nei paesi desertici ha un suo proprio senso -, riparto la mattina dopo in direzione ovest, verso la meta più meridionale e interna del mio viaggio, a pochi chilometri dal confine algerino e alle pendici dell’Atlante. Non c’è un vero e proprio trasporto pubblico in queste zone, tocca appoggiarsi o a piccole compagnie turistiche, spesso familiari, o a tassisti o possessori di auto e concordare un trasporto. Le strade sono abbastanza percorribili e costellate dai classici dissuasori ogni poco che ho visto dal Marocco all’Egitto. Il pullmino fa una sosta in una località imprecisata in cui una scassata e incrostata costruzione di cemento armato un po’ inquietante consente il pompaggio e la fuoriuscita di acqua bollente dal sottosuolo. Pozzi profondi fino a cinquecento metri pescano acqua a più di cinquanta gradi nel deserto e la depositano in labirinti concentrici di cemento allo scopo, deduco, e di raffreddarla e di far depositare lo zolfo così da poterla utilizzare per l’irrigazione di qualche piccolo campo vicino. Un signore tranquillo si sta lavando in una delle vasche di decantazione e posso immaginare sia un’esperienza piacevole, almeno fino al nostro arrivo.
Mi impressiona il fatto che non ci sia un orizzonte, la pianura prosegue fino al cielo senza che si possa distinguere una fine, un confine. In Europa, a parte forse certe pianure in Ungheria o Polonia o Bielorussia, ma mai veramente così, c’è sempre una montagna, collina, qualcosa che fa da limite. Questa è la zona del limes romano, fortificato da castra e controllato dai soldati per contrastare le incursioni dei predoni e delle popolazioni nomadi dal sud del deserto. Proseguendo nel nulla, attraversiamo la zona dei grandi laghi salati, quattromila chilometri quadrati di sale, tipo Utah per capirci. Sono detti laghi perché lo erano e sotto c’è ancora certamente acqua e quando piove ne resta in superficie per alcuni giorni ma a vederli in condizioni normali sono distese biancastre illimitate in cui non c’è alcuna forma di vita, tranne tizi di passaggio.
Parte del sale dei laghi viene estratto ed esportato al nord, Canada, paesi scandinavi, nord Europa, per essere sparso sulle strade in caso di neve e ghiaccio. Te pensa. Comunque non manca alcun comfort.
E finalmente nel primo pomeriggio arrivo alla meta, Tozeur, epperunistante ritorna lavogliadivivere aunaltravelocità, limite oltre il quale certe zone potrebbero diventare pericolose. Con i suoi tipici mattoncini d’argilla, la città, al confine tra i laghi salati, la sua oasi ed enorme palmeto – si dice partissero mille cammelli al giorno carichi di datteri nei tempi gloriosi – e le propaggini dell’Atlante, ha conosciuto grande turismo e frequentazione alcuni decenni fa, Battiato fu forse uno di quelli. Oggi, dopo gli attentati del 2015 e il covid, sono moltissimi gli enormi alberghi abbandonati e fatiscenti, simbolo di un’epoca noncurante. Il centro della città è ancora molto affascinante, le case, i portali e i vicoli invitano a passeggiare. Ma la vera domanda, ovviamente, è: passano ancora lenti i treni per Tozeur?
La risposta è che non solo non passano lenti ma non passano proprio, una parte della rete ferroviaria coloniale è stata del tutto dismessa. Tant’è che staziono per un po’ in mezzo ai binari senza temere di essere travolto da un treno, per quanto lento. Tua madre mi vede, si ricorda di me, delle mie abitudini. Più lenti di così.
Questo sito utilizza dei cookies, anche di terze parti, ma non traccia niente di nessuno. Continuando la navigazione accetti la policy sui cookies. In caso contrario, è meglio se lasciamo perdere e ci vediamo nella vita reale. OccheiRifiutaCookies e privacy policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.