Curiose analogie scenografiche tra l’esercito della Corea del Nord:
e l’esercito cinese sulla grande muraglia:
O forse no, c’è qualcosa di strano…
(Certo che alla Disney le sanno fare davvero le promozioni ai film).
Curiose analogie scenografiche tra l’esercito della Corea del Nord:
e l’esercito cinese sulla grande muraglia:
O forse no, c’è qualcosa di strano…
(Certo che alla Disney le sanno fare davvero le promozioni ai film).
Il 27 luglio 1890 ad Auvers-sur-Oise Vincent Van Gogh scrisse una lettera al suo amato fratello Theo:
Mio caro fratello,
grazie della tua cara lettera e del biglietto di 50 fr. che conteneva. Vorrei scriverti a proposito di tante cose, ma ne sento l’inutilità. Spero che avrai trovato quei signori ben disposti nei tuoi riguardi.
Che tu mi rassicuri sulla tranquillità della tua vita familiare non valeva la pena; credo di aver visto il lato buono come il suo rovescio – e del resto sono d’accordo che tirar su un marmocchio in un appartamento al quarto piano è una grossa schiavitù sia per te che per Jo. Poiché va tutto bene, che è ciò che conta, perché dovrei insistere su cose di minima importanza. In fede mia, prima che ci sia la possibilità di chiacchierare di affari a mente più serena passerà molto tempo. Ecco l’unica cosa che in questo momento ti posso dire, e questo da parte mia l’ho constatato con un certo spavento e non l’ho ancora superato. Ma per ora non c’è altro. Gli altri pittori, checché ne pensino, si tengono istintivamente lontani dalle discussioni sul commercio attuale.
E poi è vero, noi possiamo far parlare solo i nostri quadri.
Eppure, mio caro fratello, c’è questo che ti ho sempre detto e che ti ripeto ancora una volta con tutta la serietà che può provenire da un pensiero costantemente teso a cercare di fare il meglio possibile, te lo ripeto ancora che ti ho sempre considerato qualcosa di più di un semplice mercante di Corot, e che tu per mezzo mio hai partecipato alla produzione stessa di alcuni quadri, che, pur nel fallimento totale, conservano la loro serenità. Perché siamo a questo punto, e questo è tutto o per lo meno la cosa principale che io possa dirti in un momento di crisi relativa. In un momento in cui le cose fra i mercanti di quadri di artisti morti e di artisti vivi sono molto tese.
Ebbene, nel mio lavoro ci rischio la vita e la mia ragione vi si è consumata per metà – e va bene – ma tu non sei fra i mercanti di uomini, per quanto ne sappia, e puoi prendere la tua decisione, mi sembra, comportandoti realmente con umanità. Ma che cosa vuoi mai?
Poi, qualche ora più tardi, si sparò un colpo di pistola al petto.
Non si uccise ma morì due giorni dopo, tra lo strazio del fratello. Il quale, alla madre, scrisse: “era veramente mio fratello… Non riesco a trovare conforto nelle parole per esprimere il mio dolore, che mi porterò dietro per tutta la vita“. E così fu, soffrì davvero molto per la sua perdita; vita che fu però davvero breve, poiché morì sei mesi dopo, nel gennaio 1891.
Non pare proprio la lettera di un suicida, anzi.
(da Vincent Van Gogh, Lettere a Theo, Milano, Guanda, 2013)
Come già detto, le fotografie divise a metà fanno sempre un bell’effetto.
Marcin Ryczek, fotografo polacco, ha scattato la fotografia divisa a metà definitiva.
Il bianco che va di qua, il nero di là, è imbattibile. È stata scattata lungo le rive della Vistola a Cracovia. Io ho fotografato più o meno lo stesso posto d’estate:
Dove andranno le anatre di Cracovia d’estate?
Gary Larson, che è uno dei fumettisti migliori del mondo nonché uno dei miei preferiti, scrisse una volta una dedica a un suo libro così fatta:
Quando ero un ragazzo, la nostra casa era piena di mostri. Essi vivevano nel gabinetto, sotto i letti, in soffitta, in cantina e – quando faceva buio – quasi dappertutto. Questo libro è dedicato a mio padre, che mi ha protetto da tutti loro.
Perché i mostri esistono.
L’Australia è un paese piuttosto grande, più di sette milioni e mezzo di chilometri quadrati, e piuttosto brullo, invero (euf.). Per dare una qualche proporzione, ho sommariamente disegnato l’Australia sopra l’Europa alla stessa scala, per avere un’idea un pochino più precisa.
Come detto, l’Australia è perlopiù desertica: crescendo quindi meno erba per chilometro quadrato è ovvio che per mantenere un allevamento di bovini, per dire, serve molta più terra che in altri paesi.
Tra le fattorie australiche (le cosiddette cattle stations, ovvero fattorie specializzate nell’allevamento, i ranch americani per capirsi) la più grande è Anna Creek Station. Questa fattoria, che molti ritengono la più grande del mondo, è ampia 24.000 chilometri quadrati, il che costituisce un bel problema se lasci il rastrello in giro.
Per fare un’ultima comparazione, righello alla mano, Anna Creek Station è più grande dello stato di Israele, un poco meno grande del Belgio e grande esattamente quanto la Lombardia. Fosse uno stato, sarebbe il 146° per ampiezza del mondo.
John Peel, che non era certo mica uno qualunque, disse che a parer suo Shake with me degli Outlaws (1964) è il primo pezzo metal della storia della musica.
Il fatto che negli Outlaws militasse un giovane Ritchie Blackmore porta un’ulteriore ragione a Peel, presumibilmente.
Oggi Google celebra con un doodle la scoperta dei resti di Lucy, l’australopiteco più famoso al mondo, rinvenuti il 24 novembre 1974 ad Afar in Etiopia.
Ora: chiunque abbia un’infarinatura minima di storia dell’evoluzione (lo so io, quindi basta davvero pochissimo) sa che l’immagine della cosiddetta “umanità in cammino”, dalla scimmia all’uomo, è una cazzata solenne. Per il semplice fatto che dà un’idea lineare dell’evoluzione e migliorativa, cosa che non è. Telmo Pievani lo spiega molto meglio di me, in una conferenza che organizzammo anni fa: qui.
A proposito di Lucy, sono sempre colpito piacevolmente dalla fantasia di paleontologi (e archeologi, a dirla tutta) i quali da un frammento ricostruiscono poi l’intero scheletro, facendo deduzioni interessanti. Ed ecco come dai frammenti ritrovati di Lucy, che già sono cospicui, si è giunti a Lucy (a destra allo Smithsonian di Washington, in una mia foto scadente):
Mica come l’homo naledi, che l’hanno trovato già ordinato in una valigia.
A Londra, in Brook street, vicino a Marble Arch, ci sono due case affiancate, una al 23 e l’altra al 25, entrambe piene di musica.
Al 23, a sinistra nella foto, al piano alto visse Jimi Hendrix tra il 1968 e il 1969 – il tempo della pubblicazione di Electric Ladyland, per capirci – a destra, al primo e al secondo, abitò invece Georg Friedrich Händel dal 1723 fino alla sua morte, nel 1759. Non credo si siano mai incontrati alle assemblee di condominio perché, effettivamente, le due case sono separate.
I londinesi, che son più furbi di noi, ne hanno fatto un museo unico, nel senso di unito, così che l’esperienza musicale sia barocca e psichedelica nel momento stesso. La parte di Hendrix aprirà ai primi del 2016 e il gift shop diventerà un posto decisamente curioso.
Curiosando sul sito, la sezione ‘Upcoming events‘ mostra una signorina con un’espressione decisamente sorpresa e, io credo, il collo più lungo di tutta la specie umana (affascinante).
Il negozio di scarpe di Manhattan preferito da molti.