Scrivere sui muri è arte sopraffina e dovrebbero farlo solamente coloro che sanno ciò che scrivono.
In principio la comunicazione politica di Autonomia Operaia (maddai, ancora?).
Poi la replica, sopra, dell’argomentazione di destra. L’una rigorosamente in rosso e l’altra in nero, coerenti.
In principio era l’uomo che ci rubava il contorno occhi. Lo abbiamo accolto, capito, amato e gli abbiamo anche fatto spazio nel nostro beauty case e sulla mensola del bagno. In fondo, pensavamo, un velo di antirughe non fa male a nessuno, neanche alla sua virilità. Poi è arrivata la moda. In passerella hanno iniziato a sfilare muscolosi quadricipiti in gonnella e noi ci siamo chieste a lungo, dubbiose: ma è colpa degli stilisti che mandano in passerelle uomini in guepierre o forse è solo che il maschio è talmente in crisi che i pantaloni gli scivolano via di dosso senza trovare troppa resistenza? Nel dubbio atroce di aver perso ogni possibile coordinata nella ricerca dell’uomo vero, la mazzata pesante ci arriva dall’ultima tendenza in fatto di stile maschile.
L’occhiale bellissimo e usato. (il pezzo sopra ovviamente non è mio,qui).
1965, semifinale di Fairs Cup, Ferencváros contro Manchester United, partita di ritorno (a Budapest, quindi). Potrebbe essere la partita del 6 giugno 1965 (vinta dal Ferencváros per 1-0) o quella di dieci giorni dopo, essendo le squadre in perfetta parità (anche questa vinta dal Ferencváros per 2 a 1).
Si vedono chiaramente i bei ciuffoni di Best e Charles. La bellezza di questa foto è che racchiude, intera, tutta la squadra del Manchester United, con una robustosa barriera da otto uomini più Best a fianco. Bella.
Non il libro su di lui ma un buon libro sulla boxe in generale: David Remnick, Il re del mondo.
Sebbene grosso modo a due terzi si perda e sebbene tutta la narrazione sia sproporzionata su ciò che ha preceduto Muhammad Alì, è un bel libro di storia della boxe e va giù tutto di un fiato (in questo senso il titolo originale è più chiaro: King of the World: Muhammad Ali and the Rise of an American Hero).
Remnick non è un esperto ma è un giornalista (è il direttore del New Yorker dal 1998), per cui sa scrivere molto bene e sa raccontare storie, il che va benissimo per un libro del genere. Superato il sottotitolo scemo dell’edizione italiana (diffidare sempre degli aggettivi vero e segreto), e visto il costo abbastanza ridicolo, è una letturina che consiglio.
A me, a Faenza nel 2014, andò giù in un paio di piacevoli sorsi serali.
Da ieri, come ogni anno, si corre ad Ascot.
E, come ogni anno, i cavalli non interessano proprio a nessuno.
Adooovo la quieta eleganza e la sobrietà che contraddistingue la nobiltà inglese en plein air (traduzione: in libera uscita; o allo stato brado).
Il tutto non sarebbe però possibile senza una robusta, robusta carica di corroboranti sbarazzini (ossignur, ma che è? birra con la cannuccia e Martini rosso annacquato?).
Belline, proprio. Ma la regina resta lei, come sempre, sobria ed elegante:
La cattivissima regina Elena, che io adoooovo più di tutto.
Ieri sera appuntamento-nostalgia all’Arena di Verona con il concerto dei Black Sabbath (il mio video di Into the Void):
Che dire? Io avevo comprato i biglietti sperando di farne mercimonio ma, poi, la vicenda Axl/DC ha fatto crollare la borsa del bagarinaggio e fatto scoppiare la bolla speculativa dei biglietti dei concerti di seconda mano e, così, complice l’Arena, ho deciso di andare.
Temevo, in effetti, di trovarmi di fronte dei simpatici vecchietti tremolanti alle prese con numerose pause prostatiche (solo una, in effetti, anche se bella lunga): è invece tutto sommato no, Ozzy ha ancora una bella voce, ha fatto pure un paio di corsette e tende solo un poco a ripetersi, Tommiommi (si rassegni, signore: nessuno la chiamerà mai Toni) un bel piglio elettrico, Geezer Butler tiene abbastanza, e il batterista è più giovane e pestone per cui ha tenuto ottimamente il palco durante la sosta-anziani (quasi dieci minuti, voglio dire).
Buon suono, potente e pieno, ottimi posti, l’Arena d’estate ha un fascino irresistibile, diciamo che il movimento sul palco non è stato granché (come sempre, la dimensione dello schermo dietro il palco è inversamente proporzionale alla motilità dei suonatori) ma il pigiama di Ozzy era davvero strepitoso.
Certo, non è che ci si sia ammazzati di risate, quello no: i testi scritti da Foscolo, con levità sepolcrale, mantengono intatti la carica. Ma è un po’ quello che i devoti volevano, ieri sera, e che hanno raccolto a piene mani.
facciamo 'sta cosa
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