Oggi è quel momento dell’anno nel quale, in attesa del buio invernale e che la polenta sciolga le brine prima di migrare, Jimmy Wales si affaccia e chiede denaro per Wikipedia.
Perché è giusto: i servers costano, i lavoratori pure, l’elettricità anche, le spese legali non parliamone eccetera eccetera. Quindi, stamattina come ogni anno ho frugato nelle tasche e scucito qualche soldo in favore di Wikipedia. Perché è il sito che leggo di più, almeno una o più voci al giorno, non ci scappo.
Alcuni mesi fa il Washington Post ha pubblicato un articolo di Caitlin Dewey dal titolo «Wikipedia has a ton of money. So why is it begging you to donate yours?», nel quale si chiede come mai Wikipedia, che raccoglie abbastanza facilmente i 23 milioni e mezzo di euro annui necessari al proprio funzionamento, usi dei toni così drammatici per incentivare le donazioni. Infatti, Wikipedia scrivendo nell’appello «Se credete in Wikipedia, per favore aiutatela a sopravvivere e a crescere» dà ovviamente l’idea di essere sull’orlo dell’abisso, in perenne situazione di estrema difficoltà, a rischio sparizione.
Non pare sia così: infatti, la raccolta di fondi di Wikimedia – la fondazione a monte di Wikipedia – è in crescita ed è ben al di sopra della soglia di sopravvivenza:
È pur vero che Wikimedia è molto cresciuta negli ultimi anni, i dipendenti per esempio sono passati da tre a duecentoquaranta, con un evidente incremento dei costi, e assume ancora, ed è altrettanto vero che qualsiasi organizzazione non profit deve cautelarsi dai rovesci accumulando fondi-paracadute per ogni evenienza. Le critiche alla Fondazione, comunque, non si placano da parte di alcuni wikipediani che sostengono la natura volontaristica dell’enciclopedia online, che di soldi in banca non dovrebbe averne proprio.
Io sono di avviso diverso. Sono ben contento se le finanze della Fondazione sono in salute, sono ben contento che sia in crescita, mi frega poco o punto se pagano o meno la palestra ai dipendenti (cosa peraltro in voga in tutte le companies della Silicon Valley, per cui…) e valuto ciò che faccio io: ovvero, uso spessissimo l’enciclopedia, le risorse di immagini, talvolta contribuisco, il tutto gioiosamente aggratise. È giusto, quindi, se contribuisco un poco, economicamente, allo sviluppo e alla crescita del progetto (e mi sento meno in colpa quando leggo beato della megistocera). E se i toni della raccolta fondi sono un po’ drammatici mi sta bene, alla fine se avessero toni rosei e soddisfatti i soldi raccolti sarebbero, probabilmente, parecchi di meno.