Primo Levi: «Arbeit Macht Frei»

virgolette-aperteCome è noto, erano queste le parole che si leggevano sul cancello di ingresso nel Lager di Auschwitz. Il loro significato letterale è «il lavoro rende liberi»; il loro significato ultimo è assai meno chiaro, non può che lasciare perplessi, e si presta ad alcune considerazioni.
Il Lager di Auschwitz era stato creato piuttosto tardi; era stato concepito fin dall’inizio come campo di sterminio, non come campo di lavoro. Divenne campo di lavoro solo verso il 1943, e soltanto in misura parziale ed in modo accessorio; e quindi credo da escludersi che quella frase, nell’intento di chi la dettò, dovesse venire intesa nel suo senso piano e nel suo ovvio valore proverbiale-morale.
È piú probabile che avesse significato ironico: che scaturisse da quella vena di umorismo pesante, protervo, funereo, di cui i tedeschi hanno il segreto, e che solo in tedesco ha un nome. Tradotta in linguaggio esplicito, essa, a quanto pare, avrebbe dovuto suonare press’a poco cosí:
«Il lavoro è umiliazione e sofferenza, e si addice non a noi, Herrenvolk, popolo di signori e di eroi, ma a voi, nemici del terzo Reich. La libertà che vi aspetta è la morte».
In realtà, e nonostante alcune contrarie apparenze, il disconoscimento, il vilipendio del valore morale del lavoro era ed è essenziale al mito fascista in tutte le sue forme. Sotto ogni militarismo, colonialismo, corporativismo sta la volontà precisa, da parte di una classe, di sfruttare il lavoro altrui, e ad un tempo di negargli ogni valore umano. Questa volontà appare già chiara nell’aspetto antioperaio che il fascismo italiano assume fin dai primi anni, e va affermandosi con sempre maggior precisione nella evoluzione del fascismo nella sua versione tedesca, fino alle massicce deportazioni in Germania di lavoratori provenienti da tutti i paesi occupati, ma trova il suo coronamento, ed insieme la sua riduzione all’assurdo, nell’universo concentrazionario.
Allo stesso scopo tende l’esaltazione della violenza, essa pure essenziale al fascismo: il manganello, che presto assurge a valore simbolico, è lo strumento con cui si stimolano al lavoro gli animali da soma e da traino.
Il carattere sperimentale dei Lager è oggi evidente, e suscita un intenso orrore retrospettivo. Oggi sappiamo che i Lager tedeschi, sia quelli di lavoro che quelli di sterminio, non erano, per cosí dire, un sottoprodotto di condizioni nazionali di emergenza (la rivoluzione nazista prima, la guerra poi); non erano una triste necessità transitoria, bensí i primi, precoci germogli dell’Ordine Nuovo. Nell’Ordine Nuovo, alcune razze umane (ebrei, zingari) sarebbero state spente; altre ad esempio gli slavi in genere ed i russi in specie sarebbero state asservite e sottoposte ad un regime di degradazione biologica accuratamente studiato, onde trasformarne gli individui in buoni animali da fatica, analfabeti, privi di qualsiasi iniziativa, incapaci di ribellione e di critica.
I Lager furono dunque, in sostanza, «impianti piloti», anticipazioni del futuro assegnato all’Europa nei piani nazisti. Alla luce di queste considerazioni, frasi come quella di Auschwitz, «Il lavoro rende liberi», o come quella di Buchenwald, «Ad ognuno il suo», assumono un significato preciso e sinistro. Sono, a loro volta, anticipazioni delle nuove tavole della Legge, dettata dal padrone allo schiavo, e valida solo per quest’ultimo.
Se il fascismo avesse prevalso, l’Europa intera si sarebbe trasformata in un complesso sistema di campi di lavoro forzato e di sterminio, e quelle parole, cinicamente edificanti, si sarebbero lette sulla porta di ingresso di tutte le officine e di tutti i cantieri.virgolette-chiuse

In «Triangolo Rosso», Aned, novembre 1959.

Questo e molti altri articoli di Primo Levi si trovano in L’asimmetria e la vita. Articoli e saggi 1955-1987, Einaudi, o in Opere, stesso editore, 1997.

il quarto indifferente

I votanti previsti per l’elezione del Presidente degli Stati Uniti 2016 sono circa ottanta milioni. Pochini, invero, per la nostra idea di suffragio universale: un quarto del totale, gli è che là bisogna registrarsi per votare. Di questi ottanta milioni, un quarto circa ha già votato.
Il significa che venti milioni di elettori sono del tutto indifferenti alle questioni di questi giorni: mail, fisco, molestie.

don’t punish me / for who I can’t be

Un disco ampiamente sottovalutato, dico io, è The National Health dei Maxïmo Park.

161025-national-health-mpark

Uscito tre anni dopo l’ottimo Quicken the Heart (2009), non ha colpito più di tanto l’immaginario dei fans, me compreso: ascoltato e messo via. Poi, come a volte capita, mi è capitato di nuovo tra le mani e, fortuna!, l’ho capito. The National Health, The Undercurrents, Write This DownWolf Among Men, Until the Earth Would Open (sopra tutte) per dirne cinque, tutti ottimi pezzi. Non sarà il loro disco migliore ma io consiglio: recuperare. E consiglio di non dare ascolto a quei matti di OndaRock cui si deve essere inceppato il traduttore recensionedellaminchia-italiano:

«Post-punk al giulebbe per nuovi hipster dal ruolo poco chiaro: da una parte esercizi nuovi (la lezione retronuevo dei Pains Of Being Pure At Heart?) o reinventati (l’olografia degli Smiths) dall’altra impotenti episodi muscolari. Di fatto è un loffio concept politico, come lo reciterebbe Miss Universo, ma – è ovvio – importa di più notare verve e accelerazione, rimembranze del periodo d’oro, e un trasporto che appartiene alle sfumature crepuscolari di Paul Smith».

Eh? Ma perdavero? A OndaRock gli è rimasto acceso il Polygen