posters posters posters, ancora

Finito il tùr di Kurtney di Sea Lice, le ultime due locandine belle tantoquanto le altre.

Ma per fortuna per uno che finisce ce n’è uno che inizia e, in quanto a locandina, inizia proprio bene: il tùr francese (Lacoste?) di Jen Cloher all’inizio dell’anno prossimo.

E una vecchia locandina, bellissima, dei Cake, in concerto nel 2015 a Salt Lake City; ancor più bella perché difficile da decifrare, bianco su azzurro. Attenti alle scie chimiche, uomini e donne dei cinque stelle.

«quando si tratta di beffarmi di qualcuno, non posso resistere»

Duecentoventisei anni fa morì Mozart. Ne ho già detto più volte, fu grandissimo non per i soli meriti musicali e per quello qui lo si ama parecchio.

«La gente si profonde in complimenti e tutto finisce lì. Mi si prenota per questo o per quel giorno; io suono, mi sento dire: – Oh, c’est un prodige, c’est inconcevable, c’est étonnant! – E buona notte».

tre gioie in lagurna

Il cimitero di San Michele a Venezia non ha una grande storia, è ottocentesco e nasce, come tanti cimiteri, a seguito dell’editto napoleonico sulle sepolture che tanto Foscolo ci ha dato. Una volta, in laguna, si usava spostare ciclicamente i cadaveri dai camposanti all’isola di Sant’Ariano, che diventò in breve tempo l’ossario di Venezia, ancora visibile in tempi recenti: un bello strato alto tre metri di ossa accatastate. Il grado successivo al tombarolismo.
Il cimitero di San Michele è diviso in tre aree, cattolica, ortodossa e evangelica, ed è (anche) per questo che accoglie le spoglie di tre grandissime eminenze russe, di cui vado a cadaunare i sepolcri.
Senza bisogno di presentazioni, prima il compositore e poi l’impresario dei Balletti russi, oltre a essere tante altre cose.

Morto prestissimo, Djagilev morì a Venezia; Stravinskij, invece, morto a New York quasi cinquant’anni dopo (non troppi anni fa, e io avrei detto secoli), chiese espressamente di essere sepolto vicino al suo amico e collaboratore. E così fu.
A Brodskij, morto in esilio anch’egli a New York, fu offerta sepoltura in Russia ma la moglie, giustamente, rifiutò, trovando alla fine in Venezia un luogo adatto.

La tomba di Brodskij, nel reparto evangelico, ha, curiosamente, una specie di cassettina postale davanti che escludo serva per la corrispondenza. Penso.
(Grazie a mr. C.).

André Kertész

Kertész, fotografo ungherese naturalizzato americano (1894–1985), introverso e geniale, attento a ogni aspetto, anche minimo, della realtà, disinteressato alla cronaca o agli importanti eventi mondani, stabilmente in mezzo a una strada a osservare e poi fotografare, è stato uno dei grandissimi della fotografia. Diceva Bresson: «Tutto quello che abbiamo fatto, Kertész l’ha fatto prima». Probabile.



«Sono nato chiuso, ma un chiuso aperto alla strada, ed ho cercato la felicità nel silenzio di un istante», diceva di sé. Qui sotto uno dei suoi scatti più famosi, “Pipa e occhiali di Mondrian” (1926), aggiudicata per 376.500 dollari.

Ma quella che amo di più tra le sue fotografie è questa, che rappresenta lo studio di Mondrian. Che sia Mondrian è del tutto irrilevante per me, ciò che mi piace molto è il nulla che compone la foto, luce cappello tavolo soprammobile scala, che è il nulla che componeva la vita allora, fatta di niente ma di così grande sostanza. E dal nulla esce la magia, bellissima.

Kertész è in mostra a Parigi fino a gennaio, qui.