Quello dietro, piccolino, è uno scuolabus americano tipico, diciamo forse un Ford B-700 o, più precisamente, un Freightliner FS-65 da sette metri e rotti tra ruota e ruota, undici e più nel complesso.
Tra i miei ricordi più buffi di Formula Uno, con la Tyrrell P34 1976-77, la Brabham BT46 1978, la Arrows A22 2001, spicca senz’altro la Ligier F1 1976.
Come i messicani con il sombrero gigante, lord Casco Nero, insomma quelli con le cose troppo grandi: spassosi. Certo, era un prototipo, questo è chiaro, ma che divertimento vederla girare.
E anche la signorina delle Gitanes diventava davvero gigante.
Il pilota era Jaques Laffite, i progettisti Gérard Ducarouge, Michel Beaujon, Robert Choulet e la Ligier fece un ottimo campionato, pur essendo il primo.
Uno arriva bel bello e dichiara che: «Viva Istria e Dalmazia italiane», bravo. L’altro arriva, non meno bel bello, e dice: «Io come presidente della Repubblica sono il garante della coesione nazionale», ineccepibile.
La vita, però, è dura e nulla va mai come dovrebbe. È difficile, lo so, ma tocca fare la pieghina e cercare il pelo nell’uovo. Quindi: il primo è il presidente del parlamento europeo e certe scemenze non dovrebbe proprio dirle, se fosse minimamente consapevole del proprio ruolo.
Naturalmente è stato frainteso (mai uno che dica che s’è spiegato demmerda) e intendeva viva gli italiani di Dalmazia. Il secondo, invece, manco sa dove sta di casa perché è il presidente del consiglio e ancora non si capisce se vorrebbe fare quello della repubblica o se, invece, ancora non ha capito bene la differenza.
E, purtroppo, non è nemmeno la versione di Celenza. Che dire? Beh, avanti così, di gita in gita, di confusione in approssimazione, venga avanti il prossimo.
Una prima volta per me, ciò nonostante mi sono sentito abbastanza a casa: tutti coetanei, tutti cresciuti con il videoregistratore – per cui ben si capiscono i filmati con le righe delle testine – e un disco, Mezzanine, che appartiene alla mia generazione. Una performans artistica più che un concerto, la visione è piuttosto oscura di un mondo dominato dalle macchine, intramezzata qua e là da appelli alla fratellanza e alla cooperazione tra persone nello spirito di Banksy. Suoni buoni, spettacolo senza pause e senza alcuna interazione col pubblico, band sempre al buio tranne quando Elizabeth Fraser ha cantato le parti vocali di Black Milk, Where Have All The Flowers Gone?, Teardrop e Group Four. Molte le cover – o la musica campionata, forse meglio – tra cui Velvet Underground, Cure, Bauhaus, Horace Andy, Pete Seeger, Ultravox e Avicii. Palazzetto pieno, il pubblico abbastanza immobile per gli standard cui sono abituato io, in definitiva è stata una bella incursione in un territorio per me inesplorato. Grazie alla signora F.
Fino a non troppi anni fa sarebbe stato il contrario, il traffico sarebbe stato sotto il ponte.
Alcuni giorni fa, nel sestiere Castello o lì vicino, un ladro introdottosi in un appartamento ha trovato un uomo, il padrone di casa, deceduto. Può capitare. Il problema è che era deceduto da sette anni. Ecco, questo non dovrebbe capitare. A maggior ragione in una città come Venezia, la città del vicinato, delle reti (sociali) e delle relazioni per eccellenza.
I residenti ufficiali del centro storico, dato della fine del 2017, sono 53.976: pochini per una città che nel 1951 ne aveva 174.808. Cinquantamila persone è la soglia comunemente ritenuta del collasso, ovvero quel momento in cui la popolazione è talmente rarefatta che le strutture essenziali vengono meno.
Poste, carabinieri, medici di base, fornerie, ambulatori, notai e così via. Spariscono per popolazione troppo diradata. In Veneto la media è un posto letto in ospedale ogni 33 abitanti, a Venezia ce n’è uno ogni 96. Allora le case, potrebbe dire qualcuno, costano poco, dato che sono vuote. No, anzi, oggi costano parecchio perché Airbnb è dappertutto: rendita facile, veloce, poche tasse o meglio nulle, nessun obbligo e nessuna ricaduta positiva sulla città, ma solo sulle tasche del singolo privato. Hai voglia a mettere i tornelli…
Il povero signore deceduto da sette anni non solo non aveva più vicini residenti ma se li aveva erano di volta in volta nipporientali, afrocaucasici, amerigoeuropei, venusiomarziani che più di una o due notti non si sono mai fermati. E poi che je frega? I contatori del gas parlano da soli con l’Azienda Municipalizzata, gli addebiti sono domiciliati e avvengono in autonomia, la pensione arriva da sola sul conto e via, uno resta secco sul divano e bon, saluti a tutti, a fra sette anni.
Bisognerebbe decidere che farne, di Venezia. Seriamente.
Il 17 gennaio scorso l’ennesima conferenza stampa surreale del governo, stavolta a tema Reddito di cittadinanza e Quota 100. Diciamo. Poiché il comunicatore-capo Casalino predilige la modalità-cartello, ovvero una cosa che sia visibile anche nelle immagini, fornisce i presenti – il presidente del consiglio Conte e i vicepresidenti Di Maio e Salvini – di cartello, appunto, da tenere in mano.
Siccome, però, regna l’accordo e l’armonia, la scenetta dei cartelli diventa poi questa:
Ovvero: Conte e Di Maio stesso cartello in tema, Salvini uno suo senza reddito di cittadinanza, per rimarcare la distanza dalle iniziative di governo dei cinque stelle. Possibile glielo lascino fare? Sì, talmente deboli da lasciarglielo fare.
Qualcuno dovrebbe fare delle domande a questo proposito ma, ovviamente, non le fa. Non contenti, proseguono con Di Maio che presenta le «norme anti-divano». Così, giuro, «anti-divano», non «norme per contrastare l’abuso eccetera», proprio «norme anti-divano». E così sta scritto sul documento della presidenza del consiglio: «norme anti-divano».
Saranno contenti da Divani&Divani, immagino, almeno quanto noi qui.
Se n’è andato Roberto Perini, disegnatore, fumettista, pittore.
Lo ricordo con grande affetto ai tempi di Cuore, quando tra le tante cose fece un paginone disegnando una a una tutte le popolazioni dell’URSS: il tartaro, tremendo, l’ingrugnato kazako, il misterioso uzbeko, l’accigliato kirghizo, il basso tagiko e così via. Ci piacque e divertì moltissimo, a casa.
Era proprio bravo, gentile e deciso, politicamente sempre impegnato, capace insieme di escursioni fantasiose e stralunate.
Mi spiace molto.
facciamo 'sta cosa
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