D. Perché la Lombardia riaprirà con le quattro «d»: distanziamento, dispositivi (di protezione), digitalizzazione (del lavoro), diagnosi. Persino ovvio ripensare alle tre «i» di tempo fa. Ma potrebbe essere qualsiasi lettera, la «m» per esempio: mascherine, monitoraggio, mani (da lavare), baciare lettera testamento, basta pensarci un po’. Ma questa è, chiaramente, una bagatella. Per tornare alle «d», prima della riapertura ci sarebbero anche quelle di dolore e disperazione, delle vittime in ospedale e sole a casa, dei parenti, dei medici e infermieri, di chi si è sentito abbandonato, e sono molti.
Nessuno ha le idee chiare su come affrontare il prossimo periodo: l’indice di contagio pare si sia assestato su 0,8, ovvero una persona malata ne contagia un po’ meno di un’altra, ma non è chiaro questa cifra a che zone si riferisca, se al paese tutto o a cosa, di sicuro in certi luoghi della Lombardia è ancora ben più alto. In Regione pensano a una riapertura graduale ma rapida, come anche in Veneto, ma non è loro competenza e, poi, occhieggiano all’elettorato, fatto da devoti della religione del fatturato e del lavoro: culto che, come si è visto, ha prodotto disastri nel momento della diffusione della pandemia. Perché viene posta l’eterna contrapposizione tra salute e lavoro che chi non vive qui fatica a capire: se vuoi lavorare, a qualcosa devi rinunciare. Sia perché la fabbrica inquina e, quindi, ci rimetterai in salute, sia perché lavorare con l’imbragatura e il caschetto sull’impalcatura è scomodo e ci si mette molto più tempo. Se non ti va bene, via. E anche stavolta, di fronte all’ipotesi della riapertura, l’approccio è sempre lo stesso: per ora si riapra, poi vedremo. Che, poi, è una delle cause determinanti dell’inizio del contagio: non possiamo mica chiudere le fabbriche e le imprese, non scherziamo. Infatti. Poi c’è il governo che cerca di frenare, ricordando che i piani di gestione sono prerogativa centrale e che, in ogni caso, si cercherà di procedere in modo omogeneo per non disperdere lo sforzo e i risultati ottenuti finora. Oltre a quello, la pletora di individui o enti o chissà dio cosa che intervengono a casaccio nel dibattito pubblico e menano il can per l’aia: chi sostiene che la seconda ondata di contagio sia inevitabile, chi dice subito chi dice in autunno, e ovviamente non ci sono dati per dirlo ma l’acqua al mulino della riapertura rapida è portata (trad.: se ci sarà comunque, tanto vale lavorare finché si può); chi dice che il Signore proteggerà i suoi anche senza le mascherine; chi (Libero) dà magistrali lezioni di giornalismo, ancora, e spiega che la ragione per cui la Germania si oppone agli aiuti al nostro paese è che ci invidia, perché siamo più ricchi, ineccepibile; chi minaccia di morte il direttore di Repubblica, perché quello non deve mancare mai; chi mette in giro finti decreti con tanto di intestazione dello Stato e chi sostiene che, ovvio, ci stanno nascondendo la cura. Ma chi? Beh, chiaramente loro. Anzi, ancora una volta «Loro» (gesto delle due mani a far virgolette in aria). E poi c’è la Lega, ancora, che fa casino sui social per MES e Eurobond (o Coronabond che si voglia), per dire nel primo caso no e nel secondo sì, lagnarsi che l’Europa non ci aiuta e poi, quando si deve votare un emendamento in favore degli Eurobond che fa? Vota contro. Con scandalo addirittura di qualche leghista un pochino più avvisato. Fratelli d’Italia, che voglio dire…, capisce e vota a favore, per capirsi sul livello. Ma è comprensibile, tocca fare una parte in Italia e a Bruxelles, invece, fare ciò per cui si sono presi i soldi da Mosca: indebolire l’UE. Perché quello fa la Lega, non scordiamocelo. Nessuno, dicevo, sa come andrà, io tanto meno. Ma stavolta, in caso di una seconda ondata e un altro giro di lockdown, non mi farò trovare impreparato.
Giorno di bucato, ancora, e la mia quarantena da questo punto di vista riparte da zero: tutto pulito. Fuori dalla lavanderia automatica – ci vado perché non ho la lavatrice – vive un signore con il suo cane, cioè vive in macchina. Da parecchio tempo, ogni volta che vado a fare il bucato cerco di aiutarlo e oggi lo stesso, ma mi rendo conto di come tutta questa situazione lo metta ai margini ancor di più: procurarsi del cibo, ricevere qualche soldo dalle persone di passaggio, approfittare della vicinanza di un supermercato, trovare eventualmente strutture per un pasto e una doccia, tutto ciò è diventato enormemente più difficile. E le persone si mantengono ancor più a distanza. Gli dò tutto quello che ho, in tempi normali sarebbe quasi uno sproposito ma questi non sono tempi normali, io non so quando potrò aiutarlo di nuovo e lui ha il vizio di mangiare tutti i giorni.
Oggi è il quarantaduesimo giorno di isolamento (quarantena non si può più usare, dopo i quaranta giorni, penso). Qualcuno, tempo fa, sosteneva che «42» fosse la risposta a ogni interrogativo dell’universo. Ma era una persona di spirito e, oggi, quello spirito è più raro e, di conseguenza, anche la risposta non pare applicabile alle nostre situazioni attuali. Purtroppo.
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