minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 31

«Il sonno della Regione» titola il Manifesto, riferendosi al fatto che l’assessore regionale alla salute Gallera, dopo una settimana di rimpalli con il governo, ha ammesso che sì, ecco, toccava a loro chiudere la val Seriana e farne una zona rossa, cosa poi non fatta, con i risultati che abbiamo visto in provincia di Bergamo. Gallera è poi lo stesso che dieci giorni fa, nel ben mezzo del pandemonio, con tempismo perfetto ha annunciato che era ben disponibile a candidarsi a sindaco di Milano.
I dati dicono che c’è una timida diminuzione del contagio ma sono cifre che andrebbero verificate. Infatti, il dato utile – nell’impossibilità di conoscere i dati reali del contagio – è quello dei decessi: se la curva dei decessi attuale andasse, di fatto, a ricalcare la curva dell’anno scorso (o la media dei cinque anni precedenti), sapremmo che la situazione è tornata alla normalità. Ma ciò è difficile da quantificare, poiché non conosciamo con precisione i dati di ciò che avviene a casa o, per dire, nelle residenze per anziani. Allora, grossolanamente potrebbe essere un’idea monitorare la curva della percentuale di positivi sui tamponi fatti ma si tratta, come si capisce, di un sistema del tutto approssimativo, quasi una suggestione. Dico tutto questo perché per poter pensare a una riapertura, seppur timida (la chiamano «fase 2»), bisognerebbe avere dei dati certi a disposizione, per evitare la situazione di Hong Kong, apertura e immediata chiusura, di nuovo. Ovviamente, non avrebbe senso cercare di fare un fine settimana all’aperto ora per poi dover passare l’estate in quarantena.

Logo comune

Cose belle o particolari del periodo: i miei vicini che mi hanno regalato una forma di pane fatto da loro; una riunione con i miei zii, oggi, per decidere alcune cose su un affitto, fatta in cortile, ognuno in un cantone a debita distanza, essendo appunto in quattro; la mia vicina e amica T. che ogni mercoledì sera fa la pasta per due e me ne lascia una pentolata davanti alla porta; E. e F., due amici, con i quali facciamo lo scambio frutta/vino, io porto la frutta e, per fortuna, ricevo vino (molto più buono di quello che avrei preso io); persone per cui faccio la spesa, in modo che non escano di casa, che mi guardano dagli spioncini e parlano con gratitudine vera al di là della porta; gli stessi che poi mi regalano mascherine; una colomba superbuona ricevuta in regalo che sarà suddivisa in nove parti uguali, una per ogni persona presente in cortile, così festeggeremo in qualche maniera; i disegni ricevuti dalle bambine mie vicine ogni volta che porto loro delle fragole o delle cose buone; l’espressione degli occhi della guardia giurata che sta fuori dal supermercato ogni volta che la saluto cordialmente. Ce ne sono altre, il punto è che sono tutte cose che coinvolgono persone, bene o male. Un altro motivo per cui è difficile: mancano le persone.

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minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 30

Ecco, il fatidico trenta. Soglia psicologica perché tonda, ovvio che non cambi nulla, ma dire: «trenta» e pensarci, un mese, far scorrere i giorni in fila fa un sacco di tempo. Trenta, tanti, troppi, trenta giorni chiusi in casa. Ovviamente, mentre si lavora i trenta giorni passano via in un soffio, ma se qualcuno avesse detto: «adesso starete in casa per trenta giorni» l’impegno sarebbe stato enorme, insostenibile. E cosa ci sarebbe stato, nei miei trenta giorni, oltre a tutte le attività volatili perse? Il concerto di Pollini all’auditorium di Roma questa sera, per esempio. Puf. E quello di Capossela a fine febbraio a Mantova, andato. Poi svariate partite di basket, da abbonamento, e quella dell’Olimpia in coppa al Forum il dodici, speranza di buona pallacanestro. Niente anche quelle. E poi una tre giorni a Vilnius dal nove al dodici marzo, per non dire dei cinque giorni a Berlino dal diciassette, tutti viaggi già dotati di biglietto aereo. Vabbè, trenta giorni. Ma, alla fine, stare a casa è meglio, vuoi mettere le scomodità del viaggio? E poi, come commentavamo col mio compagno di concerto di stasera, alla fine Pollini lo senti molto meglio su cd sul divano, così lui non sbaglia e io mi posso stravaccare. Molto meglio a casa, bastava pensarci.

EPA/NARENDRA SHRESTHA

Si delinea sempre di più il disastro sanitario in Regione Lombardia e pare del tutto evidente, oramai, che la favola del «sistema sanitario migliore d’Europa/del mondo» sia, appunto, una favola. Che ci raccontiamo da soli, per di più. Ormai cominciano a essere parecchie le rilevazioni in senso contrario, di ieri quella della Federazione regionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fromceo) che individua almeno sette macro-errori compiuti dalla Regione nella gestione della pandemia: «mancanza di dati sull’esatta diffusione dell’epidemia», «incertezza nella chiusura di alcune aree a rischio», «mancata fornitura di protezioni individuali ai medici del territorio», «pressoché totale assenza delle attività di igiene pubblica», «mancata esecuzione dei tamponi agli operatori sanitari del territorio», in sostanza, ed è la più grave, «mancato governo del territorio». Per dirne alcuni. E solo per quanto riguarda la gestione, perché poi c’è la valutazione degli interventi fatti nel passato, sotto l’infinito governo Formigoni, con i quali sono state smantellate le ASL, il braccio sanitario operativo, trasformate in Ats (Agenzie di tutela della salute), cioè agenzie di controllo burocratico e amministrativo. Ma tutta la sanità regionale, in sostanza, in parte privatizzata nei settori lucrativi e smantellata nella struttura. E non è una scoperta di oggi, è dalla metà degli anni Novanta che sento ripetere da chi è competente nel settore che le politiche di destra stavano distruggendo irreparabilmente il sistema. Questo, oggi, si tramuta in morti. Morti veri, non sulla carta. E, allora, si spiega ancor meglio il tentativo di Salvini e della Lega di tre giorni fa di far passare un salvacondotto per gli amministratori regionali.
Temo che, ancora una volta, questo non si tramuterà in nulla.

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minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 29

In Italia lo slogan che si è affermato per la quarantena è stato, si sa, «Io resto a casa», persino il decreto del 9 marzo si è intitolato comunemente «#IoRestoaCasa», figuriamoci l’hashtag (gesto esplicativo con le quattro dita incrociate). Nel mondo anglosassone, invece, questo: «Stay Home. Save Lives.». Una certa differenza c’è. Non che io voglia da questo dare chissà quale lettura sociologica da sottoscala, però qualcosina, -ina, vorrà pur dire che da noi manca proprio la seconda parte che si riferisce al collettivo. O no? Secondo me sì, qualcosa significa. Perché l’invito a stare a casa trova davvero compimento con l’idea che se non lo fai per te, almeno lo fai per salvare vite altrui. Anche di più: non c’è l’«io» (volutamente minuscolo), non c’è l’individuo nello slogan anglosassone, ci sono due imperativi molto chiari, da noi è davvero diverso. Beh, a me il collettivo piace di più, ancora una volta.
La Regione Lombardia fa un altro casino – lo so, sembra che io ce l’abbia con loro ma non è così, fanno tutto da soli – e proclama che offrirà mascherine gratis per i cittadini. Bravi, come la Toscana e molti comuni nel paese. Però poi precisano che non sono ancora disponibili e a quel punto è tardi: le farmacie sono già state prese d’assalto e si trovano, come se già non ne avessero, a spiegare che no, non ci sono. Quando arriveranno? Non lo sa nemmeno la Regione, questo è ancor più bello. Io dico: ma un minimo di buon senso nella comunicazione – vedi anche INPS settimana scorsa – per intuire, non dico sapere, che stai per creare un pandemonio, lo vuoi avere? No, evidentemente no. Poi la Regione precisa pure che le mascherine saranno tre milioni. Devono aver travisato ciò che ha fatto la Regione Toscana, consegnando tre mascherine a ogni cittadino: qui c’è una mascherina ogni tre abitanti, dato che siamo nove milioni. Quindi io posso averla il lunedì, il giovedì e la domenica, se sono fortunato. Speriamo che gli altri due comproprietari della mia mascherina vivano almeno nella mia stessa città e, soprattutto, non siano asintomatici.

Oggi, e ieri, faccio fatica. Sono cicli, lo so anch’io, in alcuni periodi va meglio, più piana, in altri la reclusione pesa di più. Ora pesa di più. Non provo alcuna noia, mai provata nella mia vita, ho anzi fin troppa roba da fare, tra cui finire una poderosissima pleilista di canzoni degli anni Novanta che consiglio a chi apprezza il genere (si trova su Spozzifai, «90s (Nineties): almost everything»), nessuno l’ha fatta così grossa. Faccio fatica, dicevo, perché non posso fare alcune cose che sono essenziali per il mio equilibrio e che portano bellezza e meraviglia nella mia esistenza. Lo so, capita a tutti, ma i tutti non sono nella mia testa e devo invece conviverci io con me stesso. In generale, invece mi manca qualcuno che dia il ritmo, che dia prospettiva, che si atteggi a figura che ha ben compreso le cose e che tiene salde le redini. Ho detto atteggi, mi accontento di quello, non deve saperlo per davvero, mi basta sia convincente. Perché essere nelle mani di Fontana non mi piace: non ho timore, mi dà proprio fastidio. Perché se proprio devo essere nelle mani di qualcuno, e già la cosa non mi piace, vorrei fosse una persona di grande capacità e preparazione. Non un leghista d’accatto.

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minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 28

Ci mancava la Lega e il suo emendamento salva-amministratori (della Lega). La Lega ha provato a liberare i «datori di lavoro di operatori sanitari e sociosanitari» e i «soggetti preposti alla gestione della crisi sanitaria» da ogni «responsabilità personale di ordine penale, civile, contabile e da rivalsa». Attenzione: non i medici ma i datori di lavoro dei medici, non gli infermieri ma i dirigenti delle ATS e delle ASST, in Lombardia proprio tutti tutti di nomina di partiti di destra, Lega in testa. Poi i sindacati hanno fatto casino e bon, emendamento ritirato, ma non sono sicuro che al Senato non sarebbe passato. Evidentemente qualcuno comincia a temere di vedersi rinfacciare le proprie responsabilità nella gestione della crisi e, secondo me, Fontana in Lombardia ne ha ben donde. Per le cose serie, servirà piuttosto pensare già adesso a come proteggere i medici e gli operatori dagli avvocati avvoltoi che cominciano a volare in circolo sulla situazione generale, pregustando succulente cause.
Adesso, dopo le prime settimane di emergenza, cominciamo tutti ad aver bisogno di prospettiva, di un ragionamento sul medio-lungo termine che ci ponga davanti a qualche elemento certo, perché andare avanti senza chiarezza comincia a diventare davvero poco sopportabile. Le domande che sento fare e che mi faccio sono su che tempi ci vorranno, che tipo di riaperture saranno attuate, come e perché e, invece, la gestione della situazione è ancora alla rincorsa, nessuno sa, nessuno dice.
Nuovo decreto, in serata, della Regione Lombardia, che sancisce l’obbligo di mascherina e guanti per tutti quando fuori di casa. Già, ma le mascherine non ci sono. «Sciarpe e foulard proteggono meno? Meglio di niente», dice Fontana ovvero la Regione. In Toscana, medesimo provvedimento che, però, entrerà in vigore solo dopo che saranno consegnate a ogni cittadino le tre mascherine che la Regione ha acquistato per tutti. Colta la differenza? Da una parte c’è un modo di affrontare la cosa insieme, dall’altro il si salvi chi può. Me ne ricorderò, tra l’altro, a cose finite quando deciderò dove vivere i prossimi anni.

Soliti giri di spese per altrui, ormai la situazione nei supermercati fluisce scorrevole in quella che settimane fa sarebbe parsa fantascienza: mascherine, guanti, distanze, misurazioni della temperatura, entrate contingentate, sanificazioni, se qualcuno per sbaglio tossisce senza mascherina sulla verdura si butta tutto e avanti così. Signora mia, ci si abitua a tutto. Però rimane persistente l’abitudine ai giorni della settimana: il sabato sera al supermercato non c’è quasi nessuno. Beh, ovvio, si stanno preparando per uscire, chi è che è così privo di vita sociale da passare il sabato sera al supermercato? Io. Il lunedì mattina, un casino. Inizia la settimana, ci vado presto così poi porto i bambini a scuola e vado al lavoro. Certamente.
Ieri era il 3, il giorno che sembrava lontanissimo ed era il termine di tutta la tornata precedente di decreti del Governo: è arrivato, nonostante la distanza, e avevamo capito tutti che non sarebbe successo alcunché e che tutto sarebbe stato prorogato ben oltre. È che sembrava per davvero irraggiungibile a queste condizioni, non ci volevo nemmeno pensare, e invece l’abbiamo raggiunto e le condizioni, se possibile, sono peggiorate. È quello che mi fa male, il rendersi conto che ci si abitua.

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Scrivere, anche questo minidiario, ascoltare un disco nuovo, lavorare a pleiliste musicali per il godimento diffuso, ascoltare musica buona davvero, leggere testi che contengano bellezza e ingegno, vagolare sulle mappe immaginando viaggi alla ricerca di itinerari coinvolgenti, imparare qualche cosa di nuovo, fare qualche conversazione di qualità, inviare una foto o un pensiero appropriato a qualcuno che possa apprezzare, fare un’azione utile per una persona, mettere a posto qualcosa, fare una gentilezza, condividere una cosa bella scoperta da poco, leggere o guardare una cosa che mi faccia fare una risata, fare movimento, buttare via una cosa inutile, pulire un angolino. Queste sono attività che cerco di fare ogni giorno, niente di zen o da allenamento da Karate Kid, tutt’altro, semplicemente cose che mi piace fare e che danno un senso, a sera, alla giornata. Figuriamoci, io che sono insofferente alla disciplina non potrei mai, diciamo che queste cose le faccio e ne son contento ma, magari, ne faccio tre alla volta, oppure una per ore e le altre per minuti, o come capita senza criterio. Cose che facevo anche nella vita normale fino al sette di marzo, la differenza è che poi c’era dell’altro, dalla socialità ai viaggi ai musei ai concerti alle partite alle gite ai giri alle cene fuori al lavoro, mentre ora manca una bella fetta.

Quindi d’accordo, potrebbe andare peggio ma non è che vada benissimo. Un pochino di insofferenza (traduco letterariamente: scoglionamento) si fa strada tra le giornate che tendono ad assomigliarsi una all’altra (trad.: merda, sembra di essere criceti) in questa primavera che avanza (trad.: vaffanculo sole, vaffanculo fiori, vaffanculo teporino) e in cui le giornate sono più lunghe (trad.: vieni buio, su) e così ricche di tempo libero per poter fare le cose che da tempo sognavamo (trad.: mavaccagare).
Esaurita con delicatezza la disamina del periodo, ora vado a trasformare questa situazione forzosa in una bella opportunità per godere di ciò che abbiamo, perché guardate che in guerra era peggio e noi oggi abbiamo anche la tv via cavo.

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laccanzone del giorno: Bill Withers, ‘Use me’

Accidenti, avevo fatto laccanzone ieri e oggi ho saputo della morte di Bill Withers. Oltre al dispiacere, perché l’ho ascoltato tanto (e anche molti di voi, sebbene non lo sappiano), mi pare davvero il minimo dedicargli una laccanzone. Ma prima: Withers ha scritto, per dare un’idea, alcune canzoni per cui molti autori avrebbero ucciso – come minimo – per averne scritta anche una sola. Una. Lui, molte. Ne dico? Beh, attenzione: «Ain’t no sunshine», «Lean on me». E poi «Lovely day» e «Just the two of us».
Capito la levatura?
Io metto «Use me», che è la sua canzone che preferisco, ed era la quarta del suo secondo disco, «Still Bill» del 1972, e precedeva proprio «Lean on me». Voglio dire: davvero troppo per un uomo solo (io). Per lui, normale. Già solo all’inizio è impossibile stare fermi, a meno che non siate oggetto di sequestro.

Arrivederci, signor Withers e grazie, di cuore, per tutte quelle meraviglie. Le prometto che ne farò buon uso anche ora che lei è in viaggio.

Trostfar, gentilmente, raccoglie tutte leccanzoni in una pleilista comoda comoda su spozzifai, per chi desidera. Grazie.

minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 26

La giornata si apre con la notizia (le notizie, in realtà, perché come ogni notizia del periodo circola in multiple varianti) che in Cina (cioè Wuhan e zone limitrofe) i contagi sono in ripresa e, di conseguenza, hanno deciso di richiudere ciò che era stato aperto qualche giorno fa. Prima di tutto, devo dire che la cosa era prevedibile, lo scenario del tira-e-molla tra aperture e chiusure è il più credibile anche qui. Poi, noto con un filo di sgomento che l’andazzo della stampa negli ultimi giorni, non essendovi grandissime novità dai numeri del contagio e dai decreti del Governo, è di sparare una non-notizia a quattro colonne, dicendo poi nell’articolo, se va bene, che si tratta di un’ipotesi e riportando favorevoli, contrari e chi lo sa. Rimarremo in quarantena fino al 18 maggio. Bam! Il virus si trasmette nell’aria! Pum! Il caldo non servirà a nulla! Badabàm! Così, del tutto inutile, sia perché sono asserzioni prive di fondamento, spesso palesemente false, sia perché non apportano alcun elemento in più alla comprensione di ciò che accade. Risultato? Io e altri come me non ascoltiamo più le notizie, se non sporadicamente e verso la fine della giornata, perché se accade per sbaglio di accendere la radio appena svegli, la giornata è senz’altro rovinata.

(AP Photo/Nariman El-Mofty)

La Cina, dicevo, e giù con i ragionamenti dicendo che la seconda ondata della febbre spagnola fu quella sì che fece i morti per davvero, naturalmente il fatto che il contesto fosse un filino diverso – una guerra mondiale, le trincee, condizioni igieniche spaventose, un’idea approssimativa dei virus e della loro trasmissione – non sfiora chi vuole a tutti i costi partecipare al dibattito. Ecco, il silenzio: sembra di essere in un pollaio, stiamo starnazzando tutti a ogni latrato, hai sentito? hai visto?, hai saputo?, e io da qualche giorno ho davvero bisogno di silenzio, perché sono stufo di radio, internet, messaggi e diosachealtro che invadono la giornata con numeri incomprensibili, grafici, tendenze, conferenze, virologi, consigli veri e soprattutto falsi, meme e scemenze, modi per impiegare il tempo, resoconti di gente che fa feste per strada, gente che fa incetta di lievito, signore guarda giù, e anche, se posso dirlo, di telefonate in cui, ovviamente, l’argomento è unico e il cui scopo non è rassicurarsi o avere qualche minuto di sollievo ma scambiarsi fosche previsioni sulla grande distanza. E i tamponi? Omioddio i tamponi, perché non ne fanno di più? Perché non vogliono farli, loro, è evidente. Ma che ne so io di tamponi, se ne vadano fatti di più o di meno o va bene così, non ne so nulla e non ne vorrei parlare, ne parlino coloro che sanno qualcosa di tamponi e sulla loro utilità. E invece no, dobbiamo parlarne tutti. Non vorrei nemmeno sentire i brani degli artisti fatti da casa per tenere compagnia o per opere di solidarietà, va benissimo raccogliere soldi ma se ne può parlare, senza registrare una schifezza in salotto. Non vorrei nemmeno sentire più che andrà tutto bene, perché qua non va bene proprio un cazzo, facciamo che lo dico, una volta, e poi riabbassiamo la testa e ci concentriamo per superare il periodo: ’sta faccenda che ci sta capitando è una vera, solenne merdata, la vita che facciamo è piuttosto brutta e ci attendono tempi abbastanza schifosi. Uff, l’ho detto, possiamo ricominciare.
Andrà tutto bene.

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laccanzone del giorno: Eagles, ‘In the City’

Io so esattamente quando sentii per la prima volta questa canzone: fu quando vidi “I guerrieri della notte” alla tv. Il film è del ’79 e siccome io ero un ragazzino precoce e ne ho un ricordo indistinto (guerrieeeeeri), direi che erano giù di lì quegli anni. La canzone fu scritta da Walsh, chitarrista degli Eagles, proprio per il film. La banda, sentito poi il pezzo, decise di includerlo nel disco successivo, «The Long Run».
È per questo che la versione del film è leggermente diversa da quella degli Eagles, che a me piace di più ed è quella che metto qui. Perché ha l’inizio strepitoso con la passata di corde, tsz-tsz, e poi parte, una meraviglia: il classico sound Eagles con Walsh.

Poi la canzone è stata riutilizzata un miliardo di volte, ho già citato «Rick and Morty» e rimando a quello per tutti, puntata sette della terza stagione.
Oggi «In the City» non è tra le canzoni più note del gruppo, non è nemmeno tra le più ascoltate, ma c’è una ristretta cerchia nel mondo che oh si! eccome se la conosce e se la ascolta. Fatene parte anche voi, se finora no.

Trostfar, gentilmente, raccoglie tutte leccanzoni in una pleilista comoda comoda su spozzifai, per chi desidera. Grazie.

minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 25

È il primo aprile, il che vuol dire scherzi. E lo scherzo migliore lo fa l’INPS che decide di cominciare oggi ad accettare le domande per «l’indennità da 600 euro che spetta agli autonomi come bonus di marzo per i mancati guadagni dovuti all’epidemia» (questo lo so perché riguarda me) e altre agevolazioni che non so (perché non riguardano me). Ma per non farci mancare nulla e per rendere più sagace lo scherzo, l’INPS nei giorni scorsi ha annunciato che i fondi sarebbero stati a esaurimento e, non contenta, erogati secondo l’ordine cronologico di presentazione della richiesta. Comportamento atteso? Forse una fila virtuale disciplinata e gentile? Esatto. Come prevederlo, d’altronde? A mezzanotte tra il 31 e l’1 il sito è già offline. In tilt completo. E peggiora. Naturalmente domani il presidente parlerà di un attacco hacker, inverificabile, ma l’evidenza sta proprio lì: l’insipienza nella comunicazione crea il caos. La coincidenza è che io sto facendo un’altra cosa e non ho sonno, quindi alle due e rotti, prima di andare a letto, decido di fare un tentativo e, spingendolo a mani nude, il sito risponde e lentissimamente mi fa fare quello che devo: la richiesta. Vado a dormire immaginando già il domani. Infatti, un casino: il sito è completamente andato e non basta: entrando, rende visibili i profili altrui. Una meraviglia che nemmeno i più fantasiosi. I fresconi, tra l’altro, non hanno tenuto conto che il sito serve anche ai patronati, ai CAF, e a un sacco di persone ed enti per lavoro i quali, ovviamente, stanno fuori come tutti. INPS chiaramente rettifica, spiega che le domande si potranno fare con calma e che, ahinoi, c’è stato un attacco hacker. Gli hacker se la ridono perché l’INPS, stavolta, ha fatto davvero tutto da sola.

Fuori c’è la primavera, maledetta, oserei dire indifferente. Le misure di contenimento sono state prorogate fino a dopo pasqua, questo era ovvio, visto che sarebbe stato il delirio. La stanchezza comincia a regnare sovrana tra le persone che sento, anche quelle organizzate che non conoscono la noia, tra cui me medesimo. Succede un mezzo casino per una dichiarazione non chiarissima del ministero dell’Interno che lascia intuire che si possano fare passeggiate con i bambini. Putiferio, sensatamente l’autorità chiarisce ma i genitori, come spesso accade, fanno menella. E io posso dirlo? Ma chissenefrega della passeggiata dei bambini, teneteli a casa e bon, come fanno tutti. Siete autorizzati a fargli fare il giro dell’isolato e non rompete, punto.
Ho un’urgenza e, come tale, ho il diritto all’uscita, all’autocertificazione che ormai non faccio più, al giro fuori: devo lavare lenzuola, asciugamani e biancheria. Perché non ho la lavatrice. La borsa parla da sé e se presentata al vigile darà la misura, inequivocabile, dell’urgenza. Vado alla mia lavanderia automatica preferita, incredibilmente sono da solo, faccio il mio bucato, lo asciugo, lo piego nella perfetta e meravigliosa solitudine dell’atto di riportare le cose alla situazione iniziale. La mia quarantena, da questo punto di vista, riparte dal giorno 0 (zero).
Wimbledon è stato cancellato, capisco il trauma di Federer ma è un po’ capitato a tutto lo sport in generale, olimpiadi incluse e il campionato di basket italiano, che mi vede abbonato, pure. Quindi, perdita secca anche economica, non solo di svago. Lo sport è talmente kaputt che ora è possibile scommettere online sul meteo, per esempio se ci sarà il sole a pasquetta. Ma non solo, è possibile scommettere anche sugli ascolti tv. Eh sì. Io scommetto che ’sta roba del virus sarà una bella menata.
Vinto?

Poi le bambine mie vicine mi portano un pescie d’aprile, scherzo nello scherzo, e mi fanno un gran regalo. Grazie.

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