Ci sono qua e là alcuni episodi di assembramento, riportati dai media con grandi enfasi perché in questo paese ci piace moltissimo puntare il dito sugli errori degli altri, tralasciando con incuranza i propri, dei quali episodi non sono nemmeno sicuro della consistenza: millecinquecento a Brescia, qualche migliaio a Milano e altrove, tutti incriminati per movida e assembramento. A Torino invece ci sono le frecce tricolori e le persone si assembrano eccome ma lì la cosa, evidentemente, non conta. Faccio presente, per fare qualche calcolo del salumiere, che l’uno per cento della popolazione lombarda sono centomila persone e qui siamo molto ma molto al di sotto di quel numero, siamo a poche migliaia distribuiti sul territorio. Quindi, da un lato c’è un novantanove virgola rotti che prende le misure in modo sostanzialmente serio e rigoroso e uno zero virgola che ogni tanto a certe ore e in certi luoghi un po’ si assembra. E allora? Se partissimo ora in cento per raggiungere la Russia a tappe forzate allo scopo di invasione (è un esempio inventato, eh), uno che si distrae e si perde per la strada lo devo mettere in conto, sarei un pazzo a non farlo. Altro che uno, a dire la verità, imporrebbe il realismo. Ecco, qui siamo ai mezzi che tanto piacciono a Gallera, nemmeno, a ben meno di una unità percentuale. Ma è una cosa sulla quale piace a tutti fare casino: ai sindaci, che si riscoprono sceriffetti e chiudono, impongono orari, si lanciano in sermoni; alle persone a casa davanti alla televisione o ai giornali che si lanciano in strali contro i presunti colpevoli, sia perché loro stessi non hanno occasione di assembrarsi, brutta bestia l’invidia, sia perché si tratta in prevalenza di giovani e allora il paese, che è anziano di natura, si lamenta e conciona; agli amministratori, che non vedono l’ora di regalarsi visibilità prendendo qualche misura strampalata, come quella dei sessantamila «assistenti civici» incaricati di andare a rompere le palle agli assembrati, tipica iniziativa grillina come i «navigators» senza che il Ministero dell’Interno ne sia al corrente. Che, poi, dico: abbiamo appena svuotato le terapie intensive, perché voler riempire le ortopedie?
Una tra le cose che mi stanno più sulle palle, pardon la volgarità, è il paternalismo insito in questo paese: riapriamo ma vi dovete comportare bene; lasciamo le cose alla responsabilità dei cittadini; un vecchissimo spot che diceva: «divertirsi sì ma con la testa». E poi subito pronti a salire in cattedra non appena uno, anzi meno di uno, non dico sgarra ma non mantiene la distanza. Che poi, se lo si fa durante le conferenze stampa di Regione Lombardia è legittimo e senza rischi, se durante il volo degli aerei dello Stato va bene, al bar no. Sia chiaro: o si può fare o non si può fare, punto. Non: si può fare ma io ti guardo e ti dico se lo fai bene. Eh no. Il messaggio è schizofrenico, da un lato bisogna tornare nei bar e nei ristoranti altrimenti la nostra economia schianta e dall’altra parte no, bisogna farlo a determinate condizioni. Ci si perde nelle golene di un fiume, perché in un nulla diventa: se lo faccio io va bene perché io lo faccio bene e se lo fai tu no, perché tu non usi la testa, giochino tipico della mentalità anziana di questo paese (e con «anziano» non intendo mai in senso anagrafico ma di testa, le due cose non viaggiano di pari passo, vedere per esempio Salvini): lamentarsi, ripetere le cose, contrastare i cambiamenti, puntare il dito contro gli altri, meglio se giovani o persone libere. Se i bar sono aperti, se si possono vedere gli amici, se i metri di distanza da due diventano uno, se servono due persone insieme per contagiarne una, se si comunica in modo confuso e contradditorio, se le regole non sono chiare, allora bisognerebbe pensarci due volte prima di mettersi la stella sul gilet e andare al saloon a farsi vedere. Come altre volte, mi chiamate prima, io vi dico che i Murazzi a Torino, i navigli a Milano, piazzale Arnaldo a Brescia e così via sono i posti che daranno problemi dal punto di vista degli assembramenti, così ci pensiamo prima, prendiamo qualche precauzione e non facciamo un casino a posteriori. Perché i pulpiti e le concioni sono insopportabili, le lagne pure.
Io ormai il mio meccanismo personale di distanziamento fisico l’ho messo a punto, so destreggiarmi circa in otto direzioni per scendere raramente sotto il metro, metro e mezzo da una qualsiasi altra persona. Mi fa ridere, e vorrei essere lì per assistere alle scene, il fatto che abbiano riaperto il Duomo di Firenze dotando i visitatori di uno «speciale distanziatore sociale» (sperimentale), cioè una collanotta con uno sbrillocco in fondo che si illumina e vibra quando ci si avvicina troppo. Un flipper bellissimo, chissà che spettacolo nella penombra di una cattedrale gotica, buzz buzz, fossi lì continuerei ad avvicinarmi volontariamente per far suonare gli altri. Buzz buzz.
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