Tra le tante riaperture di questo periodo – ed è un piacere sentire ogni giorno che qualcosa riparte quanto era stato spiacevole a marzo vedere le chiusure avanzare come una mareggiata improvvisa – ci sono quelle del comparto culturale, musei, pinacoteche, biblioteche, esposizioni, teatri, cinema e così via. Naturalmente si è discusso moltissimo sulle modalità delle riaperture dei ristoranti, distanze dei tavoli, capienze, servizio, sicurezza eccetera, e molto poco su quelle dei musei, l’interesse generale pende sui primi e non sui secondi. Ciò nonostante, anche sui luoghi pubblici dedicati alla cultura il dibattito è stato vivace, le proposte molte, alla fine si è optato per soluzioni che garantiscano insieme ove possibile la sicurezza dei visitatori e l’attrazione dell’offerta. La seconda più penalizzata, specie nei musei piccoli. Per fare un esempio, ieri ha riaperto il Prado, come molti musei spagnoli. È ora necessario acquistare il biglietto in anticipo, scegliendo una fascia oraria per la visita, farsi provare la temperatura all’entrata, indossare la mascherina per tutta la durata della visita, osservare i distanziamenti. Per dire, non è possibile tornare indietro nel percorso della visita che, ora, si svolge in una direzione precisa e non permette più di scegliere le sale secondo estro. Per rendere questo possibile, la capienza del museo è stata ridotta da circa novemila visitatori a milleottocento, esattamente un quinto. Di conseguenza, anche le opere visibili sono passate da millequattrocento a duecentocinquanta, più o meno una proporzione simile. Essendo un po’ smembrato il criterio di visita consueto, e non potendo non lasciare visibili alcune opere di grande attrazione, i dipinti sono stati accostati secondo criteri tematici per quanto avventizi, senza tenere conto, per esempio, del criterio cronologico e geografico cui siamo abituati. Il biglietto costerà la metà fino a settembre – e qui spiace dirlo ma la percentuale non torna, offerta al venti e costo al cinquanta per cento – e le perdite del museo sono consistenti, poiché tre quarti del bilancio del museo sono costituiti dalle entrate derivanti dalla vendita dei biglietti. Il periodo di lockdown è costato complessivamente sette milioni.
(Carlos Alvarez/Getty Images)
Come per i ristoranti, i musei più grandi e più strutturati sono destinati a soffrire meno di quelli più piccoli e con opere che destano meno l’interesse del grande pubblico. Tra quelli più grandi, da noi, la Pinacoteca di Brera riaprirà martedì prossimo, seguendo alcuni criteri simili: prenotazione obbligatoria, registrazione dei dati, visite ridotte a cento persone all’ora, rilevazione della temperatura, percorso di visita a senso unico, uso di mascherine per i visitatori e per i custodi. La direzione non comunica dati sulle opere in esposizione, segnalando solo la chiusura delle sale più piccole, e il dato più evidente è che l’accesso sarà gratuito per tutta l’estate, fatto davvero meritorio. Cercando di arricchire la proposta, hanno poi pensato a un’offerta preparatoria alla visita, ovvero a seguito della registrazione e dell’acquisto dei biglietti viene inviato in posta elettronica un pacchetto personalizzato propedeutico alla visita. Se la comunicazione del Prado è amichevole, il «Reencuentro», quella di Brera è più battagliera, si parla di «resistenza culturale», e mistica, il visitatore dopo aver ricevuto materiali online in anticipo avrà il momento della «rivelazione» durante la visita vera e propria. Quanto vale per la visita a Brera vale anche per le esposizioni milanesi, per esempio la mostra di Georges de la Tour a Palazzo Reale, riaperta anch’essa da qualche giorno, e la segnalo perché tra le indicazioni di visita viene specificato di non presentarsi in anticipo, almeno non prima di cinque minuti dall’orario della prenotazione, «per non creare assembramenti». Anche a Roma i musei nazionali e comunali hanno riaperto da pochi giorni, dal 2 giugno, con gli stessi criteri – prenotazione obbligatoria, orari fissati in anticipo, numeri contingentati, ingressi ogni trenta minuti, chiusura delle biglietterie e dei guardaroba, rilevazione della temperatura – e l’uso delle mascherine, che nel Lazio non sono obbligatorie all’aperto ma al chiuso sì. Diversa la comunicazione del Palazzo delle Esposizioni di Roma che scrive con evidenza: «Ogni singolo individuo si assume la responsabilità di contenere il contagio», per essere chiari fin dal principio. Tutti i maggiori musei offrono audioguide disponibili con app scaricabili, di modo che sia possibile ascoltarle sul proprio telefono, risolvendo così un’altra questione non banale, la distribuzione e la sanificazione degli apparecchi usati dal pubblico.
Se l’offerta culturale declinata sul versante museale comincia a trovare una propria consistenza, quella teatrale e cinematografica stenta maggiormente, sia perché è sospesa per decreto fino al 15 giugno sia perché comporta qualche problema in più, come evidente. La riflessione al riguardo pare stia portando all’adozione di criteri simili a quelli dei musei per gli accessi e alla riduzione significativa dei posti a sedere: Ascanio Celestini sarà il primo a inaugurare questo nuovo corso, portando in scena il suo «Radio Clandestina» al teatro Sperimentale di Pesaro il 15 giugno alle ore 00:01, il primo attimo possibile, con una platea anche in questo caso ridotta al venti per cento, da cinquecento a cento. Celestini, spiegando l’idea di andare in scena un minuto dopo la riapertura, ha paragonato la situazione attuale, dell’attore e del pubblico, a quella del carcerato che, appena uscito, fa ciò che gli è stato impedito fino a quel momento.
L’offerta musicale, invece, è ancora in alto mare. Se i concerti al chiuso possono senz’altro seguire le indicazioni offerte dai teatri e dai musei, quelli all’aperto ancora non hanno trovato una propria forma, posso immaginare anche perché. Se la composizione e la distribuzione del pubblico potrebbero seguire le norme prescritte, distanziamento e riduzione del numero, più difficile la questione dei costi, notevolmente maggiori rispetto a una rappresentazione teatrale o a un concerto al chiuso (palco, luci, suono, organizzazione eccetera). Il settore, al momento, ha posticipato paro paro il calendario dei concerti estivi del 2020 al 2021: un concerto previsto per oggi, 6 giugno 2020, è spostato integralmente al 5 giugno 2021, mantenendo invariata la proposta, compreso il giorno della settimana. E così è stato per tutta la stagione, considerando la situazione attuale come, alla fine, temporanea. Bene, anzi no. Perché se le condizioni sono cambiate, e sono cambiate eccome, dev’essere offerta all’acquirente del biglietto la possibilità di acconsentire allo spostamento o di ricevere il rimborso, opzione che il settore musicale non ha nemmeno preso in considerazione. Per tutti i concerti che mi sono saltati finora, e sono parecchi, da Pollini ad Atkins, da Capossela ai prossimi Pearl Jam, già andati, alla stagione operistica alle terme di Caracalla, chissà, nessun segnale pervenuto, non mi è stato mai proposto il rimborso. Il che è una bella vigliaccata, a parer mio. Per questo motivo, va dato riscontro positivo ai Tool, una band americana di metal progressivo, che ha rimborsato tutti i biglietti cancellando il proprio tour, perché «Mentre lavoravamo per riprogrammare il tour, abbiamo letto i vostri messaggi. Messaggi di persone che perdevano il lavoro, persone che si ammalavano e in difficoltà economiche» e, in conseguenza, «avremmo potuto posticipare le date al 2021 ma dal punto di vista etico, non crediamo che sia la cosa giusta da fare. Secondo noi, tenerci i soldi dei fan per mesi e mesi, se non addirittura per un anno intero, non sarebbe corretto». Concordo e, quindi, tanto di cappello ai Tool, per ora unici nel panorama.
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