minidiario scritto un po’ così dei giorni in Europa al tempo del contagio: giorno due, Francia

Lascio la Svizzera, bella ma scomoda per alcuni motivi: i loro soldi, anche se la cosa è tollerabile dato che ho pagato persino il bagno in stazione con carta di credito e, quindi, si potrebbe vivere qui una vita intera senza mai avere della carta moneta loro; le sciocche prese elettriche, diverse da ogni altra al mondo, che se si spinge caricano lo stesso ma resta il dubbio di stare un filino forzando le cose; l’assenza di roaming, cioè lo dico meglio: il costo del roaming, cosa che almeno nel mio caso conta parecchio, per questioni di mappe, informazioni, acquisto biglietti, prenotazioni e minidiario, appunto. Scavallo in Francia, attraverso l’Alsazia (che goduria dirlo senza la Lorena) verso Colmar. Mi sa che in Franzosia la faccenda covid sarà più sentita.
Per andare in Francia basta camminare fino alla periferia di Basilea, tanto il confine è vicino. Prendo il treno più brutto del mondo, sarà la freccia dell’Alsazia, sembra i nostri regionali di Italia 90, il Rock, il Vivalto o il Thello, tutti mostruosi, chissà perché.

Un vecchio interregionale dei nostri colorato fuori e lasciato come allora dentro. Sarà un caso e non voglio trarne alcun tipo di deduzione, ma il treno non è svizzero, bensì francese e ahimè, ahinoi, ha l’aria condizionata rotta. Da trenitaliota, vorrei trarne un qualche tipo di soddisfazione però viene subito uno a scusarsi e gentilmente ci invita a usare una qualsiasi altra carrozza. Passiamo la frontiera, ora è Francia, quella meraviglia dell’Alsazia, colline, viti, fiumi e pianura, da qui a Treviri è una meraviglia. Riguadagno la possibilità di collegarmi con il telefono ed è davvero un’altra cosa, è finito il black out. In treno, tutti hanno la mascherina anche se a dirla tutta i ragazzi tendono ad averla più lasca, come da noi, ma i posti non sono distanziati, ci si siede dove si vuole. Arrivo in stazione a Colmar e, appena fuori, via tutti, niente mascherine. Non ci sono particolari avvisi, nei luoghi chiusi la mascherina si usa e nei negozi, nei quali le persone toccano la merce, è obbligatorio il gel disinfettante prima di entrare. Se poi uno desidera di gel ce n’è anche fuori. Ma all’aperto, liberi.

Non mi dilungherò mai abbastanza su quanto le stazioni ferroviarie siano i posti più utili per i viaggiatori come me. Si trova tutto ciò che serve: biglietti ovviamente, cibo, riparo e panchine in caso di attesa, cartoleria, libri e cartine, cartoline e francobolli, oltre alle cassette postali, in alcune addirittura dell’abbigliamento di emergenza, che so? kway, calze o magliette, insomma il paradiso del viaggiatore. Grazie, stazioni. Prendo una colorata insalata greca confezionata da una certa Betty Bossi, niente ha senso, da consumare al parco. E ora, Colmar. La città è nota, oltre che per un quartiere caratteristico chiamato «la piccola Venezia», perché ricco di piccoli canalini, per le case medievali a graticcio, moltissime, per essere la patria di Bartholdi, lo scultore della statua della libertà – per omaggiarlo ne hanno piazzato una copia più piccola e orrenda in uno spartitraffico, ne ho parlato qui – e, infine, per l’Altare di Issenheim. La Colmar che fa abbigliamento sportivo da noi non c’entra nulla.
Salto la statua della libertà e vado al museo Unterlinden per vedere l’Altare. Nel museo sono molto ligi, mascherine, gel e un percorso a senso unico che conduce per le sale senza possibilità di svagarsi o tornare indietro. Bisogna seguire le frecce e prendere alcuni ascensori, cui sono stati tolti i pulsanti per i piani proibiti. Anche da noi è così, più o meno. La misurazione della temperatura, finora, è prerogativa del tutto italiana. Brevemente, l’Altare di Matthias Grünewald è una pala d’altare del primo Cinquecento ed è detto macchina perché ha numerose opere sui lati in modo da poter essere configurato, girando i pannelli, a seconda del momento della liturgia dell’anno. Tra esse, c’è la crocifissione più drammatica della storia dell’arte e un clamoroso pannello delle tentazioni, che a me piace di più. Mentre per i nostri del periodo, dico Raffaello per dirne uno, la rappresentazione perfetta dell’anatomia umana era un fattore imprescindibile, a Grünewald non importa assolutamente niente, punta alla drammaticità della scena.

Al bar, al ristorante e nei luoghi pubblici non c’è alcun distanziamento, men che meno pannelli separatori sui tavoli, le persone stanno insieme in modo del tutto normale. Stessa cosa nei parchi e, in generale, all’aperto. Ciò mi conferma che la strizza (trad.: paura) che ci siamo presi noi in Lombardia è un caso isolato o quasi, nessuno qua fuori pare aver vissuto la stessa cosa e, per quanto posso vedere, avere un atteggiamento timoroso come molti di noi ancora hanno. È comprensibile, se hanno avuto meno problemi è giusto che si comportino di conseguenza. Certo, se già normalmente ho l’impressione che in Francia e Germania abbiano una qualità della vita migliore della nostra, adesso in tempo di pandemia la cosa mi pare ancora più evidente. Ma, dal mio piccolissimo punto di vista, posso dire ben poco di tutto il resto, ospedali, scuole, RSA, lavoro e così via. Per quel poco che vedo, non ci sono negozi chiusi o vuoti, non mi pare ci siano così tanti cartelli «affittasi» o «vendesi» come da noi, però dai due musei che ho visto e dal passeggio in città posso dire che anche da loro i turisti sono pochini. Ho sentito qualche tedesco a Basilea e qualche olandese a Colmar ma nell’ordine delle decine, paiono città normali e non città in alta stagione, soprattutto Colmar, di solito ad altissima intensità turistica. Niente pullman, per capirci. Domani mi muovo verso nord, stasera penso al dove e al come.


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minidiario scritto un po’ così dei giorni in Europa al tempo del contagio: giorno uno, Svizzera

Si può fareeee. Ce l’ho fatta, sono fuori. È possibile valicare il confine, la coppola, lo scacciapensieri, l’asinello e il carretto con le nappine sono serviti, non se ne sono accorti e sono nella Svizzera verde. A parte la temperatura misurata con lo scanner un tanto al chilo in stazione Centrale a Milano, nessun controllo. A Domodossola due vivaci poliziotte con giubbetto antiproiettile mi hanno semplicemente chiesto se avessi nulla da dichiarare (aggiunta spontanea: carne, alcoolici… ma che? Niente più soldi?) e via, nonostante l’evidente confine con la Lombardia. Ahah, non mi riporterete indietro. In treno la mascherina è obbligatoria e devo dirlo, dando inizio a un tormentone ricorrente di questo minidiario, temo: non solo tutti la indossano ma nessuno in modo men che corretto. Niente naso fuori, sul mento, dietro la testa, appesa all’orecchio, niente. Respirano tutti bene. Su la mascherina e basta, poche storie, avranno una conformazione dell’apparato respiratorio diversa dalla nostra. Bene, la solita umiliazione degli italiani all’estero, oltre al fatto, come sempre, che nessuno telefona e se lo fa esce dallo scompartimento o lo fa rapidamente e a bassa voce. Però, bisogna dirlo, al di là della frontiera il cielo è più velato, non azzurrissimo come questo giovedì italiano, se ne deve tenere conto. E poi come si mangia in Italia, perdio.
Dopo un lago Maggiore splendente di luce riflessa, con le isole Borromee addirittura scandalose per amenità, attraverso la Svizzera, affiancando a un certo punto il treno per Zermatt e il Cervino, bello rosso che fa subito plastico ferroviario, punto il confine francese ma mi fermo a Basilea, voglio vedere com’è e così domani come prima cosa scavallo. Non c’è, devo dire, alcuna sensazione di emergenza, l’unico segnale tangibile al valico è stato un sms in tema covid-19 che raccomanda di seguire le indicazioni dell’Ufficio federale della Sanità pubblica, nient’altro. Nemmeno il solito messaggio di benvenuto dal nuovo gestore telefonico. Tutto molto tranquillizzante.
E così ancor di più appena arrivo a Basilea. Stento a capire, alcuni hanno la mascherina, altri no, sia all’aperto che al chiuso. Poi, dopo un po’, capisco che è a piacimento. Se uno desidera, mette, altrimenti non rientra nelle raccomandazioni sanitarie in senso stretto (distanza, disinfezione, sputazzi nel gomito). Ma nemmeno nei posti chiusi, il che è strabiliante per me, abituato agli ultimi mesi. Capita così che si veda gente in bicicletta con la mascherina che la toglie per entrare in un negozio, oppure novantenni senza e tredicenni con. Vado al Kunstmuseum, dato che ci sono una gran quantità di Holbein e Cranach che voglio vedere, oltre a un paio di Otto Dix sensazionali, per capire come funziona nei musei.

Visto? Niente prescrizione per la mascherina. Ma mentre l’addetto mi mostra la mappa del museo e mi dice iu can co apzterz io non ascolto più e penso amico, tu sei davvero troppo troppo vicino, dalle mie parti adesso saresti arrestato, disinfestato, rinchiuso e «Immuni» avrebbe cominciato a suonare. Mi sento persino un po’ a disagio a non avere la mascherina al chiuso, come mi sentivo a disagio ad averla nei primi tempi. Come ci si educa, no? Dura poco, la metto in tasca e poi è proprio bello non averla. Raccomandano distanza sui sedili, sui treni per esempio vendono un biglietto sì e uno no, come da noi, ma non sentono il bisogno di attaccare adesivoni e appendere cartelli sui posti non utilizzabili, dato che si procede a prenotazione. Ogni sportello, che sia museo, biglietteria, albergo o cassa, ha la separazione in plexiglas, la mattina presto passano a disinfettare panchine e fontane nei parchi ma mi pare che, grossomodo, finisca qui. E tutto è abbastanza sereno. Vado a salutare Erasmo da Rotterdam nella cattedrale e a vedere il museo Vitra almeno da fuori.

Erano quattro mesi che desideravo scorrazzare per quel meraviglioso là fuori che è il mondo, che – pare difficile a credersi – esiste anche quando non lo visito o sono rinchiuso in casa per pandemia, Finalmente ci sono: prati, musei, montagne, capre, città e paesi, persone, nuvole, fiumi, auto e aerei, tombe, supermercati, boschi, villette, condomini, panini, lattine, sandali con le calze, piste ciclabili, la grazia e la bellezza, la gentilezza e la brutalità, l’interesse e il disinteresse, il desiderio e la povertà, c’è tutto e non potrebbe essere meglio. Grazie a dio adesso si può, come sembrano lontani quei giorni in cui ci si parlava attraverso le porte e, allo stesso tempo, come pare lungo e faticoso questo periodo. Incredibile pensare siano solo mesi o settimane. Ora è il momento di godere di tutto ciò che si riesce a ottenere di nuovo. Dice Guccini che la gente dopo la guerra aveva una voglia di ballare che faceva luce, fatte le debite proporzioni e con la cautela del caso, anche ora è tempo di ballare, almeno un po’.


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minidiario scritto un po’ così dei giorni in Europa al tempo del contagio: giorno zero

La parte migliore è sedersi al tavolo e inventare il viaggio. Ma dalla fine di febbraio io so dove voglio andare e l’avevo detto nel minidiario dei giorni del lockdown: vado a dare un’occhiata in qualche pezzetto d’Europa, per vedere come stanno là. Avranno le mascherine? Misureranno la temperatura? Potrò abbracciarli? Sputare? Pochi giorni, stavolta, per farmi un’idea, poi ad agosto starò in giro di più. Anche per capire dove prendono i lombardi e dove no. Già, da dove posso uscire? Austria? Svizzera? Francia? Con che confiniamo, poi, oltre a produrre legname ed esportare prodotti agricoli? Consulto il sito di riferimento, re-open EU. Bene la Francia, verde, tutte le altre gialle, restringono. Mmm. La Svizzera richiede quarantena per chi proviene da zone altamente contagiose e intuisco subito di essere spacciato. E invece no, elencano le isole Turks e Caicos, ah certo come no?, la Macedonia del Nord, la Svezia e così via. Nemmeno l’Ucraina. Sono salvo. L’Austria pone limitazioni a chiunque si muova da paesi non-EU, sono salvo anche qui. Non è citata la Lombardia, fiuu. La Slovenia dice qualcosa su «Datum zadnje posodobitve» ma, tanto, non voglio passare di lì. Bene, il piano di fuga comincia a prendere forma, ora sono affari vostri, europei.

Dove, ora? Consulto la mia mappetta dei luoghi che voglio visitare, sono abbastanza distribuiti in Europa. Ma se voglio condurre un’indagine sulla situazione devo visitare il maggior numero possibile di paesi europei in pochi giorni, così da avere una panoramica attendibile. E devo farlo con mezzi terrestri, treni, autobus, stazioni, fermate, biglietterie, in modo da avere più elementi. Devo ragionare sui confini. Mappa. Il Reno è un buon inizio, attraversando un ponte posso vedere Francia e Germania. E Svizzera, per arrivarci. Bene. Poi potrei deviare verso nord, sfiorare la Mosella e puntare su, magari verso Belgio e Paesi Bassi, così da poterli andare a insultare di persona per come ci hanno trattato durante il lockdown. E così sarebbero cinque, mica male. Considerando poi che dovrei avere sì e no sette giorni è un’impresa quasi al limite. Però i Paesi Bassi sono gialli, essi limitano, serve una prenotazione per un albergo per entrare e non essere svedesi o portoghesi. Si può fare. Ci provo, non garantisco, magari finisco in quarantena a Chiasso.

La borsa. Preparo sette mascherine, un paio di ffp2, qualche guanto, chissà, quelle sanitarie le spillo agli angoli perché si romperanno di certo. Chissà se serviranno, sarebbe bello che no. Mi misuro la febbre, per sicurezza, non vorrei essere fermato a Milano Centrale con le pive nel sacco, ho 34,4°. Ottimo, l’importante è non avere più di trentasetteccinque, se sono già morto in ipotermia non importa. Che altro? Le cose della sanificazione, il gel e qualsiasi altra cosa, le troverò là e sarà comunque occasione di socializzazione, seppur pandemica. Non voglio informarmi più di tanto su come butta là fuori, voglio vedere. La pasticca di cianuro nel molare è sempre lì, pronta. L’opinel per togliere le sanguisughe pure, il siero antimalarico è scaduto ma tanto è tardi, il sasso con dentro la fotocamera è già nello zaino. Dimenticavo la cosa più importante: la carta di identità falsa con residenza in Molise, ora nessuno mi fermerà. Prendo anche il sombrero largo due metri per il distanziamento? No, eccessivo, forse. Prenderò un cappellone bavarese, alla bisogna. Compro un biglietto per il treno fino a Basilea, poi vedrò di giorno in giorno. Ci sono. Domani mattina vado, ci sentiamo qui nei prossimi giorni. Che Gallera mi protegga.


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