Beh, se proprio tocca pipparsi ‘sto accidente di festa, allora tanto vale farlo nel modo giusto, saltando:
Huey resta imbattibile ma qui ci andiamo davvero vicino. [Ma se esiste davvero il potere dell’amore, allora ci sono anche le versioni di Frankie goes to Hollywood e, ovviamente, Jennifer Rush. Ma il potere di Huey è superiore].
Per carità, sacrosanto occuparsi della conversione del sistema produttivo in una versione più sostenibile, ci mancherebbe. Tant’è che il concetto della ‘transizione ecologica’ è al centro dei ragionamenti e delle richieste delle associazioni ambientaliste più serie. Ma la richiesta del m5s di istituire un ministero apposito, ovviamente a guida pentastellata, ha del ridicolo per vari motivi:
il m5s è stato al governo fino a oggi, ininterrottamente dal 2018, e non ha mai sentito la necessità non dico del ministero ma anche solo di citare marginalmente la questione;
esiste già un dipartimento per la Transizione ecologica e gli investimenti verdi, fa parte del ministero per l’Ambiente, vicino al m5s. Il dipartimento «cura le competenze del ministero in materia di economia circolare, contrasto ai cambiamenti climatici, efficientemento energetico, miglioramento della qualità dell’aria e sviluppo sostenibile, cooperazione internazionale ambientale, valutazione e autorizzazione ambientale e di risanamento ambientale» (dal sito);
il quesito posto su Rousseau (“Sei d’accordo che il MoVimento sostenga un governo tecnico-politico: che preveda un super-Ministero della Transizione Ecologica e che difenda i principali risultati raggiunti dal MoVimento, con le altre forze politiche indicate dal presidente incaricato Mario Draghi?”), che suggerisce già la risposta.
No, non in senso letterale, a fianco. Ci sono molti modi di godersi un fiume, uno dei più soddisfacenti è quello di camminarci a fianco, seguendone il corso. E uno dei fiumi che più si prestano a questo è l’Adda, in molti suoi tratti. Quello che io consiglio parte da Trezzo sull’Adda, appunto, e va verso nord, controcorrente. A piacimento, volendo fino a quel ramo del lago di Como, o quasi, potendo al desiderio guadare proprio come Renzo e i suoi patemi. Ed è fiume bello largone, placido, poi rapido e turbinoso, poi di nuovo largone, più basso rispetto al circostante così da non far vedere case o manufatti o quasi, casa di pesci, uccelli e viaggiatori fluviali.
L’Adda può, ovvio, esser percorso in ogni stagione ma, come per il Po e i fiumi della pianura, io prediligo e consiglio le giornate invernali in tonalità di grigio, quasi alla “Mestiere delle armi”, ed è già bello non aver la gamba in cancrena. Che poi grigio davvero non è, sono verdi, tanti, e marroni e infinite variazioni sul tema. E non ci son le moltitudini, mica cosa da poco. Fin da Trezzo, l’Adda mostra la sua parte industriale, incanalata a volte per ragioni idroelettriche, per dar corrente alle tramvie milanesi tra fine Otto e inizio Nove, dalla meravigliosa centrale Taccani in ceppo dell’Adda, proprio sotto il castello di Trezzo costruito con lo stesso ceppo, prodigioso impianto che, sfruttando la curva del fiume, non aveva necessità di condotte a caduta, alle Esterle e Bertini, più su.
Più in alto il fiume si strozza, impedendo la navigazione in entrambi i sensi. E subito l’immaginazione corre a mercanti che, scaricate le merci da una parte percorrono il tratto a dorso di mulo per ricaricarle appena di là, su una nuova barca e proseguire il viaggio. O a eserciti infiniti che colgono il guado proprio qui che si stringe, che fossero francesi in cerca di sacco o piemontesi lenti e dubbiosi verso l’austriaco, da quando il Carmagnola aveva ruinato il ponte di Trezzo creando il secolare confine tra Milano e Venezia. Ma fin da molto prima, che le tracce son antichissime e si posson vedere, alle rapide, siano castella del quinto secolo o tombe medievali con le ossa, pure, o chiesette abbarbicate, chiedere del custode che mi pare abbia voglia di chiacchierare.
Ed è proprio qui, alle rapide, che Leonardo, beato ospite dei Melzi più giù, a Vaprio, ambientò le sue “Vergini delle rocce” e forse chissà altri suoi quadri più famosi, e che ragionò di canali, chiuse e traghetti spinti dalla corrente. Ne esiste uno, di traghetto, in funzione e bello da vedere e da prendere, e pure di canale per la navigazione a fianco della strozzatura, quest’ultimo invece in disuso. Se vi fossero amministrazioni non dico illuminate ma almeno sagge, si ripristinerebbe tutto, le chiuse e le casette di controllo, che altro che il canale du Midi, ne faremmo bocconi. Ma tocca rimettere in tasca le aspirazioni più alte, putroppo, di questi tempi leghisti.
Il segno dell’industria, potente, della fine Otto, è anche nel ponte di ferro di San Michele a Paderno d’Adda, uno dei più grandi anche oggi a campata unica, con sopra la strada e sotto la ferrovia, capolavoro di Röthlisberger riconosciuto dall’Unesco per l’archeologia industriale italiana. Perché l’industria è senz’altro una chiave di lettura necessaria di questo corso d’acqua, oltre alle folaghe e i sanguinelli, da qui a Villaggio Crespi e ancor più giù, fino alle centrali più moderne a Cassano.
Come tutti i luoghi, anche l’Adda restituisce ciò che si va cercando: se quiete, acqua, flora e fauna di grande bellezza, piuttosto che storia, industria, persone e merci, battaglie magari, anche se per queste seconde qualcosina serve sapere. Magari serve quella saggezza necessaria per cui, forse, non si guarda il dito di Leonardo ma l’idea che sta al di là.
Saggezza che, con evidenza, noi non abbiamo. Il dito punta proprio lì. Dove indica l’altro dito. Un tesoro nascosto? Un’invenzione che cosa le cose? Servirebbe un terzo dito che indichi, che stuzzichi e che, magari, prematuri. Andateci, eddai, è un bel posto.
Per i davvero digiuni, è utile dire che ogni click su un sito genera qualche tipo di profitto, diretto o indiretto. La maggior parte riguarda la pubblicità, altre volte scopi meno chiari. I giornali italiani, purtroppo, vengono spesso meno alla propria missione, informare con serietà, e si danno al clickbaiting, cioè quella pratica scorretta e opportunistica di attirare con un titolo sensazionalistico o creato ad arte i navigatori e farli cliccare sull’articolo, generando visualizzazioni. A volte basta poco, come il Corriere di due giorni fa:
Beh, contiene informazioni utili, apro.
Carini, si erano dimenticati il punto interrogativo. Ma guarda te… Ovviamente nessuna informazione, nessuna nuova, niente di niente. Chiaro che se invece di TPI o altri lo fa il Corriere, mi dà più fastidio.
☀ Impresa alpinistica memorabile: una cordata di dieci nepalesi sale in cima al K2 in invernale, salita mai riuscita a nessuno, finora. Aspetti positivi: che siano nepalesi e non una spedizione come sempre da fuori (oddio, anche se il K2 è tra Cina e Pakistan); che siano saliti insieme, unendo le tre spedizioni, si siano aspettati e abbiano raggiunto la cima tenendosi tutti per mano; che uno di loro non abbia usato l’ossigeno; che abbiano lanciato un messaggio di unità e di attenzione: «Il riscaldamento globale e il cambiamento climatico sono una delle maggiori sfide che il mondo si trova ad affrontare ora. La razza umana ha bisogno di unirsi per affrontare questa crisi incombente. Se siamo uniti tutto è possibile!». Aspetti negativi: che resteranno ‘i dieci nepalesi’ e nessuno ricorderà i loro nomi. Oddio, questo sarebbe anche positivo, essendo un’operazione collettiva, in effetti. A ogni modo, eccoli.
✘ Purtroppo nelle ultime due settimane sono mancate molte persone di valore. Ne ricordo alcune: Roberto Brivio dei Gufi, meraviglioso chansonnier dialettale, attore, cabarettista; Ezio De Gradi, musicista, conduttore di Radio Popolare, uno spasso la sua ‘Pig parade’ negli anni Ottanta e Novanta; Paolo Ferrari, il fotoreporter che scattò, tra le altre, fotografie importanti della strage di Bologna e che ha donato il suo immenso archivio alla città di Bologna; Leon Spinks, pugile dei massimi che ebbe notorietà per aver sconfitto Muhammad Ali nel 1978 (ai punti, con decisione non univoca, e avendo dodici anni di meno, va detto), da cui fu sconfitto a sua volta dopo pochi mesi perdendo il titolo.
◾ Una rivelazione: i cotton fioc non dovrebbero essere usati nelle orecchie. Perché fanno malissimo. E per cosa, allora? Boh, le fughe delle piastrelle, lo smalto delle unghie, la catena della bici, che ne so? Effettivamente, sono sconsigliatissimi, fanno male perché non raramente perforano il timpano, comprimono il cerume, danneggiano le ossa, generano prurito, tolgono ciò che non andrebbe tolto e che si elimina da solo. Ma non è mica una cosa strana, su ogni confezione (verificare!) c’è scritto: “Non inserire nel canale uditivo”. Giuro. La cosa strana è che facciamo tutti il contrario.
☀ Un momento storico, nell’ambito della cura dell’ambiente: nel 2020 gli europei hanno usato più elettricità generata da fonti rinnovabili che da fonti combustibili. E per fonti rinnovabili si intende solare ed eolico, che hanno generato il 38% dell’elettricità utilizzata in Europa lo scorso anno, rispetto al 37% fornito dai combustibili fossili. La crescita è rapida, l’energia prodotta da fonti rinnovabili è raddoppiata in poco tempo e, grazie a dio, crolla quella prodotta dal carbone. Non grazie alla Polonia, bisogna dire.
◾ I Tampa Bay Cocktails hanno battuto i Kansas City Cinnamon al superbowl. Vince ancora Tom Brady, che è quello che sta con la ex-modella-ragazzo e che ne ha vinti uno sfottìo, e l’edizione di quest’anno si segnala per il primo spot di Bruce Springsteen per Jeep. Alla fine, molti cedono.
✘ Il sindaco di Roma, Raggi, ha allontanato il suo assessore alla Cultura, Bergamo, e ha assegnato la carica a Lorenza Fruci, sua compagna di liceo, appassionata di arte, di scrittura creativa, di burlesque, con all’attivo docenze, workshop e laboratori sulla documentazione, sullo storytelling, sulla comunicazione culturale, oltre che sull’immaginario e la rappresentazione del femminile. Dal 2019 era la delegata del Campidoglio di Roma per le politiche di genere. Se non si trattasse di Roma ma di una città sommersa dall’acqua di una diga, potrebbe anche andare. Così no, non ha né esperienza né titoli né sensibilità né relazioni né conoscenze per un ruolo così di rilievo. Se non altro, mancano pochi mesi alle elezioni a Roma. Triste ma è un fatto.
✘ Il 29 gennaio erano venticinque anni dalla notte in cui bruciò il teatro La Fenice e in cui rischiammo di perdere Venezia. Le immagini furono terrificanti, sia con le fiamme durante la notte che per ciò che ne restava, giorni dopo.
L’incendio fu doloso, doveva essere un piccolo incendio controllato per ragioni di indennizzi e ritardi dell’impresa che si dedicava alla manutenzione e fu, invece, un vero disastro. Per colpa di pochi individui amorali. Qui la storia, se qualcuno volesse, di un intervento di salvataggio davvero fuori dal comune (minuscolo).
✘ Tre consiglieri comunali di Cogoleto, Francesco Biamonti, Mauro Siri e Valeria Amadei, in consiglio hanno fatto più volte il saluto romano durante una votazione. Uno è della Lega, l’altro di Fratelli d’Italia, il terzo indipendente ma stronzo uguale. Aggravante, i tre lo hanno fatto nella seduta del 27 gennaio, Giorno della Memoria, evidentemente credendo di essere spiritosi. La Digos di Genova li ha denunciati. Ma non basta, io penso che andrebbero automaticamente dimissionati, che dovrebbe essere loro impedito di candidarsi a qualsiasi altra carica pubblica nel paese, di assumere qualsiasi impiego pubblico, di ricevere fondi e sovvenzioni dallo Stato. Questo perché se no loro, e le persone come loro, non imparano e non capiscono. Pensano di essere a scuola e di essere, ahinoi, spiritosi.
Settimane vivaci, soprattutto per la crisi di governo e la venuta di Draghi. E tanta tanta fuffa, con un brutto segnale secondo me: la crescita esponenziale del peso dell’informazione (diciamo…) via social. Che è una cosa che accade perlopiù in paesi arretrati dal punto di vista dell’informazione, tipo per dire l’Iran. Ne è responsabile anche e soprattutto il giornalismo tradizionale, per dirla manchevolmente.
Rocco Casalino, cioè il tizio che ha fatto il grandefratello e poi è diventato il portavoce del presidente del consiglio Conte per via del movimento cinque stelle sia nel goveno con la lega sia con il PD, ha scritto la sua autobiografia. Ne sentivo molto la mancanza. L’ha intitolata, propriamente, Il portavoce. Non sto mettendo certe maiuscole apposta. Ma il libro, che doveva uscire il 23 febbraio, non uscirà, causa crisi di governo. Accidenti. Dal sunto inviato ai giornali, estrapolo: «Rocco studia duramente, è il più bravo della classe, la matematica gli piace e gli riesce facile. Così, tornato in Italia, si iscrive alla facoltà di ingegneria». Oddio, ma sarà lui a scrivere di sé in terza persona? Poi dice: «Tante vite vissute, tante lezioni imparate, tanta fame di farcela a tutti i costi: per diventare il portavoce di Giuseppe Conte e uno degli uomini più decisivi di questi anni». Più decisivi, certamente, venga pure di là, prego. Al di là di questo, che è già molto, la cosa che mi turba di più è la copertina.
Ma va’ a quel paese. Non c’è bisogno che metta a cosa fa riferimento, vero? Vero? La stessa posa, la stessa inquadratura, persino lo stesso font, la stessa posizione delle mani, eddai. Quando dice: «Non dimentico mai da dove sono partito, cioè dalle condizioni più svantaggiate dell’universo» non si può che dargli ragione. Vabbè, se a qualcuno mancano proprio le basi della cultura generale e visiva di questi anni, rimedio. Rocco e Piemme si riferiscono a:
Peraltro non è nemmeno un riferimento particolarmente lusinghiero, ma tant’è, la cultura è quella. Spero non esca mai o che esca e venda cinque, no tre, no una copia. «Rocco è bravo e ha comprato il suo libro». Bravo, Rocco, bravo. Vieni qui, dai. Non ti faccio male, dai, vieni qui. Povero mona.
Il primo cappuccino al banco, finalmente. Era quasi un mese che bevevo cappuccini da asporto per strada, nascosto, vicino ai cestini dell’immondizia, perché nelle vicinanze del bar non si può, buttati giù rapidamente perché non è così che, comunque, si fa. E le persone manifestano entusiasmo: ah che bello, finalmente, c’è un tavolo libero?, insomma la soddisfazione si tasta. Perché dopo le settimane rosse aggratis causa incompetenza dell’amministrazione regionale, dopo quelle arancioni di deriva, da oggi anche la Lombardia, sempre in testa alle classifiche dei peggiori, è gialla. Durerà quel che durerà, perché i solerti giornalisti già ci fanno sapere che le persone nelle grandi città si assembrano e che la curva dei contagi si flette, bastardella, elastica verso l’alto. Perdio, nemmeno il tempo di cominciare. E poi c’è la coazione a ripetere. Comincia oggi febbraio e tocca dircelo: è quasi un anno. Perché a febbraio scoprivamo Codogno e Vo’ euganeo, Wuhan, il maratoneta festaiolo paziente zero, il monitoraggio dei contatti con la Cina, la sospensione dei voli, qualche improvvido con la mascherina, le situazioni di rischio, una forma primordiale di distanziamento sociale, e molte di queste cose erano fuffa, se non balle o sciocchezze. Ma si sa sempre dopo. Anzi no, non sempre. A volte si sa anche durante. Per esempio, io so che richiamare Bertolaso per gestire la campagna lombarda delle vaccinazioni è una cazzata e lo so ora, no dopo. Oltre all’insopportabile fastidio per la riproposizione degli errori marchiani – Bertolaso è sinonimo di fallimento sfrontato e di spreco inutile di risorse, fin dai tempi del G20 per arrivare agli ospedali in Fiera sparsi per l’Italia -, provo insofferenza per la spudorata inadeguatezza della giunta lombarda. Lo diceva Leopardi nel venditore di almanacchi, nessuno desidera rivivere la propria vità così com’è, meglio la sorpresa, anche dovesse andare peggio. E io dico, allora, invece che Bertolaso prendiamo, che so?, Pistolazzi del quinto piano, quello della carrozzeria. Farà disastri? Possibile, ma almeno non lo sappiamo fin d’ora. Già il piano vaccinazioni zoppica vistosamente, non tiriamogli un colpo alla tempia con Bertolaso. Osiamo l’ignoto invece del certo.
Gialli, gialli, siamo gialli. Che fare, allora? Voglio andare al ristorante. Sì, al ristorante ma non nella mia città, fuori. In un’altra città. Sì, mmm. E poi voglio andare in un museo, non importa quale, un museo, magari utilizzando l’abbonamento che giace inusato da quasi un anno. E poi voglio leggere il giornale a un tavolino del bar, magari restando seduto un’ora. Sì, almeno. Poi voglio andare di là e poi di qua e poi su e poi giù. Quanto tempo abbiamo? Una settimana, due? Dai che mi devo regolare, tra quanto rivedranno i parametri? E poi voglio andare a camminare nei boschi ma non gli stessi soliti due boschi in cui cammino da oltre un anno, come l’orso dello zoo un po’ rimbecillito e sedato, voglio boschi nuovi o, almeno, seminuovi. E poi voglio andare a vedere il teatro Bibiena, san Maurizio a Milano, la galleria degli antichi di Sabbioneta, il Po alla confluenza con l’Adda a Maccastorna, santa Maria delle Grazie a Soncino, Borgo Ticino a Pavia, la Certosa, il tramonto da Barna e Plesio sul lago di Como, l’orrido di Inverigo, la cappella di Teodolinda a Monza, l’abbazia di Morimondo, il Mincio a Valeggio, la danza macabra a Clusone, passo Gavia, Montecastello a Tignale, la centrale Taccani… Quanto tempo resteremo gialli?
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