Vaccinato. La prima dose, almeno. Nessun effetto fisico concreto, nemmeno mal di braccio, dal punto di vista degli anticorpi è davvero difficile dire. Dal punto di vista del morale, invece, una bella iniezione metaforica, è l’effetto tangibile di una reazione collettiva, mondiale, la medicina per la malattia che diventa realtà, l’atto che segna la risposta, civile, non quella istintiva e medievale del chiudersi in casa e sperare. Ed è lo Stato che si manifesta, che prende tutti i propri cittadini e li vaccina, un processo che, finalmente dopo tanta tanta troppa Regione Lombardia, rassicura e fortifica il mio bistrattato senso dello Stato. Gli stessi volontari, medici, operatori della protezione civile, persone qualunque, sono gentili e precisi, nessuna reazione scomposta anche al milionesimo invito agli accompagnatori a rimanere fuori. E mi rasserena il vaccino collettivo, non tanto il mio, bensì il fatto che si sia tutti più tutelati. Chiaro, al netto degli sciagurati che, ancora, non hanno capito.
Nel frattempo, dall’ultimo minidiario i dati dei contagi sono scesi, e di molto. Calati i ricoverati, i contagiati, i morti. Quale sia il motivo è difficile dire, alcuni virologi azzardano, qualche medico afferma che sia presto per l’effetto dei vaccini, probabilmente come altre volte un misto di ragioni concomitanti. Ne conseguono, come l’anno scorso, rapide riaperture. Ero scettico, lo ammetto, ritenevo che le riaperture fossero affrettate, sotto la spinta di una certa destra desiderosa di allettare i propri elettori sacrificando, non sarebbe stata la prima volta, la salute pubblica. E invece no, dal 4 maggio si sono succeduti diversi gradi di allentamento delle restrizioni, per arrivare a oggi, la vigilia della riacquistata possibilità di mangiare all’interno dei ristoranti. Il coprifuoco è stato spostato alle 23, tre regioni sono diventate bianche, ossia mantengono solo l’obbligo di mascherina e distanziamento. E le prospettive per le altre regioni sono buone. Io sono andato al ristorante, anzi: la prima settimana ci sono andato quasi tutte le sere, per provarmi che era vero. E per stare con gli amici, seppur a tavoli da quattro. Ho preso un treno, il primo da novembre, scoprendo di essere ancora capace di farlo. Sono andato un fine settimana a Roma, non per fare il turista ma qualche giro l’ho fatto, ed è stato ovviamente piacevole. C’è persino qualche turista in più rispetto a ottobre, e questo dà alla città un aspetto un poco più vivace. Ho partecipato a un’assemblea condominiale in presenza, per non farmi mancare nulla, sono stato in negozi chiusi da molti mesi, ho pranzato all’aperto con amici e colleghi, a quattro a quattro, ho visto sfumare i biglietti per gli Internazionali d’Italia, ne ho comprati altri per concerti di quest’estate. Vita normale o quasi, insomma. Un po’ con il freno tirato, come molti.
Il 15 la seconda dose, poi i quattordici giorni prescritti e il green pass, ovvero il certificato vaccinale per poter girare liberamente, sarà mio. Allora sì.
In questi mesi ho imparato molto sulla regione in cui vivo, sui miei corregionali. Ingenuo, pensavo che errori e malafede si mescolassero ma che con pazienza e buoni argomenti si potesse, quasi sempre, mettere in evidenza i comportamenti più corretti e utili e, in definitiva, sconfiggere l’egoismo e l’indifferenza. Non è così, ho capito tardivamente. È proprio uno stile, una filosofia (argh) di vita differente. Ma divergente tanto. Ed è così che i Fontana di turno, le Morattigallera, sono ancora lì, ci resteranno, e la regione rimarrà in mano loro anche tra due anni: perché hanno fatto e fanno quello che la maggioranza vuole. Fanno: qualche giorno fa la giunta regionale ha aumentato la dotazione per ricoveri e prestazioni ambulatoriali private, portandoli a quasi 7 miliardi e mezzo per il 2021. Nel 2019 erano poco più di due. Ora le strutture private accreditate in Lombardia sono circa cento, contro le centotrenta pubbliche, e questa iniezione – ancora, le iniezioni – di soldi rafforzerà ancor di più la presenza privata, costringendo alla chiusura i piccoli presidi pubblici sul territorio. Il tutto sbattuto in faccia dopo sedici mesi di disastri nel corso della pandemia, nei quali le strutture pubbliche hanno perlopiù portato il peso dell’emergenza. E nemmeno con una ragione utilitaristica: il privato costa almeno il 20% in più del pubblico, è un dato oggettivo e incontrovertibile.
Ed è quasi il momento di essere onesti con sé stessi, tirare una riga e decidere cosa portarsi in avanti e cosa lasciare indietro. E poi, se possibile, farlo. Perché la pandemia non ha portato nulla di nuovo, non ha generato alcunché ma, mettendo pressione su ogni aspetto della nostra vita, suscitando e accelerando processi già in atto ma meno visibili, ha messo in chiaro alcune cose. E ora bisogna trarne delle conclusioni: su noi stessi, sulle persone cui ci accompagniamo, sui nostri lavori e le occupazioni, sulla nostra salute, sulla fiducia che nutriamo e in chi la riponiamo, sui rischi che siamo disponibili a correre, sul grado di sicurezza consapevole di cui abbiamo bisogno. Riassumendo, per capirci, forse su quella cosa che chiamerei ‘vita’ ma che si potrebbe, a ragione, anche chiamare – approssimando – ‘felicità’.
Le altre puntate del minidiario scritto un po’ così delle cose recidive:
26 ottobre | 27 ottobre | 29 ottobre | 1 novembre | 3 novembre | 4 novembre | 6 novembre | 8 novembre | 11 novembre | 14 novembre | 18 novembre | 21 novembre | 25 novembre | 30 novembre | 4 dicembre | 8 dicembre | 12 dicembre | 19 dicembre | 23 dicembre | 30 dicembre | 6 gennaio | 15 gennaio | 19 gennaio | 26 gennaio | 1 febbraio | 15 febbraio | 22 febbraio | 24 febbraio | 1 marzo | 25 marzo | 9 aprile | 28 aprile | 31 maggio |