l’arc empaqueté dopo sessant’anni

Ci siamo quasi.

Mi cito dall’almanacco in cui anticipavo la notizia: «Dal 18 settembre Parigi impacchetterà l’arco di trionfo, realizzando uno dei progetti incompiuti di Christo. L’Arc de Triomphe empaqueté è un progetto di Christo e Jean-Claude di oltre sessant’anni fa, avrebbe dovuto essere realizzato lo scorso settembre ma a causa della pandemia no. 25mila metri quadrati di polypropylene argentato e 3mila metri di corde riciclabili rosse, per dare due numeri».
Ma una bazzeccola dal punto di vista tecnico e organizzativo rispetto ai floating piers, un fatto.

dai, referendum a valanga per costringere il parlamento a occuparsene

Allora? Dopo l’eutanasia, un successo, cinquecentomila firme raccolte un mese prima della scadenza, si firma ora per la legalizzazione? Io dico sì, ho firmato, basta la SPID o la firma digitale. Che mica è change.org, voglio dire.
(Centomila firme raccolte nella prima settimana, scommettiamo che si andrà a discutere a breve per alzare le quote referendarie o limitare l’uso dell’identità digitale per sottoscrivere iniziative di questo tipo?).

monumenti per ricordare cose che poi ne vengono in mente altre

Nel 2006 la Russia donò agli Stati Uniti un ingombrante monumento, il 9/11 Tear Drop Memorial, per ricordare gli attacchi del 2001 e del 1993 al WTC di New York. L’artista, in caso ci si volesse complimentare, è Zurab Tsereteli.
Il monumento fu inaugurato alla presenza di Putin e fu collocato al Military Ocean Terminal a Bayonne, New Jersey. Chi sa un minimo di New York, coglie il fatto che in New Jersey i newyorkesi ci portano principalmente la spazzatura.

Oltre alla forma, che ricorda con precisione tutt’altro, direi che il pensiero va dritto, almeno il mio, a un’altra catastrofe accaduta a Manhattan.

Il passaggio di Godzilla nel 1998.

la casa, le banane, uno dei più raffinati e scanzonati letterati italiani del Novecento, cose che non avremo più

A Cremona, mi scappa l’occhio su una vecchia insegna. Anzi, ex-insegna.

Ma certo, la casa della Banana di Cremona, ed è un colpo ai ricordi: mi torna alla mente quel racconto breve di Giampaolo Dossena, uno dei miei prediletti di sempre, in cui riportava la memoria all’Italia coloniale che spingeva al consumo patriottico di banane, seppur straniere allora fascistissime perché provenienti dall’Impero.
Quarantacinque piccole memorie, una pagina o due, ma brillanti e acute come lui sapeva magistralmente fare, pubblicate in Mangiare banane, Il Mulino, 2007. Appunto. E parlava proprio di questa, del giovane Dossena a Cremona, chissà quando è stata chiusa, chissà le banane fino a che punto hanno avuto richiamo e una casa propria, prima di soccombere agli avocado e ai nuovi tipi di banane.
Perché, sapevatelo, le banane che mangiavano i nostri bisnonni erano molto più buone, più bananose, di quelle che mangiamo noi, le cavendish. Loro non le avrebbero mai mangiate, queste, roba da maiali. È che quelle di allora si sono estinte per colpa di un parassita e anche le nostre, preparatevi, lo faranno. E rimarremo senza banane per sempre. SEMPRE. Mangiatene ora, mentre ascoltate la storia raccontata bene da Kesten nel suo bel podcast.

l’italico senso per le cose comuni

Scova i cinquecentonove errori nell’immagine:

Giusto, la rastrelliera per le biciclette a destra è al contrario, è evidente. Come poi è facile apprezzare, data la collocazione dei pali e della futura fermata dell’autobus, la pista ciclabile risulta essere quella all’esterno della carreggiata, quindi radente alle uscite di case e negozi. Specificare poi che la strada è stata interamente rifatta, marciapiedi, illuminazione, impianti, tutto, e completata pochi giorni fa, dà un sapore particolare a tutta la faccenda. Un buon gusto in bocca e nel naso.
C’è forse altro da notare nell’immagine?

Ah, vabbè, altro gioco, trova le cinquecentonovemila differenze tra le immagini:

Così, per dilettarsi.
(Inspiegabile, come sempre: perché perché perché fare le cose male?).

cose che i democratici non fanno

Tal Tobia Bufera scrive ieri una lettera a Repubblica:

«Negli ultimi sei anni ho lavorato quotidianamente ed esclusivamente per la stessa azienda. Ora, invece del contratto da dipendente, mi è stato chiesto di firmare un foglio in cui dichiaro di essere un fornitore esterno, rinunciando a qualsiasi diritto acquisito. Non so cosa fare: firmare e continuare a lavorare da finta partita Iva o dire basta a questo sfruttamento cercando un altro lavoro?»

Merlo, che gestisce la rubrica, risponde come dovrebbe: «Si partì con la flessibilità, che avrebbe reso moderno il mercato del lavoro, e si è arrivati ai trucchi del precariato eterno». Però Bufera, che in realtà è Fabio Butera, rivela sul proprio profilo social che il suo precariato è stato proprio a La Repubblica e che la proposta sconcia lì gli è stata fatta. Butera, infatti, è un ex videomaker precario di Repubblica.it.

Eccheccazzo, Repubblica. Sorpresi? Purtroppo no, spiace dirlo. Ma scocciati sì, eccome. Certo, l’errore è pensare che a Libero o a la Verità certe cose sia più normale farle e a Repubblica no, errore madornale, però dopo una vita a discutere con i cosiddetti qualunquisti al grido di ‘tanto son tutti uguali’ queste son cose che fan male.

Naturalmente non credo che ‘siano tutti uguali’, la mia spiegazione: è Repubblica che, ormai, con Gedi è andata di là, dai cattivoni. Le diversità esistono, eccome. Ma non più di sistema politico, destra o sinistra, bensì di condotta. Repubblica è ormai persa, con la Stampa, e non da oggi.

environment-friendly health package per il lockdown sudcoreano

Al giorno due del lockdown, il governo sudcoreano inviò a ogni cittadino un pacco così fatto:

D’accordo, forse i cetrioli sono solo un pensiero cortese ma tutto il resto di essenziale c’era. Compreso, immagino, un messaggio tranquillizzante sul fatto che il governo fosse al lavoro. Penso invece alla dichiarazione di Fontana quando rese obbligatorie le mascherine in Lombardia ma, non essendovene, invitò a usare la sciarpa. La Toscana, almeno, inviò le mascherine a casa e rese l’obbligo successivo. Che distanza.
Volete vivere con me fino in fondo l’umiliazione? D’accordo. Alcuni giorni dopo, ai cittadini sudcoreani arrivò un altro pacco.

Eeeeeh, beeeeeh, ma questa è propagandaaaaa. Anche lo fosse, di certo non delle più inutili. Meglio non fare troppi paragoni, sarebbero impietosi.
Ricordarsene, però, quando si pensa alla Corea del sud come a un paese, mah, esotico, pittoresco, con il sopracciglio di sufficienza alzato.