E poi arriva quel magnifico momento in cui, dopo più di tremila chilometri, è ora di cambiare.
Ma cambiare per modo di dire, è solo la versione nuova. Fosse così per tante cose della vita, sai che roba? Avessi testa, gambe e cuore nuovi di trinca ancora da consumare che bello sarebbe…
Chi almeno una volta non ha parlato della madeleine [mad.lɛn] o in modo più colto della petite madeleine alludendo con il sopracciglio alzato e una leggera scossa della testa a quello là, a Proust, alla faccenda dei ricordi giovanili scatenati dal dolcetto, «Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di focaccia toccò il mio palato, trasalii», alzi la mano. Nessuno, infatti. Si allude, si rimanda a quello là, ci si fa un cenno di intesa che tanto si sa di chi e cosa si parla e bon, andiamo in pace. Ma è falso, nove volte su dieci, è una cosa che si dice ma chi – per davvero – l’ha letto? Nessuno, pochi, qualcuno raro. Io ci ho provato e per poco non sono morto, cinque righe di descrizione mi son faticose, mica potevo farcela. E che noia, posso dirlo? Lo dico? Che noia. «Depongo la tazza e mi rivolgo al mio animo. Tocca ad esso trovare la verità». La stessa narrazione dei sentimenti e delle emozioni che fanno trasalire, signore, libera me domine. Posso dirlo di nuovo? Chebballeprust. Una delle cose che col passar del tempo sparirà, amen, qualcuno oggi lo legge? Non credo, immagino di no, forse qualche stantio programma scolastico provinciale francese? Non so. Comunque. C’è una cosa che mi interessa. La tradizione fa risalire la madeleine [mad.lɛn] alla cucina di Madeleine Paulmier, cuoca del XVIII secolo al servizio di, senti senti, Stanisław Leszczyński. Che sarebbe un nome ignoto se non lo avessi conosciuto a Nancy qualche settimana fa, l’ho raccontato qui. E siccome l’ardito polacco Leszczyński era, lo ricordo, suocero di Luigi XV di Francia, gli fece assaggiare il dolcetto che la sua cuoca a palazzo faceva e lui, il re, pare l’abbia nominato madeleine [mad.lɛn] per questo. Che soddisfazione, ora potrò e lo farò per sempre fare un cenno della testa, parlando della madeleine [mad.lɛn], e rimandare non al Proust ma al Leszczyński, alla sua storia avventurosa e, se son fortunato, raccontarla.
Tema: descrivi in due parole una sfarzosa struttura dell’Ottocento con facciata neoclassica e platea ellittica in cui vengono rappresentate le opere della grande tradizione operistica italiana.
Ragguardevole, ricco, sontuoso, quindi appropriato ma scelta curiosetta, lo standard è la descrizione del locale, per quello suona male.
Sono senz’altro contento per i nipoti di nonno Mario, che hanno così la comodità della mappa familiare.
Ne deduciamo fosse un militare, il che permetterebbe di ridurre a soli otto milioni i nonnimarii de Roma.
facciamo 'sta cosa
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