Un agosto rovente di alcuni anni fa davo soddisfazione alla mia passione per Attila e Aquileia lungo le banchine del porto fluviale. Un amore di lunga data, sia per l’uno che per l’altra, espresso sia lungo i cipressi che portano alla basilica patriarcale che per le strade della Pannonia alla foce del Danubio alla ricerca della leggendaria tomba. C’ero stato molte volte ad Aquileia, fin da ragazzino, quelle colonne in fila dolce e militare insieme mi dicevano che la città era stata grande, e potente, e ancora giaceva, e giace, sotto terra, perché si vedon le gobbe nei prati che quello dicono, cioè che c’è storia, là sotto. Mentre quel giorno mi immaginavo le attività di un porto di una città importante, figurando favolose navi da trasporto con poco pescaggio cariche di anfore e di marmi e di chissà quali lingue e culture, e mi godevo prosasticamente le cicale all’ombra della cattedrale, un vecchio uomo mi fece segno di seguirlo e mi raccontò una storia.
Mi fece vedere un piccolo cimitero, dietro la basilica, con una ventina di croci bislacche di ferro battuto, storte e dimenticate, e mi disse che lì, appena dopo la guerra, quella grande, una madre afflitta dal dolore scelse un corpo tra quelli lì deposti perché lo mandassero nella capitale, tra grandi trionfi, ad aver sepoltura circondato da fiamme perenni, da guardie instancabili nel più grande altare che l’uomo del novecento aveva saputo costruire in Italia.
Ed era vero.
La mattina del 28 ottobre 1921, e son cento anni tra poco, Maria Bergamas, madre di un soldato disertore dell’esercito austriaco disperso chissà su quale campo di battaglia sul Cimone, dovette scegliere tra undici bare contenenti le spoglie di altrettanti soldati non identificati quelle che sarebbero state poi portate a Roma, a far da milite ignoto. La cronaca ufficiale racconta che le bare furono disposte nella basilica, davanti all’altare, il che è vero perché abbiamo le foto, e che la donna «chiamando per nome il suo figliolo, cadde prostrata e ansimante in ginocchio, abbracciando con passione quel feretro» dice Augusto Tognasso nel suo Ignoti militi del 1922, forse enfatizzando un filo il senso del dramma della povera donna. «Il rito era compiuto», conclude lo scrittore senza far diminuire il pathos.
Le spoglie furono sistemate su un treno funebre, com’era stato alcuni decenni prima per Lincoln in America e sarebbe stato poi per Robert Kennedy, là, o Margherita di Savoia qui pochi anni dopo. Il treno, spesso a passo d’uomo, attraversò l’Italia fino a Roma, sfilando tra ali di veterani, vedove e orfani, finché la bara non fu poi deposta, con grandi onori, all’Altare della Patria il 4 novembre 1921, concludendo un’enorme liturgia nazionale che di fatto poneva onore e fine alla prima guerra mondiale e ai suoi seicentomila caduti. Dei duecentomila dispersi, uno a simboleggiare tutti, il milite ignoto, il «corpo mistico» che incarnava i morti di tutti, come ha scritto Laura Wittman.
Il copione era scritto, ogni dettaglio deciso: il treno avrebbe dovuto sostare non più di cinque minuti nelle stazioni piccole, di più in quelle grandi, i prefetti avrebbero dovuto garantire le folle plaudenti e piangenti, la sepoltura, colpo di genio, a fianco del padre della Patria Vittorio Emanuele II, facendo di fatto del Vittoriano il luogo della memoria nazionale. Copione non a caso, fu davvero tutto scritto perché di quei giorni ne fu girato un film di settantasette minuti, Gloria. Apoteosi del soldato ignoto (visibile integralmente qui), che fu poi proiettato in tutte le sale del regno, che erano già in gran numero. Alla cerimonia, tutti in prima fila, assenti solamente gli sconfitti, Cadorna, gli irregolari, D’Annunzio, coloro che temettero di far seconda fila, Mussolini. Tra pochi giorni, un treno storico ripercorrerà il percorso, giungendo a Roma il 2 dopo centoventi tappe, proprio come allora.
Trent’anni dopo quel 1921, la retorica patria per quanto oramai repubblicana ma sempre assetata di riti e di cerchi che si chiudono, esumò il corpo di Maria Bergamas e la seppellì nel cimitero di Aquileia, quel piccolo e povero sepolcreto dietro la basilica da cui era cominciato molto di questa storia e insieme a quei dieci militi ignoti che non erano stati scelti per la gloria, diciamo eterna anche se nel nome dell’ignoto.