All’inizio, agosto 2002, si chiamava il 2580, si avvicinava il cellulare alla fonte musicale e dopo trenta secondi si riceveva un sms con titolo e autore della canzone. Valeva solo in Inghilterra. Poi At&T negli Stati Uniti aprì un servizio ad abbonamento che per quattro dollari al mese o giù di lì permetteva di fare tutte le ricerche si volesse. Poi arrivarono gli smartphones e tutto divenne più facile. Esatto, è Shazam. Raramente mi sono mai emozionato come la prima volta che lo usai, un vero tuffo al cuore, bastava fargli sentire una melodia qualsiasi e magia!, sei volte su dieci restituiva titolo e canzone o, almeno, un florilegio di titoli da cui scegliere. Poi il database crebbe e i risultati divennero più precisi. Poi arrivò SoundHound che riconosceva anche le canzoni fischiettate o mugolate bene ma già lì si era evoluti. Emozionante, dicevo, lo fu davvero e ogni volta una magia. Per me fu l’ennesimo miracolo del tempo, non solo apparivano di giorno in giorno sorgenti da cui scaric… ehm, ascoltare musica gratuitamente, ma anche il modo di riconoscere la melodia al supermercato o alla radio, per poi pescarla nel gran mare che si stava aprendo proprio allora. Per gli appassionati di musica, eccomi, l’evoluzione tecnologica ha portato un gran numero di meraviglie. Che culo vivere questi anni.
Oggi Shazam è di Apple e, quindi, per quasi noi tutti è uscita dagli orizzonti, oggi poi riconoscere le canzoni è funzione diffusa. Ma ha compiuto vent’anni e in qualche maniera si celebra, qua e là. Se la prima canzone cercata fu dei T. Rex, vengono fornite altre statistiche che dicono anche, guardando in generale, quale ne sia l’uso principale: scoprire il mainstream. Il che, in effetti, magari trattandosi di radio, supermercati, cinema o altro, è anche comprensibile. Comunque, magia, lo dice anche il nome, ancora mi emoziono se ci penso.
Quattro anni e mezzo, a dire il vero, grazie all’ingenuità ancora dei cinque stelle e al totale disinteresse della destra per le sorti del paese. Silurato Draghi in favore delle elezioni, assurde a settembre, la legislatura va a chiudersi e restano pochi bei ricordi, molte macerie, una montagna di cretinate e di vergogna di tre governi in cinque anni. In attesa, ilsignoreabbiapietà, di un treno carico di pessime cose lanciato a bomba contro molti di noi il 25 settembre, giova fare una carrellatina di diapositive di ciò che è stato politicamente dal 2018 a oggi, per sommi capi e per discese azzardate e una sola risalita. Scelta mia, come al solito insindacabile. Andiamo.
Risultati del voto divisi in tre, il botto lo fece certamente il movimento cinque stelle, quello qui sotto rappresentato da uno che ora ne è uscito ed è andato a sinistra e un altro che ha fondato una listina propria caricando tutto il peggio di no vax, terrapiattisti, complottisti e dementi vari. Cioè quel che già c’era nel movimento, la bad company.
Resterà il vano tentativo di Bersani, l’unico alla fine con cui i cinquestellini non siano andati, quelle assurde dirette di Grillo e compagnia bella ai tavoli delle trattative, sceneggiate, e tutto il cosare di cervello che Di Maio, Salvini e scherani vari insieme misero nel “contratto per il governo del cambiamento”. Che non ci voleva mica uno statista a capire già allora che roba era.
Poi, nella fretta e furia di dimostrare quanto si stesse facendo, uno dei momenti più belli: quando sconfiggemmo la povertà. Che momento. Infatti, da allora essa non esiste più, la si pensa come un concetto astratto, appartenente al passato, una cosa come le pitture rupestri. Che epoca.
Poi, dopo una sequela infinita di navi bloccate, porti fintamente chiusi, cause, torti inenarrabili verso coloro che erano in balia delle onde, un fiume di sciocchezze e volgarità, venne puntuale l’estate dello svago, della spensieratezza, del potere esercitato alla consolle, dei mojito, presumibilmente della cocaina, del sudore, del grasso e dell’imbecillità sovrana che poi portò al suicidio politico.
E venne uno dei momenti più raccapriccianti che io ricordi. Uno, il sorteggiato a capo del governo, mai visto né sentito prima del 2018, che insultò per una mezz’ora buona l’altro, il ministro dei porti e capo politico della destra, il quale non riuscì a fare di meglio che scuotere la testa tutto il tempo e baciare, in favore di telecamera, il crocifisso e rosario che teneva sul tavolo. Sembrava di guardare un documentario zavattiniano sull’Italia degli anni Cinquanta, rappresentata da una famiglia con figlio grande, grosso e ciula, dallo sguardo bovino che, inabile al lavoro che non sia nel campo, si unisce nel gesto a un paese vacuamente religioso, scaramantico, suscettibile, fino su al presidente della repubblica che fa le corna e tributa benemerenza al capo mafioso in visita. Orrendo, tutto.
L’abilità dell’uomo venuto dal nulla fu poi quella di rimanere in sella e dare il due (II) a un altro governo a proprio nome. Non sapeva, però, lo sciagurato che poco dopo sarebbe arrivata una pandemia coi controfiocchi, cosa che avrebbe saputo gestire al minimo sindacale. Ne trasse, invece, orgogliosa occasione di apparire di continuo, far pendere dalle proprie labbra un paese, ingarbugliare le cose a forza di regolamenti e decreti bizantini comunicati via social dopo la mezzanotte, senza riuscire a contrastare il potere locale dei governatori, ebbri dello stesso medesimo potere.
Nel bel mezzo del secondo inverno di pandemia, con tempismo discutibile, un’azzardata crisi di governo portò a ciò che io pronosticai due anni prima, sbagliando di due mesi, ovvero al governo della più rispettabile e convincente personalità che ci fosse nel paese. Le chiacchiere andarono a zero, le vaccinazioni cominciarono a essere fatte con regolarità, finiti i doppi comunicati di governo e regioni, fine dei supercommissari e degli hub faraonici senza scopo, arrivarono in regalo molti mesi di governo serio, lavoro, risultati e soprattutto silenzio. Come mi mancheranno.
Venne poi il momento di eleggere il nuovo capo di Stato. Quello vecchio era ormai un anno che andava in giro a salutare, ringraziare e specificare ogni volta che aveva finito, basta, a posto, voleva fare il nonno. E più lui lo diceva, più noi qui sapevamo che l’avrebbero incastrato. Prese pure casa – non comprare, gli dissi, affitta, ascolta me – e fece girare le foto, fece gli scatoloni per far capire e poi cosa successe? Ovvio.
Quel che lui, e anche noi, non sapeva è che un paio di settimane dopo la ri-nomina a capo delle forze armate sarebbe pure scoppiata una guerra dell’accidenti in Europa, oltre alle rogne che aveva potuto intuire da solo. Quello del suicidio politico, dei porti, dei cocktails colse l’occasione per farsi sbeffeggiare in giro per l’Europa per le sue posizioni filoputiniane ma, incurante come sanno fare gli oggetti, proseguì la sua vita fatta di dichiarazioni a caso e azioni ancor più casuali.
Il resto, poi, è storia recente. Come detto, l’avvocato venuto dal nulla e desideroso, evidentemente, di tornarci, cascò nel trappolone tesogli dalla destra, il governo cadde con sette mesi di anticipo, si decise per la prima volta nella storia della Repubblica di votare nella seconda metà dell’anno, scelta improvvida e con tempi strettissimi, ci fu un fuggi fuggi generale e un riassestamento complessivo delle pedine in campo, e poi via, verso una campagna elettorale come sempre vuota di qualsiasi contenuto – e sì che ce ne sarebbero, acqua, covid, guerra, finanze, lavoro, quarta stagione di Boris – ma ricca di dichiarazioni rilanciate con eco ovunque. In attesa dell’articolo, perché arriva, che ci comunicherà che il parlamento, nonostante sia stato ridotto di un terzo, costa allo Stato più di prima, aspetto il treno carico di rifiuti pericolosi che fa già sentire il suo fischio, lanciato verso di noi a settembre e per il tempo a venire.
Un pronostico? Un anno e mezzo di sciagure, due forse visto l’inedito voto a settembre, tutte le scemenze possibili e ancora non immaginabili, e poi di nuovo commissariati, ovvero una figura di garanzia sostenuta da tutte le opposizioni che metta una toppa, ancora, allo scempio dei conti pubblici e del funzionamento dello stato che il prossimo governo inevitabilmente farà.
Un album più esteso e completo di didascalie l’ha fatto il Post qui, da cui ho pescato a mio piacere.
Ecco i primi nove simboli depositati per le elezioni. Segnalo ovviamente la chiarezza e l’unità dei moderati, al centro, e l’assurdo Panzironi, per cui servirebbe proprio.
L’anno scorso, come parecchi, mi ero molto appassionato alla vicenda dell’Ever Given, la nave che si era intraversata nel canale di Suez tappandolo, di fatto. L’avevo poi lasciata che c’era una ruspina che da sola cercava di togliere sabbia dal bulbo di prua, poi era saltato fuori che il comandante in attesa aveva disegnato un enorme pene con la rotta della nave prima di entrare nel canale ed era diventato tutto folklore. Poi ne avevo perso le tracce. Finora.
Ed eccola qua, con il bulbone tutto schiacciato, messa in secca e riportata alla forma primigenia in qualche cantiere cinese. E siccome esser recidivi pare sia più divertente, le notizie delle ultime ora la danno in viaggio verso… indovina? Esatto, proprio lì.
Ora, diononvoglia, ma se accadesse di nuovo, ihih, nemmeno in un romanzo scadente o in una fiction improbabile…
Dopo Taffo, a Roma direi che ha preso piede il marketing spiritoso delle pompe funebri, evidentemente c’è chi apprezza, in fase di acquisto, lo humour. Nomentana, qualche giorno fa.
Anche il lato discount prende piede, vieni da noi e ti regaliamo l’urna, la bara, sconti sui paramenti e via così. Alla fine il caro defunto non è più tanto caro, e la battutina l’ho fatta anch’io. Ciò che mi domando spesso delle pompe funebri, almeno quelle romane per cui ho notato questa cosa, è quanto costi loro avere dei numeri brevi, facili da comporre e quanto questo sia davvero essenziale: Exequia ha, appunto, il triplo 26, Fabozzi il quadruplo 23, Lorenzetti all’EUR triplo 40, alcuni hanno il numero verde, mah, non so. Alla fine, immagino sia ormai roba vecchia anche questa.
Oggi è morto Mario Fiorentini, partigiano animatore del GAP di Roma. Fu lui a intuire la possibilità dell’attentato di via Rasella ai danni della colonna di SS, non vi partecipò perché aveva parenti che abitavano in zona ed essere riconosciuto avrebbe compromesso l’intera operazione.
Centotre anni, i conti son fatti: aveva ventiquattro anni, era tra i vecchi di quel gruppo di cui facevano parte anche, per dirne due, Carla Capponi e Rosario Bentivegna. Ora non resta più nessuno in vita, resta la memoria che un Feltri qualsiasi può tentare di insozzare se non stiamo accorti. Per questo siamo qui, anche oggi.
Nonostante la siccità, il caldo, il sole, la caduta del governo.
facciamo 'sta cosa
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