L’Ufficio Elettorale di trivigante (UEdt) mi ha appena comunicato che la lista ‘Referendum e Democrazia’ di Marco Cappato è attualmente sub judice per la partecipazione alla competizione, poiché ha presentato le firme online. Diciamo che lo escludano, che è la situazione che interessa a noi e che cambierebbe qualcosa, che succede? trivigante ha consultato il suo Ufficio Corte Suprema Decisioni (UCSDdt) al riguardo e i porporati ermellini santità hanno risposto con chiarezza: “Ze sqvadra non zi prezenta, perte tafolino”. Quindi, se accadesse, la partita numero 11 della schedina è da considerarsi un 2.
E quelli che hanno già giocato? Suvvia, non posso pensare che persone così informate e preparate non fossero avvisate della questione, neanche a dirlo. Infatti, la maggior parte ha giocato 2. Ma se se se fosse, gli altri possono scrivermi e cambiare la giocata, a proprio rischio. Augh.
Infine, avvisetto: per chi fosse interessato, le cose di trivigante proseguono sotto la schedina elettorale™ e i comunicati vari, che resteranno fissi in testa fino al 25 o a risultati acquisiti.
Fuori è buio, ci sono quindici gradi, ho sognato parecchie volte queste temperature negli ultimi tre mesi. Sto ingoiando mezzo melone gelido di frigo perché andrebbe a male e sarebbe un peccato, chissà se me ne pentirò amaramente. Tanto lo saprò a breve. Prendo il me migliore, quello con gli occhi aperti, ricettivo, paziente e parto. Scambiare i fine settimana con i giorni lavorativi si rivela sempre più una grande idea: ogni due settimane, a regime normale e ovviamente potendolo fare, ho a disposizione quattro giorni consecutivi, che sono una quantità più che sufficiente per fare dei giri sostanziosi. L’ultimo, per esempio, Ravenna, Cesena, Caprese bla bla bla Gubbio, San Leo, era da quattro. Quello prima, Orvieto, Viterbo, Caserta e Tivoli, idem. Con tre giorni già si fanno un sacco di cose, quattro non ne parliamo. Come stavolta, quindi sono ricco. E poi posso comunque lavorare un po’ anche in giro, è anzi meglio. Se devo essere creativo, i posti belli conciliano.
Arrivo a Eindhoven ma scappo subito, ci tornerò alla fine perché c’è una cosa che voglio vedere. E scappo anche dalla nederlandia per andare in Belgio. Per dirla più collocata, Fiandre orientali e occidentali con un tocco di Brabante. C’è un’infilata di gioielli che meritano il concatenamento, poco sforzo e grande resa, paiono tirati con la riga. Mi sto dilungando un po’ non tanto per raccontare quel che faccio o non faccio, il che insomma ha anche l’interesse che ha, pochino, quanto per condividere piccoli progetti di viaggio, facili da organizzare, da pochi giorni, densi però di posti che vale la pena vedere. Se qualcuno prima o poi mi dicesse che ne ha tratto ispirazione, mi farebbe piacere. Fin dal corso del Reno in cinque giorni o la Polonia in treno o il delta del Po in tre giorni negli anni scorsi, son suggerimenti, li si prenda così. Il giro di stavolta parte da Anversa per poi puntare dritto al mare del Nord e poi tornare indietro per tappe. E così faccio, sono ad Anversa che è una grossa città portuale sullo Scheldt, un fiumone che sorge in Francia e si getta nel mare più a nord. E subito la domanda: sarà vero come dicono qui che si tratta del secondo porto europeo dopo, sempre primo, Rotterdam? Ad Amburgo non sarebbero d’accordo, difficile dirlo per me umarell di fronte alle sfilate di gru. I giri dei porti di Rotterdam, Amburgo e, adesso, Anversa li ho fatti, posso dire che son tutti belli grandi. Tra le tre città, però, Anversa è quella con la storia più lunga e importante, su quello non ci piove. Cioè sì, ci piove, ora. Abitata da sempre e con tracce romane, infinamai, a fine Quattrocento colse il declino di Bruges per raddoppiare la popolazione in vent’anni e diventare di gran lunga il centro di commercio più importante d’Europa, il nesso tra nord e mediterraneo e colonie: lane inglesi, zucchero di canna indiano, cuoi, spezie, legname svedese, allume italiano, vini francesi e spagnoli, ogni cosa si potesse scambiare, diamanti sopra tutto. Per dare una dimensione, l’imperatore Carlo V diceva che Anversa da sola fornisse redditi all’impero per sette volte rispetto a tutto quanto proveniente dalle Americhe, e sì che di roba ne rubavamo da là. Per questo, l’imperatore non toccò mai Anversa e ne rispettò l’autonomia, finanziaria, ideologica e religiosa, pur facendo parte dell’impero. Là dove c’è commercio c’è tolleranza, perché conviene. Cosa che non fece il figlio Filippo II, che la ereditò per la Spagna alla suddivisione tra impero e regno spagnolo nel 1555, prendendosela con i calvinisti che pian piano subivano il fascino della riforma; da una prima rivolta alla guerra dei Trent’anni, in cui lo Scheldt fu addirittura chiuso alla navigazione fino all’Ottocento, una parte dei mercanti e delle fortune della città si spostarono ad Amsterdam, nel mentre un avvicendarsi di complicazioni e rompicoglioni di prim’ordine, gli iconoclasti per esempio e Ignazio di Loyola e i suoi guerrieri gesuiti per farne un altro. Però serve saperlo: prima di tutto Anversa è in Belgio e non nei Paesi Bassi, come si direbbe, e qui son quasi tutti cattolici, a differenza dei vicini, anche se parlano un olandese imbastardito. I dissidi dei Trent’anni proseguirono fino al 1830, quando i Paesi Bassi meridionali si rivoltarono e fu inventato il Belgio. Con comodità degli inglesi. E non è che oggi le cose siano piane, viste le reciproche simpatie tra fiamminghi e valloni. Ma l’importanza e il ruolo di Anversa declinò sì ma mica poi troppo, basti pensare alle olimpiadi del 1920, svolte, appunto, qui.
La città, pur portuale, è affascinante, moderna e tradizionale, ricca, se la piazza principale ovviamente è il Grosso Mercato, Grote Markt, e una delle due torri della cattedrale è ancora oggi di proprietà del comune, perché una volta delle gilde dei commercianti, le zone degli ex magazzini del porto sono residenziali di alto livello, con le barche ormeggiate proprio sotto casa. Una grande e tradizionale accademia d’arte, vedi alla voce Rubens e van Gogh, un’università tecnica avanzata, un bel museo del commercio marittimo, un bel museone di arte moderna – noi di lettere chiamiamo così il periodo 1492-1815 – che era chiuso nel 2015 quando sono venuto qui la prima volta e lo è ancora, per ristrutturazione. E apre il 25, argh, non ce la faccio. Insomma, la città è vivace, grande e stimolante, un buon posto. Certo, è cara, un’insalata in un bar normale sono quindici euro, l’ingresso alla cattedrale dodici, un appartamento al sesto piano nella zona fighetta del porto nuovo due milioni. Però la birra, il cioccolato, i waffles, le ostriche e le patatine fritte costano niente niente, per cui dipende dalle proprie abitudini alimentari. Roba da sputare il fegato. E il clima è da mare del Nord, ovvio, ora diluvia e ci sono dieci gradi. Il che a me va benissimo, devo dire, tanto non dura mai più di mezz’ora e poi esce il sole.
A parte le già citate specialità belghe – ma sarà vera quella cosa dell’insalata belga? E figurati se ci sono i cavoletti, qui – il salmone è ovviamente molto diffuso e poco costoso ma è timidamente rosa, senza quella fissazione per l’arancione al limite della fosforescenza che abbiamo in Italia. Ne sto mangiando un quarto di quintale insieme a una verdura bianca a cubetti sconosciuta che non sa assolutamente di niente, delle palline che potrebbero essere invenzione del signor Kellogg e della misticanza che la globalizzazione ha portato qui, ma la cosa interessante – ecco, a me la laicizzazione dei riti che fanno al nord piace moltissimo – è che pur essendo un posto con tutte le sue cosine studiate e a posto, per un pranzo fichino, su una parete ha un’infilata di lavatrici per fare il bucato. Funzionanti. Cioè uno si porta il bucato, mangia la verdura che non sa di niente e un sacco di buon salmone, beve la birretta e intanto scrive, come sto facendo io, e poi ha pure fatto il bucato. Niente male. E sono quasi di fronte alla casa di Rubens, centro pieno. Ora però vado, devo vedere un paio di chiese strabocchevoli di dipinti di Rubens, anche se non è tra i miei prediletti, barocco e controriforma è una miscela soporifera, poi lavorare un po’ e a un certo punto, cosa che mi diverte abbastanza, partecipare all’assemblea condominiale. Visto che preferiscono farla in videoconferenza, eccovi serviti: io sarò da qualche parte ad Anversa seduto con una birretta ad ascoltare una parola sì e otto no, approvando qualsiasi cosa ed essendo d’accordo con chiunque.
Come ormai la maggior parte di noi sa, tra una settimana si vota, diciannovesima volta da che abbiamo il piacere di votare in modo libero e universale. Come le altre volte, l’Ufficio Politico di trivigante (UPdt) ha faticosamente prodotto anche stavolta la schedina elettorale™, ovvero la risposta giocosa ai dubbi che attanagliano la politica e il dibattito nei bar del paese: come andrà? Sarà meglio? Peggio? Riuscirà Adinolfi a prendere tre voti? E L’Ape Di Maio che vola nelle pizzerie batterà i cattivoni Lupitotibrugnaro?
Giocare si gioca come le vecchie schedine del totocalcio, ci son le partite e bisogna dire chi vince, chi perde e chi pareggia, 1-2-X. Chi fa tredici e dodici vince e le percentuali di voto che fanno fede saranno quelle del proporzionale alla Camera. Se la differenza di percentuale è contenuta nello 0,2%, è considerato pareggio, esempio: 1,6% e 1,8% è pareggio. E per sapere chi accidenti siano quelli del Partito Comunista Italiano che non sono il Partito Comunista dei Lavoratori? Si va sul sito del Ministero, dove ci sono i programmi, ahah, e si capisce chi diavolo siano: qui. Uno più di tutti, secondo me. E non preoccupatevi di chi non conoscete, tanto anche sulla schedina calcistica non sapevate nulla della Sambenedettese, no?
Ma materialmente? Materialmente si commenta questo post qui sotto, scrivendo la propria previsione e usando un nome in cui vi possiate poi riconoscere (lo farò io per primo, giocando per fare un esempio). Oppure scrivete la previsione in una mail e la inviate a posta@trivigante.it e pubblico io. Stavolta non ci sono soldi in ballo, non si paga e si può giocare tutte le volte che si vuole, abbiate solo considerazione del me del futuro che nella grotta elettorale domenica notte spoglierà le schedine giocate.
Cosa si vince? Non si paga e si vincono ricchi premi: quarantanove milioni di euro (ma bisogna andare a pigliarseli in Russia); un week-end con Mario Draghi a cercar funghi senza però parlare di politica; una testata nucleare tattica da usare a proprio piacimento a seconda di come la si pensi; una bottiglietta da mezzo litro di gas – premio più ambito – per affrontare l’inverno; una cena a Windsor con la reg… ah no, una seduta di massaggio corporale effettuata dalle cicciose mani dell’iroso Carlo terzo. Insomma, mica male, no?
Le ultime cose: qui c’è la schedina in pdf, se volete stamparla, conservarla, studiarla con calma, inviarla, farne quel che vi va. Per qualsiasi controversia, l’Ufficio Politico di trivigante (UPdt) ha a disposizione una vasta schiera di assassini prezzolati. Se avete domande, chiedete, i commenti servono anche a cazzeggiare.
L’ultima volta, 2018, le schedine erano settantadue, sarebbe bello farne di più. Io attenderò i risultati elettorali seduto su una spiaggia di Ostenda, che non si sa mai e son già pronto. Che dire? Buon gioco a chi vorrà e speriamo non vada troppo male di là, nel reale. Nel mentre, tra le tante, vi invito a giocare con considerazione una tra le partite più appassionanti: Italexit per l’Italia contro +Europa, un dentro-fuori programmatico proprio niente male.
Gubbio ha una magnifica balconata sulla valle, la piazza principale, piazza Grande appunto, tra la cattedrale e il palazzo dei Consoli, si regge su archi enormi che reggono da secoli questo enorme terrazzone che tanto dà sulla valle quanto è visibile da essa. E fa signoria, comune, potenza e ricchezza, senza dubbio. Che fa, dico io, il viaggiatore errante dell’Europa quando arriva in piazza Grande? Contempla dalla balconata, ovvio. O, almeno, vorrebbe. Perché sul parapetto la lungimirante amministrazione ha piazzato un’ottupla fila di spuntoni mortali antipiccione che impediscono ogni contemplazione appoggiata e che darebbero del filo da torcere anche a truppe di lanzichenecchi all’assalto da fuori.
Come rovinare un contesto armonico ispirato alla bellezza. Nel palazzo sono conservate le tavole eugubine, le stele di Rosetta dell’umbro antico, che hanno permesso la decifrazione della lingua locale e come dimostrazione di grandezza al terzo piano, terzo!, hanno piazzato una fontanona di quelle da piazza nel bel mezzo di un salone, per far vedere ai foresti che loro l’acqua corrente la sapevan spingere fin su su, e dici niente.
Individuato un norcinaio di soddisfazione, mi faccio imbottire un panino di salume locale, formaggione e patè di tartufo che qui ci si lavano i denti e vado a sedermi nel teatro romano che, nella piana, offre la visione scenografica della piana e della gola del Bottaccione. Il cielo corre, si apre e chiude che è una meraviglia e io per oggi non potrei chiedere di meglio, davvero.
Avrei potuto essere qui per vedere Plauto duemiladuecento anni fa, non sarebbe stato molto diverso. Mi sarei trovato in mezzo a persone come me, impegnate a pensare al futuro, al passato, allo scopo di tutto, con la sola differenza delle bollette elettriche, poco altro. Non si colgono molte differenze dal posto in cui sono seduto. Allora mi tocca fare un esercizio di astrazione e far conto con le esigenze della vita nella realtà, il tempo che ho per star via ancora, un impegno domani, lo scorrere consueto delle cose. E poi ha cominciato a piovere. Opto per un rientro dritto ma lento, piglio la statalina che passa dal Parco Regionale del Sasso Simone e Simoncello, parallela alla E45 che ho fatto per venire ma più su, in cresta, ed enormemente più curvosa, e salgo, in direzione San Leo, San Marino, Romagna insomma. A tratti son solo boschi, nemmeno una casa in vista, qualche cantoniera qua e là, zone da linea gotica e da partigiani nella neve.
Bellissime, anche qui vorrei andare a piedi per giorni e giorni. Ma vado dritto, voglio dare un’occhiata a San Leo, quella rupona impressionante col castello sopra che si vede passando verso la riviera romagnola, quel castello della prigione di Cagliostro, e poi voglio passare da Novafeltria. È per un altro omaggio, più recente, quegli occhialoni rossi che lo contraddistinguevano e che oggi, sulla tomba, fanno tanto facciona da pareidolia.
Signore, è stata una svista, abbi un occhio di riguardo per il tuo chitarrista. Sì. Poi piglio su per davvero e vado verso casa, perché bene così. È stato un bel giro, quattro giorni pieni di cose e luoghi, Ravenna, Cesena, Caprese, Anghiari, Sansepolcro, Città di Castello, Umbertide, Frasassi, Gubbio, San Leo, un bel ritmo e una vera immersione tra l’appennino romagnolo, toscano, marchigiano e umbro, in una delle zone più belle del paese. Sarebbe servito più tempo, servirebbe più tempo per ogni cosa, per la vita stessa, va bene così. Ora vanno bene anche le commissioni di casa, ho ristabilito un po’ di equilibrio, per un po’. Non durerà molto, mi conosco, ma adesso sono in ordine e la testa è piena di idee e fantasie, mi sono abbeverato e nutrito, mi serviva. Via, anche a finire tardivamente questo minidiario, non è che sono tornato ora.
Ah, sono poi ripassato alla biblioteca malatestiana, non potevo lasciar la cosa sospesa, non ci avrei dormito. Sempre commovente, che posso dire più che: «andateci»? Niente, appunto, lei sta lì ed è indifferente se noi ci si vada o meno.
Questa è la coda per vedere il feretro della regina. Al momento, alcune miglia, trenta ore di coda, a ritroso da Westminster Hall. Tra le tante cose che fatico a capire, questa: come si fanno a fare trenta ore di coda? Cioè a un certo punto ci si addormenta e qualcuno resta sveglio per spostare le persone avanti? Si ha un cambio? Si affittano codisti? Non farei tre ore di coda nemmeno per vedere Odino in persona o il Re dell’Universo.
Chissà perché mi aspettavo un treno – come quello di Bob Kennedy che percorse l’America o quello che portò la salma del milite ignoto da Aquileia a Roma, ovvero viaggiare a due all’ora per permettere il saluto delle persone – e invece no, la salma della regina viaggia in auto per la Scozia, poi in qualche maniera arriverà a Londra. È pieno di fotografie che ritraggono il corteo, come questa scattata a Banchory:
Ma la migliore che ho visto finora, ed è il senso di questo post, è questa, su una panchina a Ballater, vicino ad Aberdeen:
Mi immagino non si tratti di un monarchico realista, visti i fiori e l’atteggiamento composto e in disparte mi pare più un omaggio personale nei confronti di Elisabetta. Forse un innamorato? Un giovane pretendente? Difficile stia su una panchina, oggi. Più che altro, mi piace immaginare, un mazzo di fiori in omaggio a un pezzo di gioventù che se ne va, a un pezzo di vita giovanile e non che scompare, a una figura emblematica di tutto questo ma, in fondo, a sé, un omaggio al proprio passato.
Spero non sia stata anche stavolta il riciclo di “Candle in the wind“, altrimenti il ritornello “you lived your life / Like a candle in the wind” sarebbe proprio da immaginare come un cerone bello grosso. (Era “Don’t Let the Sun Go Down on Me“, per memoria).
Io, fossi l’Inghilterra, ora farei la repubblica.
facciamo 'sta cosa
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