La seconda cosa peggiore dopo un problema è affidarsi per la soluzione a degli incapaci.
Che poi, incapaci. Magari. Il razionamento è già in atto in molti comuni montani e il fosso davanti a casa mia, se devo misurare le cose sulla mia esperienza diretta, secco da molte settimane. I dati parlano chiaro, i fatti pure, chi vuol capire ha capito ampiamente, il problema è affidarsi a chi per incompetenza o per dolo o per disinteresse non sa o non vuole affrontare un problema complesso che richiede soluzioni complesse. E ovviamente non da oggi.
Spadroneggiate ora, ma quando sarò al comando io saranno proibiti:
L’utilizzo sconsiderato delle virgolette, come dice meglio di me De Benedetti: «Guardati da quelli che mettono ogni cosa tra virgolette – le parole che scrivono e quelle che dicono – magari accompagnando il tutto col gesto molto americano di indice e medio che si abbassano insieme o avvisando in anticipo che quanto stanno per dire è da intendere, appunto, «tra virgolette». Guardatene, perché non sanno quello che dicono, oppure non sanno dirlo, oppure ancora lo sanno benissimo ma non vogliono assumersene alcuna responsabilità, come se le virgolette, piú che a segnalare usi figurati di un termine, servissero prima di tutto a prendere le distanze dalla propria coscienza».
Due luoghi comuni sugli uomini: che siano incapaci di fare due o più cose insieme; che con 37,5 gradi di temperatura siano sull’orlo della dipartita e corredino il tutto di lamentazioni fastidiose. E gli impliciti che essi comportano. Siamo diversi e più cose di queste e, comunque, morte ai luoghi comuni, su ogni genere.
Fatelo, finché potete.
Riepilogo delle cose che saranno proibite: mettere le virgolette ovunque, pure col gesto che si intravede | luoghi comuni: uomini incapaci di fare due cose insieme; morti a 37,5° |
Visto che a Marsiglia un giorno e mezzo due sono senz’altro abbastanza – evitabile il musée des Beaux Arts de Marseille valgono invece la pena i resti dell’antico porto greco-focese incastrati nell’edilizia anni Settanta – viene voglia di fare la gita fuori porta. Certo, franzosi protestanti permettendo, visto che anche i treni patiscono mica poco. In stazione, la situazione si sta scaldando: annullati due terzi degli interregionali, beati che ancora li hanno, loro, ci si accalca sui regionali e sui velocissimi. Se per i secondi tutto è facile, c’è la boutique per l’acquisto e macchinette con funzioni contemporanee, per i primi, i regionali, bisogna penare: le macchinette hanno la sfera per scorrere le lettere e schiacciare quella giusta, il processo è una vera pena. In questo, meglio da noi. La gita fuori porta è nella graziosa ma un po’ stufina Arles e nella magnifica Nîmes, ed è un anniversario, in qualche maniera, le ho viste e raccontate quindici anni fa: la prima a fine aprile (30), la seconda il giorno dopo nel glorioso primo maggio francese (uno e due). La mia preferenza tra le due va a Nîmes perché notevolmente più spettacolare e meno colpita dal turismo camarguense, riprendo il mio cuore là dove l’avevo lasciato anni fa, seduto di fronte alla maison carrée illuminata dal sole del tramonto e dai primi blu della sera. La casa quadrata è un tempio di età augustea dedicato a Cesare ben conservato che nella sua storia ne ha passate di ogni sorta, casa privata, persino stalla per i cavalli durante le scorribande napoleoniche, e che abita elegantemente una bellissima piazza della città che una volta era il foro.
Il fatto che abbia avuto un numero civico dipinto accanto alla porta della cella dalla rivoluzione in poi e che questo numero, si vede ancora, sia l’89 ha un che di commovente. L’anfiteatro ancora utilizzato, les Jardins de La Fontaine, la torre di vedetta, il centro tutto, il castello dell’acquedotto, la qualità di vita molto alta fanno sì che tra le città mediopiccole Nîmes sia in vetta alle mie preferenze come luogo dove abitare stabilmente. Certo, è un po’ fuori dalle grandi direttrici ma, insomma, ci si può organizzare. Rispetto a quindici anni fa, i giochi d’acqua sono meno e c’è un museo romano in più, piuttosto ricco e ben allestito, divertente l’idea della sezione finale di souvenirs storici, posaceneri a forma di arena, saponi Nemausus e così via. In generale, la qualità della vita è decisamente più alta che da noi, più che altro perché c’è un’educazione rispettosa più diffusa che permette a tutti di non subire situazioni di conflitto o fatica non necessarie, suonerie dei telefoni, parcheggi insensati con quattro frecce, clacson a vanvera, recinzioni, divieti, pattumi, rumori di fondo, cose così. Non so quale sia il loro segreto, di fatto riescono a godersi di più gli spazi della propria città, come per esempio qui sotto, senza che ci sia una recinzione attorno o qualche demente che con bomboletta dice la propria, vedi Pantheon pochi mesi fa. Rispetto a Marsiglia non è un altro mondo ma un’altra Francia sì.
Mi fermerei per lo splendido spettacolo che va in allestimento all’arena ma la mia gita di fuori porta richiede prontezza e spostamenti, quindi fotografo il cartellone e resto col rimpianto.
Il prigioniero a destra in braghe del pigiama ha titillato la mia immaginazione, peccato.
Arles è più battuta, nonostante sia periferica alla Camargue ne è di fatto la base e il punto di partenza, il numero dei locali e delle mangerie per turisti è decisamente al di sopra della media consigliata e la qualità ne risente, oltre alla sensazione generale di un cattivo rapporto col prezzo. Aggiunto il fatto che praticamente non esistono zone pedonalizzate, l’attitudine turistica di Arles – che pure merita tutto, visto l’anfiteatro, le mura, le terme, gli alyscamps, le piazze – è più vicina al tanto-vengono-comunque romano e veneziano che all’accoglienza vera, non sarà un caso che il sindaco è uno sceneggiatore ex-presidente di France Télévisions. Oltre a tutto, c’è Van Gogh, che ad Arles trascorse molto tempo e molto la dipinse, come da mia testimonianza qui sotto, e che costituisce senz’altro un’attrattiva potente e fascinosa.
Anche qui c’è agitazione tra i lavoratori e vedo la prima manifestazione: non molti, forse una cinquantina, giovani coppie e più attempati, qualche testa di Macron in cartapesta e più che altro un po’ di fastidio per il traffico e le carreggiate, niente di particolare. Domani, però c’è lo sciopero generale e io non so bene che aspettarmi, visto che avrei il volo di ritorno. Ma sono positivo, mi hanno cancellato il volo di andata, vuoi che sia così sfortunato da subire anche la cancellazione del ritorno?
Esatto. Da tempo non dormivo per terra in aeroporto, eccomi qua. Per me conta niente, ma le centinaia di persone lasciate a terra con bambini piccoli, età avanzate, impegni di lavoro calcolati, tempi ristretti potrebbero avere qualcosa a che dire con gli scioperanti, la cui protesta, alla fine, chi danneggia per davvero? I passeggeri dei quattro voli notturni cancellati provano a individuare triangolazioni possibili per avvicinarsi a casa, qualcuno parte per Dublino, altri per Francoforte, altri aeroporti smarriti nel nulla, e poi si vedrà. Si favoleggia di un blabla-bus in partenza da Nizza alle tre di notte per Milano ma a Nizza bisogna pure arrivarci, Ryanair offre una notte pagata ma alberghi qui attorno nemmeno a parlarne, io colgo al volo un quartino di pavimento e un volo per Roma la mattina successiva e bon, con la speranza che questo, almeno, parta. A la proscèm, franzosi.
Stavo aspettando da nove anni e la ricompensa è grande, mi pare.
E apre con due duetti, cosa insolita per lei e del tutto riuscita, secondo me, perché la voce di Abena Koomson-Davis ben si armonizza. Tanti 10.000 Maniacs, al primo ascolto. Ma soprattutto soprattutto: a novembre, Natalie. Ci sarò, che rimedio. Bentornata.
Carrugi, vicolini, passaggi sui tetti, stanze contigue, spazi angusti, tutte le grosse città di mare e portuali hanno quartieri così. Il Cairo, Istanbul, Genova, Palermo, Tunisi e così via. Anche Marsiglia, ovviamente. Ed è in questi quartieri, ovviamente, che da sempre si annidano – a seconda del punto di vista di chi guarda – le peggiori o le migliori figure della società: prostitute, tagliagole, malaffaristi, evasi ma, anche, resistenti, oppositori, carbonari, congiurati. Un porto come quello di Marsiglia, che ha più di duemila anni, offrì soprattutto durante l’ultima guerra riparo agli oppositori al formale governo della collaborazionista Vichy e alla sostanziale occupazione nazista. A fronte di una situazione, dal loro punto di vista, ingestibile e con l’appoggio del Governo di Vichy, Himmler diede l’ordine di rastrellare tutti gli abitanti del quartiere Saint-Jean e di deportarli. Ventimila persone.
Per la maggior parte immigrati italiani antifascisti, tra l’altro, il quartiere era chiamato la «piccola Napoli». Ma non bastò. L’ordine di Himmler fu, oltre a tutto, di radere al suolo l’intero quartiere, le parti qui sopra in nero. Ora: anche dopo l’attentato di via Rasella a Roma, Hitler diede ordine di distruggere il quartiere ma Kesselring – che pure era un depravato senza coscienza – aspettò consapevolmente del tempo ben sapendo che dopo poco il führer se ne sarebbe dimenticato, evidentemente considerando la cosa eccessiva persino per i nazisti. A Marsiglia no, l’avevano fatto per davvero. Nella notte del 24 gennaio 1943, Saint-Jean fu svuotato dei suoi abitanti e poi demolito con la dinamite.
Le foto sono terribili, la parte nord del porto vecchio non esisteva più, pulita come una piazza d’armi, svuotata, cancellata. Con quell’accidenti di spietata precisione tedesca, fu asportato tutto, risparmiando solamente l’Hôtel de Ville e i piccoli magazzini sulle rive, si vedono nelle foto qui sotto, le più impressionanti. E sono gli edifici che ancora oggi spiccano in una selva di condomini degli anni Sessanta, incongrui per posizione a non sapere questa storia.
A sentire quanto racconta Fabio Lucchini nel suo bel documentario, nemmeno la gran parte dei marsigliesi conosce questa storia, se non quelli che per ragioni familiari vi furono coinvolti. Data la sostanziale complicità politica del Governo di Vichy, sulla vicenda calò il silenzio anche dopo la guerra – e se noi abbiamo fatto poco i conti col fascismo, loro con Vichy anche meno -, fu dato il via a una colossale impresa immobiliare per sfruttare gli appetitosi vuoti sul porto e la cosa finì lì, tanto che i discendenti dei deportati stanno lottando in questi anni perché i fatti siano riconosciuti come crimine di guerra nazista. Che pare paradossale a dirlo ma così, ancora, non è. Ecco com’era prima della distruzione e com’è oggi, nelle mie fotografie. Si vede l’Hôtel de Ville, prima incastonato tra le vecchie case, poi assediato dai condomini.
Se le storie delle distruzioni naziste dei ghetti europei, penso a Varsavia, a Łódź e così via, sono note, non avevo mai sentito parlare della vicenda di Marsiglia fino a poche settimane fa. Come praticamente tutti, direi. Eppure è una vicenda che non ha uguali e dovrebbe essere emblematica della ferocia nazista nell’occupazione del continente e delle proporzioni dell’abominio. Ma così è e, come dicevo, i nipoti dei deportati oggi stanno facendo una certa fatica a veder riconosciuti i fatti, nonostante le conseguenze concrete siano lì da vedere tutti i giorni, passandoci davanti.
Il quartiere sopra Saint-Jean, le Panier, è stato risparmiato ed è una zona bellissima, sul culmine di una collina, ha strade strette e case familiari, qualche rara piazza e molti piccoli slarghi dove tre tavolini alla volta invitano a sedersi e bere una cosa. Ah, questi selvaggi di franzosi non conoscono il cibo durante un aperitivo, bisogna chiedere pietosi, sopportare uno sguardo di riprovazione per avere un piattino con su una decina di olive nere e fin. Trincano a secco e via, verso nuove avventure. Comunque, dicevo, il quartiere è molto pitorèsco, doveva esserlo persino di più, visto che ora la gentrificazione avanza ovunque ed essendo in centrissimo vista porto i costi sono elevati, probabilmente un milione di euro al metro quadro per appartamenti da cinque, le gallerie d’arte imperano e le mamme con bambinaie al seguito sono sempre più frequenti. Averne, comunque, di zone così. Scendendo da le Panier verso il porto commerciale, al di là del forte dove ci sono traghetti per la Corsica ogni quarto d’ora, enormi, c’è il notevole MuCEM, Musée des civilisations de l’Europe et de la Méditerranée. Oltre al contenitore di Ricciotti, architetto francoalgerino italiano per scelta, decisamente riuscito, anche il contenuto è davvero interessante, trattandosi di un museo che si occupa di mediterraneo per via trasversale, cioè giustamente considerandolo una zona unica con storie intrecciate fin dalle origini, cosa che effettivamente è.
Per cui, Alessandria, Gibilterra, Algeri, Palermo, Barcellona, Atene, Beirut, Malta e così via sono raccontate insieme, comparate e confrontate per somiglianze, che sono molto maggiori, e differenze, meno rilevanti, il cibo, le merci, le tecniche di navigazione e costruzione, i monumenti, le forme di governo, la cultura, i viaggiatori, sia in epoca storica che contemporanea, ogni pretesto è buono per un racconto interessante. Per dirne una contemporanea, per esempio, Marsiglia è l’hub mondiale da cui si dipartono molti dei cavi subacquei per la trasmissione dei dati la cui latenza a oggi è di circa 74 millisecondi sul globo, e le connessioni seguono le rotte commerciali, sia di un tempo che moderne. Confrontare le mappe ha un che di inebriante. Ovvio che ne sia colpito, è il mio modo di viaggiare per cui mi trovo in ambiente confortevole, capisco quel che mi viene detto intimamente e ne ricevo spunti nuovi, produttivi. Non saprei dire se il museo in sé possa costituire un motivo sufficiente per venire a Marsiglia, di certo però è d’obbligo se vi si viene, questo senza dubbio. Le mostre temporanee del museo, e questo è eccezionale, sono spunto per convegni e dibattiti sui temi proposti nelle sale dell’edificio accanto, l’attualità e il passato diventano riflessione costante. E poi dall’interno del museo, attraverso la rete della copertura del parallelepipedo, si vede lì davanti proprio quel Mediterraneo oggetto del museo, il che dà ulteriore significato e, devo dire, un gran piacere.
In Camargue ci sono stati tutti, ad Arles ad Aix ad Avignone ad Aigues-Mortes tutti tutti, a Marsiglia no, nessuno mai. Perché? Beh, facile, per i marsigliesi – intendo le bande, i criminali, quelli alla Lino Ventura per capirci. E poi perché è una città portuale della quale, a parte il sapone, appunto, i banditi e certi coppi da tetto particolari con doppio incastro, nessuno saprebbe citare una cosa una. Provare. Ed è così, una ragione ci sarà. E sebbene sia un’ottima base per poi risalire la valle del Rodano, per esempio, andando incontro a certe meraviglie come Orange, Vienne, Avignone, Valenza fino a Lione, nessuno poi ci va. Non è nemmeno semplicissima da raggiungere, devo dire, se non con l’aereo. Treno non se ne parla e l’autoroute A8, La Provençale, passa più sopra. In realtà il piano era più articolato: volo a Bordeaux poi Saint-Michel-de-Montaigne a vedere, proprio, la torre-studio di Montaigne, quella con i celebri motti scritti sulle travi, poi un bel pezzo di Occitania, Languedoc-Roussillon, Midi-Pyrénées e così via per dirla alla loro moderna, fino a Marsiglia, bel giretto da quattro, cinque giorni. Ma i franzosi no, i franzosi che si incazzano e i giornali che svolazzano e a causa delle loro proteste, misurate al punto di decidere di bruciare il portone del municipio di Bordeaux, il volo viene cancellato. Fine del giro. Eh, però il ritorno è ancora lì, che fare? Pigliare un’andata qualche giorno dopo a basso costo, ecco cosa fare io. Quindi, il giro si riduce e diventa Marsiglia-su-Marsiglia e semmai dintorni, poco più, va bene lo stesso.
Città difficilina, in effetti, un bel miscuglio Genova-Napoli-Tangeri, un minestrone mediterraneo in posizione clamorosa condita qua e là da progetti dispendiosi per favorire la gentrificazione e motorini bruciati, colline vista mare di grande bellezza e comode piazze di spaccio, viali alberati con jumbo metrò e cataste di rifiuti ingombranti, il tutto dietro a un porto interno strepitoso tutto tutto pieno di barche di una certa importanza. Sgarrupatina, invero, poggiata molle su dolci colline che discendono al mare, una cattedralona Sacre Coeur su una cimetta che han proprio copiato Parigi, due forti, nel senso militare, che chiudono le bocche del porto, come tutte le città man mano che si va fuori la situazione un po’ si complica. Però, sensazione di pericolo o di fastidio, mai. Certo, e spero di non risultare cinico, non provo stupore ora a sapere che sia crollato un condominio in centro e che, anche, non si abbia granché idea di quante persone ci vivessero dentro. Perché, oltre al sovrannumero non registrato di persone che per scarsità di mezzi si raggruppano, la città stessa, il modello è parigino, fraziona gli spazi in misura insensata e li fa pure pagare parecchio. Verificare i tagli qui sotto.
Possibile affittare un appartement da diciassette metri quadri? Possibile, eccome, da dormir sulla tazza. Siccome i palazzi sono con evidenza da grandi appartamenti primo Nove è chiaro che la fanno sporca suddividendo a colpi di pareti di carton gesso per aumentare il realizzo, a discapito dei gentiluomini e delle gentildonne che poi ci vanno a vivere. E non sono sarcastico, sono persone se non ricche certamente con stipendi significativi. Non so se siano incazzati per la casa, non mi pare anche se dovrebbero, ma di certo sono incazzati per le pensioni, i franzosi. Le vetrine del centro, quelle delle catene, sono tutte frantumate a sassate o bulloni, tamponate con cartoni e pezzi di compensato. Le scritte, ovunque, e tutte ovviamente contro Macron, reo di voler portare l’età pensionabile da 62 a 64 anni. Una cosa che nei paesi più disgraziati, dal tempo della trojka in Grecia a Monti da noi, è stata digerita da tempo.
Per la struttura dello Stato che si sono dati, di fatto un re ce l’hanno ancora ed è responsabile di tutto, per cui è facile, anzi inevitabile, che la protesta si indirizzi verso una persona sola, il presidente. Sfido chiunque là fuori a citare un primo ministro francese degli ultimi venti o trent’anni. Dai, sapete-sappiamo solo quelli che poi sono diventati presidenti, è inutile provarci. Quindi Macron è il cattivone, e nulla fa per piacere ancor meno adesso che al secondo mandato non ha il patema della rielezione e, secondo molti, spinge così la destra di Le Pen ove non arriverebbe da sola. I commentatori di sinistra in Italia ovviamente apprezzano la protesta popolare e spiegano nei corsivi che si tratti del rifiuto dell’accettazione passiva della riforma più che della questione dell’età in sé, «la contestazione attuale non si limita alla semplice difesa dello status quo. I francesi in piazza (…) vogliono partecipare alla discussione su una riforma delle pensioni, che è sentita da tutti come necessaria. Semplicemente non vogliono farlo nei tempi e secondo i presupposti dettati dall’esecutivo». Non saprei, difficile capirlo da qui, i sassi sono già stati tirati e quello che si vede ora sono scioperi, astensioni e difficoltà per chi si deve muovere. Non capisco nemmeno se lo sciopero generale annunciato per il prossimo sei abbia a che fare con questo o sia altro, non conosco la ragione per cui i controllori di volo protestino. Compro una copia de La Marseillaise, giornale regionale di sinistra, ma non trovo sintesi comprensibili per me foresto. Una catasta di rifiuti solidi rimane tale e per me è difficile capire senza il carbonio 14 a che epoca risalga, se sia nativa della città o se sia il risultato delle proteste dell’ultimo mese. Un po’ e un po’, secondo me. Gli scooter bruciati e smembrati no, preesistono, almeno dall’epoca dei focesi.
Comunque, a me le città vivaci con temperamento piacciono, per cui anche a Marsiglia mi trovo bene. Non ci vivrei, non la consiglierei come destinazione unica, non ci passerei una settimana, no, ma per un passaggio per me va bene. Ci sono ancora un paio di storie sulla città che vorrei raccontare, vorrei dire di un bel museo, di un quartiere sopra la collina, di un porto antico, tutte cose che rimando alla prossima. Ora è quel momento della giornata in cui il sole radente appena prima del tramonto colora le case, la terra, l’acqua accentuandone i toni, golden hour la chiamano gli inglesi, dando una patina splendente a tutto quanto. Durando al massimo pochi minuti, va da sé che merita tutta la mia attenzione, il resto si posticipa addomani. Orvuar.
Merda ieri non sono andato, ancora non lo sapevo. Lei aveva un’azienda di ceramiche poi fallita condannata per bancarotta e poi è stata a megiugorie e poi è tornata e ha fondato una onlus e ha cominciato a vedere la madonna e la gente fa offerte. Il tutto sul lago di Bracciano ogni tre del mese alle tre, perché la madonna è abitudinaria e adora il fuso italiano e il tempo umano.
Il corriere ne parla, come tutti i giornali e il canale su youtube, i pezzi belli sono quando scrive: «I dubbi sono tanti» e ancor meglio «Una commissione d’esperti nominata dalla diocesi di Civita Castellana sta lavorando per capire se ci siano aspetti soprannaturali oppure no». Oppure no. Lei sgrana il rosario, deliquia, ovviamente la vede solo lei – ieri abito rosa con cintura bianca e velo non mi ricordo, la madonna non la veggente -, il marito trascrive e poi riferisce. I fedeli, non pochi o zero come ci si aspetterebbe, in deliquio pure loro. La storia non è bella come quella della lettera scritta dalla madre di gesù ai messinesi ma è bella lo stesso e non offre alcun elemento di dubbio come, invece, i miscredenti suppongono. Trevignano, Roma, Italia, 2023. Poi uno si stupisce dei no vax.
Halchi, Calchi o Carchi, comunque Χάλκη, è un’isoletta greca del Dodecaneso ed è la più piccoletta dell’arcipelago, almeno tra quelle abitate. Oddio, abitate: ha poco più di trecento abitanti. Per questo, immagino, la polizia locale si è dotata di questi mezzi per sconfiggere ogni forma di crimine presente sull’isola:
Esatto, due sfolgoranti Citroën Ami, con due livree contrapposte. Saranno una diurna e una notturna? Comunque, l’Ami è particolarmente indicata negli inseguimenti spericolati a cinquanta all’ora, nelle riprese e negli scatti, nelle curve prese veloci, si veda l’utile test in particolare alla seconda curva e al confronto con il ciclista. Altre due foto promozionali della polizia di Halchi.
Ora che le guardo da vicino, capisco la differenza: una è della polizia, l’altra della guardia costiera. Giusto. Diciamo che in quanto a forme aggressive, velocità di punta, rispettabilità e un certo timore incusso, il mio mezzo poliziesco preferito resta la Citroën AX police mobile della polizia belga, inarrivabile in quanto a coefficiente di penetrazione del reato. Ed ecco, alla fine, l’opportunità di lavoro, dopo tutta ’sta pappardella: il ladro ad Halchi, ovvio. Garantita una certa impunità direi, possibilità di fuga anche a piedi mangiando un gelato in coppetta. Unica difficoltà, direi, è che essendo trecento prima o poi capiscono. A quel punto, cambiare lavoro, si chiama flessibilità.
A dire il vero, questa è forse un po’ meno intatta ma è usata, eccome se lo è. È l’edicola sulla piazza principale, quella della domenica, quella a fianco del broletto. Gli espositori sono molti perché è piccola, è più la roba fuori di quella dentro e, forse, anche per questo è bella.
facciamo 'sta cosa
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