La prima pagina della Wiener Zeitung, che chiude oggi dopo 320 anni, 10 imperatori e molte altre cose. Quello là va contato nei presidenti.
Il giornale più antico del mondo pubblicato continuativamente. La proprietà è dello Stato austriaco e per parecchio il giornale si è retto in piedi grazie a una legge ad hoc che rendeva obbligatoria la pubblicazione di annunci di interesse pubblico, di fatto garantendo la maggior parte degli introiti del giornale. Da aprile la legge è stata abrogata e così la Wiener Zeitung resterà solo sul web. Nei primi decenni della sua esistenza, il giornale si occupò esclusivamente di notizie relative alla corte austriaca e si chiamava WiennerischeDiarium. Una delle testate che ora aspira al titolo di giornale più vecchio del mondo è la Gazzetta di Mantova, fondata nel 1664 ma con altro nome, vale?, e poi chiusa a più riprese sia in epoca napoleonica che fascista. Difficile stabilire un criterio.
Come dice il tg2 Salute da sei secoli, meglio stare all’ombra, bere molti liquidi, evitare di uscire nelle ore più calde, mangiare lo stracotto solo di notte. Fedele alle mie funzioni di servizio, riprendo senz’altro le indicazioni delle autorità, sottoscrivendo anche la strategia di rinchiudere gli anziani nei centri commerciali da maggio a ottobre e così, già che ci siamo, festeggiamo quasi il ventennale dell’ottima idea di Girolamo Sirchia, indimenticato ministro berlusconiano.
Di mio, voglio contribuire, d’estate consiglio il gelato. In tutte le sue forme, solide, liquide e anche, stavolta, visuali.
A un certo punto, compare nelle gelaterie di un’indistinta cittadina americana un gusto di gelato buonissimo che conquista tutti, grandi e piccini. Addirittura, chi ne consuma poi, oltre che per sé, spinge gli altri ad acquistarne. Beh, per forza, è buonissimo. Dopo un po’ si comincia a notare qualcosa di strano, ovvero che lo “Stuff”, così si chiama il gelato, una volta ingerito consuma le persone. E così, dai e dai, salta fuori che il gelato è in realtà una gustosissima sostanza cremosa che fuoriesce da una crepa nella miniera vicino alla città e che due minatori hanno ben pensato di far diventare un gelato di grande successo. Tra militari ottusi e padri di famiglia che devono agire da soli, il film è ‘The Stuff, Il gelato che uccide’, 1985, non sfugga la locandina con tanto di refuso qui sopra, realizzato con un budget ridicolo ma chiamiamolo indie, va’, e non sfugga nemmeno la non tanto sottile critica al consumismo che il regista, Larry Cohen, sottende alla trama. «ATTENZIONE! Interrompiamo questo programma per un gravissimo comunicato sullo STUFF: se lo vedete in un negozio, chiamate la polizia, se ne avete in casa, non toccatelo… scappate! Lo STUFF è un prodotto naturale, un mortale organismo vivente, che dà l’assuefazione e poi la morte; può impadronirsi del vostro cervello e del vostro corpo… e nulla può fermarlo! THE STUFF: siete stati avvertiti…».
Il secondo gusto è ‘Ice Cream Man – I gusti del terrore’, 1995, dieci anni dopo i gravi fatti di Stuff. Il fratello di Ron Howard, il signore qui sopra nella locandina e che si può apprezzare anche in quasi tutti i film del regista, compreso ‘Star Wars’, da piccolo assiste all’omicidio del ‘Re dei gelati’, ha qualche problema psichiatrico, poi diventa lui stesso gelataio, il ‘Principe dei gelati’, attira gli appassionati al suo camioncino, li fa fuori e con le parti del corpo, molti bulbi oculari, prepara il gelato. Prevedibilmente, a un certo punto i ragazzini si accorgono che alcuni di loro sono scomparsi e poi ricomparsi nel gelato, si coalizzano per far fuori il Principe, ci riescono e bon, la minaccia pare eliminata. Ma non è così perché il ragazzino più piccolo, che ha assistito all’omicidio, finisce in terapia per lo shock e ricomincerà la catena di gelatari assassini. Del tutto inedito il gioco di parole tra I scream e ice cream, ben fatto. Segnalo, infine, la presenza dell’attore Jan-Michael Vincent, poi in ‘Supercopter’ con Ernest Borgnine, tre stagioni di avventurone con l’elicottero supersonico a sventare complotti in clima da guerra fredda. Ma qui sono a un’altra cosa, sempre gloria a Donald P. Bellisario.
È arrivata l’estate, mangiate gelati, spegnete il cervello che, tanto, se lo mangia il gelato.
Scrisse Vasari nel 1568 anche se bisogna aggiungere i soggetti:
[Giulio Romano e il marchese Federico II Gonzaga] se n’andarono fuor della porta di S. Bastiano, lontano un tiro di balestra, dove sua eccellenza aveva un luogo e certe stalle chiamato il T(e).
Difficile da credersi oggi ma fuori da porta di San Sebastiano, poco dopo la casa di Mantegna che ancora si vede e il palazzo omonimo, c’era un grosso canale, il Rio, che divideva Mantova in due grosse isole e una terza, piccolina, proprio lì di fronte che si chiamava Tejeto, abbreviata in Te. Niente a che vedere con la bevanda, peraltro al tempo ancora di là da venire. Potrebbe essere un tiglieto, di tigli, o tegia, latino attegia, capanna, già più impervio. Comunque, i due, cioè il marchese di Mantova e il suo fido architetto, andarono sull’isoletta con uno scopo, continua Vasari:
E quivi arrivati, disse il marchese che avrebbe voluto, senza guastare la muraglia vecchia, accomodare un poco di luogo da potervi andare ridurvisi al volta a desinare, o a cena per ispasso.
Lo si accomodi, dunque, il luogo, almeno un poco di esso, si faccia una cosetta per poterci andare a pranzo o cena per diletto. Detto, fatto, ecco il luogo accomodato, riconoscibile:
Bravo, questo Romano. Mi ci potrei volentieri ridurre tutti i giorni senza fatica, dico io. Nella parte a destra della fotografia qui sopra dove c’è la ferrovia, sul fianco sud dell’isola che era allora, vi erano mura fortificate a sua difesa ed è quello cui si riferisce Vasari con la «muraglia vecchia». Si vedono, le mura e l’isola Tejeto, nella mappa di Matthäus Seutter del 1730 e il ponte in rosso è proprio quello di porta San Sebastiano:
Ancora meglio in quella di Guillaume De La Haye del 1775:
Che è anche modernamente orientata, ehm, verso nord. E il toponimo, complice la franzosità dell’autore, è già connesso stabilmente al Tè e alla pratica di berlo per sollazzo in luogo ameno, il palazzo appunto come si chiama anche oggi. Infine, pare che il palazzo fosse, in origine, dipinto anche in esterno ma, come si può constatare di persona, non ne resta traccia. In caso di visita, occhio alle salamandre.
E sapevamo che non sarebbe stato ripetibile. Un’incredibile esperienza e interazione con quell’arte contemporanea che quando è fatta bene, e quella lo era perché non solo visiva, l’arc de triomphe per dire, ma tattile e soprattutto collettiva, fatta insieme per davvero, lascia un segno vero.
Con le persone con cui andai allora stiamo ricordando anche oggi con trasporto quel che fu quella giornata e, ancora, parecchia emozione persiste. Che potenza, Christo.
La puntata di ieri di ‘Comizi d’amore’ è stata strepitosa, come spesso accade. Non è stato troppo difficile indovinare quasi, quasi, tutti i film. A tema scuola, si apre con il Moretti di “ma magari non interessa” e la classe che ovviamente risponde: “sì, sì, interessa”, sul calcolo del quadrato magico di Dürer in ‘Bianca’. E poi alcuni pezzi da ‘Auguri Professore’ di Riccardo Milani che sono, appunto, da antologia: “Quanti anni ha la tua professoressa? Cento?”. Buona parte del bello di ‘Comizi d’amore’, secondo me, è che è la domenica dalle 13.20 alle 14.00, un momento poetico e mezzo morto perfetto per “quaranta minuti di musica e dialoghi cinematografici trasposti, isolati, destrutturati per creare nuove forme emotive di ascolto”, specie in una domenica agostana come ieri. Cerco di ascoltarla alla radio per questo.
Aumenta la temperatura e qualcosa mi dice che stia arrivando l’estate. I molti ghiaccioli che sto mangiando, più che altro. Il che vuol dire, per contrario, che è finita la primavera e con essa la mia pleilista della stagione. Eccola qua, nella sua interezza, extended, deluxe, mono e stereo tutto insieme.
Quattro ore e rotti per settanta pezzi e rotti, buoni per andare a nuoto da Gatteo a Mare a San Mauro a Mare. Sono ben conscio di come funzioni con le pleiliste, capita anche a me: ne si piglia una di un altro, ci si mette la preferenza, si annota tra le proprie, poi si ascolta e sì, non male, alcuni pezzi buoni senz’altro che si spostano nelle proprie compile e poi, nzomma, occhei. E bon. Capisco. Cioè no, non è che capisca proprio proprio davvero davvero, me la spiego e me la ragiono ma secondo me le mie sono proprio buone come compile, i pezzi son proprio buoni, come li avessi scritti proprio io, non capisco come mai non siano in cima agli ascolti di spozzifai. Proprio non mi spiego. Incompetenti là fuori? Può essere. Se no non si spiega come mai non ci siano miei busti in tutte le accademie musicali e nelle piazze dell’intrattenimento. Mistero insoluto per me.
Sarà, alla fine, perché io le mie compile le ascolto volentieri. Ma proprio. Eheh, certo, sono le mie, anticipo l’obiezione, ma essendo io nel giust… D’accordo, la pianto. Spero qualcuno possa divertire, là fuori. Avanti con quella nuova.
facciamo 'sta cosa
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