Molto molto molto più dispiaciuto (non più, perché di là non ce n’è, solo dispiaciuto) per la scomparsa di Francesco Nuti, memorabile con i Giancattivi. E oggi ingiustamente oscurato.
Lui, Benvenuti e Cenci costituirono un gruppo comico surreale di cabaré davvero spassoso, li ho molto amati in Ad ovest di Paperino, film che ogni tanto riguardo e me la rido. Lui, Nuti, fece poi cose sue, film e canzoni, con grande successo ma io preferivo la vena malincomica, come si diceva, di Benvenuti. Ma era bello averlo in giro, il Nuti. Sfortunato, sfortunatissimo, poi. “Scusi, mi da’ TuttoSport?”. “Ma se si da tutto a te a noi che ci resta?”.
Amsterdam a parte, che quindi ci si può aggiungere il tempo che si vuole e poi la sanno tutti, tre città mediopiccole da vedere ciascuna a venti minuti l’una dall’altra. Complessivamente, un’ora e un quarto di viaggio via treno, poco di più in macchina. Ecco la mia proposta, ovvero un’altra guida delle mie, si fa in tre giorni, due se si è spostati come me. Son talmente vicine che in trenta ore si fa tutto a piedi. O, non scherzo, in bici.
Via. Prima tappa: Haarlem. Questa, non quella, non troverete qui i fratelli neri con i soundblaster. Bella cittadona sui canali, ovvio, con cattedralona, municipio cinquecentesco eclettico, qualche mulino, grande piazza – questo vale per quasi tutte le città nederlandesi, senza nulla togliere alla gradevolezza -, vale la visita, tra l’altro, per la stazione art nouveau e per il museo Frans Hals, che ha sede in una magnifica casa signorile del Cinquecento, poi orfanotrofio (qui una buffa iniziativa del museo al tempo del covid). Hals è uno dei grandi, non minore rispetto a Rembrandt, e qui sono visibili le sue sei ‘guardie’. Anche se secondo me sono cinque, la sesta è di un altro. Tutto piacevole e gradevole, per me mezza giornata è stata sufficiente.
Seconda tappa: Leida. Stessi elementi di Haarlem, città un po’ più grande e con storica e importante università e il giardino botanico in cui furono per la prima volta coltivati i tulipani in Europa. Per poi scoppiare nella prima, enorme, bolla speculativa della storia economica europea. La vita culturale della città è parecchio vivace, data l’università, e la cosa che si ricorda è che sui muri di molte case sono dipinte frasi notevoli di personaggi della cultura di ogni parte ed epoca, grazie a un progetto iniziato negli anni Novanta. Tutte in lingua originale, senza traduzioni, tra quelli a noi vicini Orazio, Montale e Marinetti. Ah, per dire: Rembrandt era di Leida, come circa altri centomila pittori tra cui il più noto Luca. Di Leida. Notevole in città la succursale del Rijksmuseum, che poi è solo il museo di Stato, il van Oudheden, cioè quello di antichità. Leida come buona parte delle città nederlandesi a sud del vecchio corso del Reno è di fondazione romana, ha quindi le proprie cose e poi offre raccolte straordinarie dalla preistoria al medioevo con pezzi strepitosi e abbondanti del mondo egizio, greco e romano. Il tutto nella vecchia sede ampliata con intelligenza architettonica. Poiché sono estrosi e meno paludati di noi nei musei, ho visto una mostra strepitosa su Kemet e l’influenza esercitata sulla musica nera tra hiphop, jazz, soul e funk. Bellissima, ho almeno cinquanta dischi da ascoltare (e siccome sono davvero più furbi di noi e vivono meglio, hanno fatto anche la pleilista, eccola qua).
Via di nuovo e terza fermata: Delft. In dettaglio ne avevo raccontato qui. È, per distanza, quasi un sobborgo di Den Haag, L’Aja, ma è città a sé da sempre e ben più importante delle altre finché non ne scoppiò metà. È la città delle maioliche, il famoso azzurro di Delft, della Calvè e, ovviamente, di Vermeer. Cito la sua veduta, che m’appassiona. Rispetto alla dotazione ormai consueta – cittadona sui canali, cattedralona, municipio cinquecentesco eclettico, qualche mulino, grande piazza – le kerk sono due, una vecchia (oude) e una nuova (nieuwe), rispettivamente tombe di Vermeer e Guglielmo d’Orange, padre della patria, e di tutta la dinastia. L’equilibrio tra canali e case e parte conservata è notevole e ne fa la più bella tra le tre, secondo me. Comunque senz’altro più bella della più grande L’Aja, vicinissima, che comunque vale un giro almeno per il Mauritshuis e mah la corte dei diritti dell’uomo, se si volesse aggiungere una tappa.
Certo, lo so che Rotterdam è dietro l’angolo e la visita al porto – il più grande d’Europa – vale il viaggio. Ma l’idea è di condividere il progetto di viaggio da una fine settimana, tre giorni, ovvio che in nederlandia a voler ben vedere sta tutto appiccicato. Questa è la mia proposta, ampliabile volendo o percorribile così, dal venerdì alla domenica. Io l’ho fatto da poco e ho girato con calma, con esaurienza e senza ansia. A Delft sono tornato nel mio posto preferito del cibo olandese – lo raccontavo qui, si chiama Thuis che, come dice il proprietario Derek, offre: “Dutch food, dutch price, dutch weather“, consiglio -, a Leida ho mangiato a bordo acqua due volte, complessivamente ho visto due musei, ho camminato sui canali e letto sotto qualche pianta lungo i canali, ho bevuto birrette e caffè in santa pace, insomma: viaggio breve ma con tutte le sue cosine a posto, ad alto grado di soddisfazione.
Si sfida un’AI per le immagini, al momento la solita midjourney, a comporre un sistema solare astratto. E il risultato è notevolissimo, da quadrone appeso in salotto:
Il prompt, cioè le istruzioni, è:
solar system, abstract art with colored circles and lines, black background, colorful and sharp, clean geometry --ar 18:39
dove ‘ar’ sta per ‘aspect ratio’. Ma si può provare anche più semplice:
The universe with a black hole in the style of a Bauhaus painting
Ci avrei messo giorni, come minimo, per molto molto meno.
Il fatto che il Sudafrica abbia inviato più di duecento pompieri in Canada per aiutare nell’emergenza-incendi è civile, coraggioso e commovente.
Qui l’arrivo all’aeroporto con tanto di canto e danza corale. Che bello sarebbe se fossimo tutti così, mi dò da fare per stare in quella parte lì del mondo.
Nella spianatona dei musei di Amsterdam è stata notevole la festa per i cinquant’anni del museo, sì, non lui, Van Gogh. Dopo le celebrazioni di rito con presidenti, collettoni e real babbione, a sera – e vien buio alle dieci e rotti – è stato messo in scena uno spettacolo con una pattuglia di droni impegnati a riprodurre i motivi più famosi della pittura di VG.
Per concludere con la sua firma. Non tutti riconoscibili, almeno per me, ma è stata una bella celebrazione, emozionante.
L’otto giugno 1949 Secker & Warburg pubblicarono la prima edizione di 1984 di George Orwell.
Stampato in 25.575 copie, ne vennero immesse sul mercato altre cinquemila l’anno successivo. Sei giorni dopo la pubblicazione in Inghilterra, 1984 uscì negli Stati Uniti per Harcourt Brace, & Co. Lì il successo fu ancora più istantaneo, alle prime ventimila copie ne seguirono diecimila il primo luglio e altre diecimila il sette settembre. Nel 1970, ne risultavano vendute più di otto milioni di copie nei soli Stati Uniti e da allora il titolo è sempre nelle classifiche dei libri più venduti. Questo però, purtroppo, George Orwell non lo seppe mai, poiché morì pochi mesi dopo la pubblicazione, nel gennaio 1950. La moglie Sonia Bronwell vendette per beneficenza l’unico manoscritto esistente nel 1952 per cinquanta sterline ed è, a oggi, l’unica testimonianza manoscritta del lavoro dell’autore.
La stupidaggine detta a scuola che il titolo sarebbe l’inversione dell’anno di scrittura, 1948, è, appunto, una fola e il titolo sarebbe dovuto essere The Last Man in Europe, fu poi su consiglio dell’editore Warburg che venne adottato 1984. Tra l’altro, ed è rilevante, il titolo corretto dovrebbe essere nella sua versione estesa, ovvero Millenovecentottantaquattro, Nineteen Eighty-Four, come riportato nella prima edizione. E come, scaduti i diritti nel 2019, anche molte edizioni italiane ora preferiscono titolare. A proposito delle prime edizioni, né l’edizione inglese lasciava trasparire dalla copertina il genere del testo, né la prima edizione italiana, tradotta da Gabriele Baldini per Mondadori, adeguò in modo appropriato la lingua e il registro al contenuto, pubblicando una versione eccessivamente elegante e sostenuta.
Soltanto nel 2021 e in Italia ne ho contate tredici nuove edizioni e ristampe, spesso con nuove traduzioni: Feltrinelli, Newton Compton, BUR-Rizzoli, Bompiani, Giunti-Barbèra, Einaudi, Sellerio, Garzanti, Fanucci, Chiarelettere, My Life, Urban Apnea Edizioni, GOODmood. Per dire del successo persistente ed è un testo senza dubbio che è meglio avere in catalogo, specie se gratis.
Inserire un lungo inseguimento tra due o più di questi cosi.
Sparando, pure, che vien comodo. Ma lungo.
facciamo 'sta cosa
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