Dopo Utah, Romania, California, New Mexico e Galles, ne avevo detto qui, la Las Vegas Metro Search and Rescue – LVMPD – ne ha avvistato uno vicino a Gass Peak, bellissimo.
Dove andrà, ora, questo monolite matomatomato? Chi lo sa, la vicenda è a dir poco appassionante, questo di Las Vegas, perché non è sempre esattamente lo stesso, esso muta leggermente, è pure molto bello e scintilloriflettente. Notevole. Vai, prisma, vai, libero come tu sai essere.
Strepitosa la parabola dei Police, sette anni e cinque dischi notevoli, pochi hanno fatto meglio. Beatles, Smiths, così al volo. Tra tutti i singoli, vale la pena pescare a mio parere Message in a Bottle da Reggatta de Blanc, anche se sembrerebbe uno dei più scontati.
Certo, il riff, l’arpeggio di Summers, certo, la sessantacinquesima tra le migliori canzoni con la chitarra di tutti i tempi, bastano tre secondi per riconoscerla. Ma è questo? Altro? Non mi farei trarre in inganno dal fatto che suoni una sedia nel video, a parer mio il segreto del pezzo è la batteria di Stewart Copeland: più regolare di una macchina, non si ripete mai e procede libera inventando di volta in volta il ritmo, spaziando tra generi e suggestioni. Provare l’ascolto prestando attenzione alla batteria. Oppure, isolandola, per capire meglio:
Copeland è brillante e creativo, spezza lo schema che invece la canzone, e il riff, hanno. E che chiusa. Fenomenale, secondo me una delle migliori drumtrack di sempre e, di conseguenza, anche una delle canzoni da mettere in pleilista. Amen.
Il primo che vedo è un grande film, ‘Il terzo uomo’ (The Third Man) di Carol Reed, del 1949. Bianco e nero clamoroso, sceneggiatura di Greene, l’idea di girare sulle macerie della cittù – impressionanti, varrebbe da sé come documento storico – bagnate così da moltiplicare le luci. Joseph Cotten arriva in città cercando di risolvere il mistero della morte dell’amico Orson Welles e del fantomatico terzo uomo, innamorandosi ovviamente di un’irresistibile Alida Valli. Famosa la battuta di Welles, pare improvvisata, sugli orologi a cucù svizzeri, poi redarguito dagli orologiai della Foresta nera.
Soprattutto, una magnifica colonna sonora, tutta alla Django Reinhardt, che conferisce qua e là un tono di ironia anche alle scene più drammatiche. Film molto bello. L’altro film è ‘L’altro uomo’ (Strangers on a Train), di due anni successivo, di Alfred Hitchcock su sceneggiatura di un’esordiente Patricia Highsmith. Robert Walker propone a Farley Granger un doppio e reciproco omicidio di, rispettivamente, padre e moglie, così da disinnescare il movente. Walker procede immediatamente, insidiando poi Granger in maniera ossessiva perché compia il suo dovere.
La sceneggiatura avrebbe dovuto essere di Raymond Chandler, già assunto, ma non si intesero. Buon film, decisamente da Hitchcock, notevolissima la scena in cui Walker scoppia il palloncino del bambino prima dell’omicidio, tanto per far capire la cattiveria. Pure del buon tennis, qua e là. ‘Il terzo uomo’ è però di un’altra categoria.
Il finale sul viale del cimitero è davvero notevole. E piantiamola con questa cosa degli spoiler, quando è cominciata questa ossessione?
E proprio niente, faccio una foto da un posto (il post precedente), chiaramente un posto instagrammabile, e vualà, tutta la grande originalità e creatività sbattuta in piena faccia:
Si potrebbe andare avanti per centinaia di schermate, diciamo che ho capito. Il punto, immagino, è testimoniare di esserci stati, in uno di quei cinquemila posti nel mondo dove c’è la photo opportunity, farla come va fatta escludendo il contesto e instagrammando e saturando la realtà, e via, verso uno snodo successivo della vita che vale la pena vivere.
Dopo Salò, la destra perde un’altra delle roccaforti simboliche del loro potere locale: Pontida.
Ci sono passato per la prima volta la settimana scorsa e in un bar sulla strada ho comprato una calamita da frigo del pratone del raduno. Non quella con le bandiere, non ho avuto cuore, ma quella con l’erba. Devo avergli sottratto potere, evidentemente. La calamita del comando, la cercheranno gli orchi. Il nuovo sindaco è laureato in Storia e sta facendo il servizio civile nella biblioteca comunale. Probabile quindi non abbia mai incrociato un leghista. L’anno prossimo sul pratone lissio e Contesse e in culo ai leghisti.
Niente, la maggioranza degli italiani aventi diritto non vota. Tutti idioti menefreghisti? La tentazione di risolverla così è forte, mi metterebbe anche in pace cone stesso sulla mia condizione di non idiota, visto che voto. Temo purtroppo non mi vada così liscia.
Nei giorni precedenti le Europee chiedo esplicitamente alle persone più vicine: voterai? Non è come fare domande sulle tasse ma da qualche tempo un po’ di ansia la genera. Qualcuno tentenna, si vede, qualcuno sceglie per la verità, qualcuno no. Poi non va benissimo, astenuti quello che manca tra 48,31%, i votanti, e cento per cento. Venti e rotti milioni di persone.
Questo è il dato complessivo UE. Meno interessante la distribuzione territoriale dell’astensionismo, non è che si noti alcunché di nuovo o imprevisto.
Mai una sorpresa in questo paese. Comunque, al giorno prima delle votazioni, sette giugno, il mio personale sondaggio interno tra le persone più vicine dà il seguente risultato: sei astenuti; tre uomini e tre donne; tutti ampiamente sopra i quaranta, una sopra i sessanta, uno i settanta. Motivo: cinque al mare, non insieme tra loro, non tutti, il sesto non si è premurato di chiedere dove votare, se nel paese di origine o in quello di residenza, entrambi UE. Tutti buona o alta o altissima scolarizzazione e tutti, senza eccezione, con consapevolezza e coscienza politica. E ultimo e peggio: tutti voti a sinistra. Persi.
Ovvio, ci resto male. E per qualcuno vola pure un vaffanculo. Ne avrò diritto, poi? Forse no, però diciamo che aver fatto qualche sforzo per accompagnare tre ultrasettantenni non esattamente deambulanti al seggio qualche prerogativa, forse, me la dà. O me la arrogo, perché ci credo. E poi qualcuno ha pure il coraggio di sostenere che siano i giovani a non votare, pelandroni disinteressati. Comunque, oltre a rimanerci male, non capisco. È un florilegio di: avevamo prenotato prima, è l’unico periodo possibile per andare, la mia amica, amico può solo in questo momento, nessuno azzarda le spiegazioni dei più giovani, tanto non cambia nulla. Come se il riposo dalla freneticissima vita lavorativa e non meno l’investimento per la camera d’albergo, il volo, il boccaglio costituiscano ragioni inoppugnabili, di per sé e ai miei occhi, che interrogo. Quello diviso tra i due paesi abbozza qualcosa su una qual disorganizzazione tra i paesi, pur non avendo fatto alcuna domanda. Il punto è che questi, a sinistra, li abbiamo persi. Se ci sono, votano. Se è comodo, eccome. Ma se è giugno, o settembre, o c’è la sagra del pesce fritto a Porto Empedocle, o serve fare qualcosa per accreditarsi al voto, ciccia. Però il 28 maggio la maggior parte di loro, le donne direi per introdurre a questo punto pure una questione di genere, sono in piazza, il 25 aprile pure, le canzoni di Ivan della Mea le sanno. E allora? Forse sono le europee, alle politiche forse sarebbero andati. Probabile, visto che nel 2022 la percentuale di votanti fu il 63,91%, è di certo così.
C’è un però, però. Ed è un però bello grosso secondo me. Ritenere più importanti le politiche rispetto alle europee è frutto di una visione obsoleta e condizionata dalla propaganda locale. Proprio le stesse persone che lamentano un’Unione europea debole e poco integrata ritengono poi secondarie le elezioni stesse, quando invece nell’ottica dell’integrazione presente e futura è proprio il contrario: oggi le elezioni più importanti sono, appunto, le europee e le regionali, viste le deleghe poderose che anni di federalismo e localismo hanno garantito, sanità in primis. Per queste due serve votare veramente. Non per elezioni in cui il capo del governo gestisce sì e no un quarto della finanziaria e che, di volta in volta, avrà sempre meno capacità di intervento. Perché l’integrazione europea va giustamente in questa direzione. Certo, poi ci sarebbe da capire chi si occupi dei diritti, perché né di qua né di là, attualmente, ciò accade. Se poi votate Meloni, stiamo proprio belli freschi.
È con un misto di imbarazzo e vergogna che numerosi utenti rumeni in rete si stanno scusando a nome del paese per aver mandato al Parlamento europeo questa, ehm, tizia:
Si chiama Diana Șoșoacă, è un’avvocata e politica rumena e stupirà sapere, lo so, che sia di estrema destra, no vax, seguace di teorie anti-immigrazione del tutto sballate, antieuropea, filorussa e tutto quello di altro che la foto suggerisce. Com’era quella cosa del mondo vario? Tra le sue amene affermazioni, mi piace ricordare quella che diceva grossomodo: «Vaccinandovi resterete sterili per almeno tre generazioni» che so che non arriva subito ma poi lo fa con soddisfazione. Detto questo, chi è senza peccato scagli la prima pietra, non c’è paese europeo privo di colpe in questo senso, da Vannacci in giù, passando per Salvini, Berlusconi, Iva Zanicchi al nipote di Crosetto, Mussolini, quel pistola del leghista Ciocca con cartellino rosso e fischietto e avanti. Il che non toglie nulla, comunque, a Șoșoacă né al fatto che tutte queste figurine siano quasi sempre, invariabilmente, di destra.
Andando per confronto, perdono i verdi, -19 seggi, si confermano i socialisti, -2, perdono i liberali, -23 ed è il peggior risultato, aumentano i popolari con nove seggi in più, tiene la sinistra che perde un solo seggio. Ecco la comoda immaginetta comparativa ingrandibile.
Oppure qui. Data, quindi, la maggioranza di 360 più uno, tutto ciò che sta a sinistra di ECR, il Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei di Fratelli d’Italia, fa 489, più che sufficienti per costruire maggioranze. Certo, quando von der Leyen un minuto dopo la chiusura dei seggi dice: «Costruiremo un bastione contro gli estremisti da sinistra e da destra» sta dicendo non solo che non farà accordi con la sinistra, il gruppo The Left, ma sta dicendo anche a un certo tipo di destra, quella che ritiene più istituzionalizzata, ovvero proprio ECR, ci si può parlare.
In realtà, sempre parlando complessivamente, non è che ci sia stato tutto questo spostamento a destra, perché ECR ha solo quattro seggi in più e ID-Gruppo Identità e Democrazia, quello della Lega per parlare italiano, nove. La differenza è però che nei due paesi trainanti l’Unione, Francia e Germania, l’avanzata da destra invece si è vista eccome, con il Rassemblement national oltre il trenta e Alternative für Deutschland quasi al sedici, oltre ai Cristiano Democratici (CDU/CSU) di opposizione che da soli prendono quanto i tre partiti di governo insieme. Il che poi in ottica delle elezioni politiche a fine mese in Francia e un equilibrio instabile in Germania complicherà le cose. I cinquantaquattro ‘Altri’, cioè neoeletti senza appartenenza a un gruppo politico del Parlamento uscente, qualche peso sposteranno.
Leggendo, infine, le cose in chiave italiana, cosa poco interessante perché bisognerebbe smettere di farlo ma tant’è, sono ancora lette come elezioni di mid-term, vincono tutti tranne Cinque stelle, c’è poco da fare, e Lega, ma non abbastanza, forse, da mettere in discussione il segretario che non fa congressi da dieci anni. Anche se in termini assoluti conta l’astensione, Fratelli d’Italia, dato con il PD come vincitore in termini percentuali, in realtà ha ottenuto 6,6 milioni di voti contro i 7,3 milioni di settembre 2022. Vediamo come sarà la seconda parte dell’anno, alla luce dei rapporti con un’UE più interessata di prima a parlare con esponenti europei di ECR che è guidata, lo ricordo, proprio da Meloni.
A.P.T. è un’amica, testa pensante e leggera, presente politicamente, pronta a spendersi in prima persona da una vita. Come stavolta, in cui ha sentito la necessità di esprimersi pubblicamente:
Un discorso politico e civile chiaro, netto, senza sbavature. Come è lei. Non si faccia l’errore di considerarlo un consiglio della nonna, è un ragionamento chiaro, diretto e coraggioso. Non le si faccia torto, sia sottovalutandolo che non votando.
facciamo 'sta cosa
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