Ancora senza possibilità di tornare a casa, scendo a Este che dei Colli Euganei fu senz’altro il centro principale per lungo tempo. Estensi, appunto, Ezzelini, Scaligeri, Carraresi e Visconti e, data poi la salubrità del clima, cioè qualche decina di gradi di meno della pianura padana spinta, fu terra di residenze meravigliose, castelli e ville di piacere. Che piacquero poi a Byron, Shelley, Bembo e chiunque possa venire in mente. Tra essi, uno dei miei preferiti è senz’altro Alvise Cornaro, saggio possidente terriero con buon modo di stare al mondo, che qui si fece costruire una splendida residenza, equilibrata e di gusto come era suo solito. E qui scrisse i suoi Discorsi della vita sobria, di’ poco: «Non havendo adunque l’huomo miglior medico di se stesso né miglior medicina della vita ordinata, questa si debbe abbracciare».
Ma non si occupò solo di inviti alla moderazione nei costumi e nella crapuloneria, si occupò di idraulica, ingegneria, letteratura, agricoltura e architettura, scienza della bonifica e così via. Ma anche di arti e di vita armoniosa, grazie soprattutto alle capacità professionali di Giovanni Maria Falconetto, che lo supportò grandemente dal punto di vista tecnico nelle sue aspirazioni. A loro, tra le altre cose, si devono la Loggia e l’Odeo Cornaro a Padova, ancora oggi visibili, che diedero un luogo alla rinascita del teatro nel Cinquecento e alla nascita di Ruzante. Meriteranno discorsi più ampi. Este, come dicevo, fu apprezzata anche da taluni chiamati Romanes, ci mancherebbe, che costruirono alcune ville in zona e ponti e strade, come loro solito, e che venetamente vengono mal conservati con una delle zone archeologiche più deprimenti mai viste. Ma lasciate la roba là sotto, perdio, che è meglio.
Con i trentasei gradi di Este, che se hai la villa misurata e la fontanella sobria va bene, ma se sei come me esule da casa, con sì e no due paia di pantaloni nel bagagliaio e uno spazzolino comprato al supermercato stamane, manco il dentifricio, un poco in più si sentono, mi inerpico un po’ a zonzo su per i colli a schivar la noia, come giustamente precettavano nel Cinquecento, fino ai Denti dea vecia e per valli e vallette di queste magnifiche colline vulcaniche.
Poi mi appropinquo verso ovest, lentamente che la mia amica T. con le chiavi arriverà a notte tarda. Ma qui attorno la pianura è punteggiata di meraviglie e non di rado vengo a vedere come sia. Due passi per la via principale di Montagnana e circumnavigazione delle mura, risalgo a Pojana maggiore, a Finale di Agugliaro, a Campiglia dei Berici, a Bagnolo vicentino a vedere ville palladiane una più bella dell’altra – il bello è che basta vederle da fuori, perlopiù – e tra esse villa Saraceno sopra tutto, la più armoniosa ed elegante e, appunto, sobria, casa mia per alcuni giorni tempo fa e ancora oggi col cuore. Ohibò, c’è gente, chi ha dormito nel mio lettino? Il caldo è notevole e la stanca della pianura si vede, le persone stanno rintanate all’ombra, beati loro, io vado a Lonigo che ha un grande giardino a mangiare un ghiacciolo, a bere una birretta, a leggere sotto i platani nell’erba tirando sera. E mi addormo, pure, vedendo pian piano crescere la popolazione che col calar del sole si avventura fuori, forse anche col richiamo della finale degli Europei.
È ora, il sole sta mollando la presa, piglio su i miei quattro stracci – letteralmente stavolta – e vado verso casa, dove mi aspetta un giorno, domani, di copie di chiavi e sostituzioni di cilindri di porte blindate, colpa mia, che stridore con il dire di Cornaro, le barche placide al castello del Catajo, con Suzanne Vega che canta The queen and the soldier, con la cima del Venda, con la Lettera ai posteri di Petrarca – «Ho sempre avuto il massimo disprezzo per le ricchezze, non perché non mi piacessero, ma perché odiavo le fatiche e le preoccupazioni che ne derivano», quanta ragione -, con quel pane con l’olio che mi hanno dato a Teolo, con le scamozzate a Monselice. Beh, fosse così tutti i giorni forse l’apprezzerei meno, vada così. Alla prossima, me stesso del futuro.
Ridiscendo dalla mia “Ascensione al monte Venda”, sudato, sbracato, stanco ma felice e ohibò trovo l’auto aperta. Ma aperta bene, nel senso non forzata ma aperta con para-telecomando solo su un lato, che nemmeno saprei come fare. Ma dico, non ero io, perché ti sei aperta? Comunque, mi hanno portato via la borsa con tutti i vestiti, compresi alcuni freschi di lavanderia, tranne un panama di plastica che non capisco perché. Quindi sono così, maglietta e pantaloncini sudati e maleodoranti e basta. Manco le chiavi di casa che avevo, saggiamente, pensato di non portare sui sentieri ma di nascondere astutamente. Bravo, me. Ma siccome non mi farò certo rovinare la fine settimana (femminile, femminile) da un accidente così, decido di restare in giro. Anche perché comunque non ho le chiavi di casa, quindi non saprei come entrare. Ma prima, il dovere civico: la denunzia alla pubblica autorità. Già sapendo come andrà. E infatti: «Ma perché è venuto da noi?», cominciamo bene. Perché siete i carabinieri e la vostra stazione risultava aperta da gugol. «Eh, ma ce n’erano altre», molto bene. La giovane marescialla? appuntata? signora carabiniera? non so come chiamarla, non ha ovviamente alcuna voglia. La cosa, intendo la denunzia, diventa difficoltosa, anche cercare di farle capire che non esista un numero civico al quale fare riferimento, essendo un bosco, e che non ho idea in che comune il fatto sia avvenuto, potendo darle comunque il punto esatto e che dovrebbero saperlo loro, essendo della zona, sono cose semplici solo sulla carta. Tralascerò l’ora e quaranta per scrivere mezza pagina per condividere solo il momento in cui l’appuntato in borghese, intervenuto altrimenti sarei ancora lì, mi dice che – soggetto non definito, il classico «Loro» – non li lasciano lavorare – ribatto che il governo è totalmente con loro, ancora, quindi di chi parla? – e che, questa la cito: «Il papa e i buonisti d’Italia dicono che loro sono fascisti», e con loro stavolta intende lui-loro le forze dell’ordine. Se la polizia mena gli studenti a Pisa senza motivo, sì, son fascisti, dico. L’approccio è quello. «Un episodio», dice lui, e bon, vorrei la mia denunzia e trovare un posto per una doccia, almeno fino a poco tempo fa stavano un poco più zittini, con meno sponde.
Sono ancora in braghe di tela, letteralmente, e piuttosto impresentabile. Decido di ricostituire il mio guardaroba e con una puntata veloce a Padova, dieci chilometri ed è una delle caratteristiche dei Colli Euganei, vado da decathlon e in otto minuti e quaranta euro son vestito esattamente come prima. Pulito fuori, meno dentro. La mia amica T., nonché vicina di casa, tornerà domani sera a casa e solo allora potrà darmi copia delle mie chiavi, molto bene, sto in giro. Visto che ne ho emulato le gesta ascensionistiche, vado a trovare il poeta, Petrarca ad Arquà Petrarca. Ormai in età avanzata, lasciati i libri alla futura biblioteca Marciana, desideroso di quiete e frescura dopo una vita di viaggi per l’Europa e incarichi remunerosi, negoziò con i da Carrara la concessione di un buen retiro sui Colli e ne ricevette la casa perfetta, non grande ma nemmeno troppo parva, ma molto apta come disse quell’altro, un giardinello, paesello incantevole, vista eccellente, tutte le stanze perfette e le scale e i balconi pure, vi trascorse gli ultimi anni con la figlia e il nipote o i nipoti. La figlia, chiamata Francesca con evidente poca fantasia, l’ho già incontrata: è curiosamente sepolta nella chiesa di San Francesco a Treviso. Non curiosamente a Treviso, curiosamente che nella stessa chiesa sia sepolto anche il figlio di Dante, Pietro. Scriveva invece il padre, nel 1371 in una Senilis, «Mi sono costruito sui colli Euganei una piccola casa, decorosa e nobile; qui conduco in pace gli ultimi anni della mia vita, ricordando e abbracciando con tenace memoria gli amici assenti o defunti». Costruito forse no, il resto tutto vero.
Mi rendo conto di quanto la mia percezione di Petrarca sia diversa da quella di molti dei visitatori della casa. Mentre ne colgo il professionismo, l’abilità politica, l’assoluta padronanza della versificazione, in realtà per buona parte è il poeta dell’amore. E i muri attorno alla casa sono ricoperti di graffiti amorosi, peraltro tutti nella stessa forma: il cuore con le iniziali, quello per intenderci da albero, con talvolta la data. E devo dire che non mi dispiace affatto, viene abolita la prima persona, solo l’iniziale, in favore dell’entità comune, la somma dentro il cuore, un buon modo.
Val la pena raccontare ancora un paio di cose su Petrarca ad Arquà. Conscio delle cose della vita, fece testamento disponendo che il suo corpo, «reso vile dalla dipartenza di quella eletta scintilla che forma la parte migliore di noi», fosse sepolto «senza alcuna pompa, ma con ogni umiltà ed abbiezione» in un’umile cappella attigua alla chiesa. La pompa ci fu eccome e la cappella pure ma per poco, poi fu eretto un bel sarcofagone in marmo rosso di Verona sulla piazza della chiesa. E fino al 1630 tutto restò tranquillo.
In quell’anno, una bella compagnia di «persone assai corte di mente», tra cui anche il frate domenicano Tommaso Martinelli da Portogruaro, addetto alla direzione spirituale della parrocchia di Arquà, decisero di dare una bella occhiata nell’urna e, spaccato il marmo, pasticciarono i resti asportando parti del braccio e della mano destra, notevoli per uno scrittore poeta. Saputo del reato, la magistratura avviò le indagini e per determinare l’entità delle asportazioni fece riaprire il sarcofago, introducendovi un ragazzino dalla piccola fessura. Il quale ovviamente fece più disastro che perizia: «Le ossa del poeta ebbero assai più a soffrire per la constatazione del furto voluta dalla legge che per il furto stesso». Martinelli, condannato, si diede alla macchia e con lui il braccio destro di Petrarca. Nel 1843, il conte Carlo Leoni, storico ed epigrafista, finanziò il restauro del sarcofago e riaprendolo testò la tenuta del cranio che «non dava nessun indizio di sfasciamento, tanto che avendolo leggermente percosso colla nocca del mio dito indice rispondeva col suono della più perfetta adesione delle sue parti» e visto lo sforzo ben pensò di tenere per sé una costola e un pezzetto di tunica. Nel 1855 le autorità austriache ordinarono la restituzione di quanto prelevato e la tomba fu di nuovo aperta. Ma non basta: il 6 dicembre 1873, in occasione del quinto centenario dalla morte del poeta, il docente di anatomia comparata e fisiologia generale all’Università di Padova Giovanni Canestrini riaprì il sacello e dichiarò che il cranio di Petrarca andò in frantumi non appena toccato, tanto da non poterne trarre un calco, e che le ossa mancanti dallo scheletro erano due vertebre dorsali, il coccige, una costola, l’omero destro, l’ulna destra, 68 ossa piccole di mani e piedi. Ah, Martinelli. Nel 1943 l’intero corpo fu prelevato e spostato a Palazzo Ducale di Venezia, nascosto sotto lastre di marmo causa bombardamenti e, a guerra finita, ricollocato. Con l’occasione del settimo centenario, il 18 novembre 2003 l’anatomo-patologo Vito Terribile Wiel Marin – un nome da film di Balasso – e la sua équipe riaprirono, ancora, la tomba ed esaminarono i cocci del cranio con il metodo del radiocarbonio. E vualà la surprais: un cranio antecedente a Petrarca di almeno un secolo se non due e, meglio ancora, un cranio di donna. Ottimo. Quindi? Quindi con grande probabilità il vile Canestrini sostituì il cranio del poeta con un altro, antico perché non voleva dare nell’occhio, rompendolo o avendolo già rotto, e portandosi via l’originale prezioso. Ne trasse il calco che fu poi ritrovato nei sotterranei dell’Università e che più o meno corrisponde alle misure dichiarate da lui stesso e grazie al quale noi oggi supponiamo di conoscere la fisionomia di Petrarca. Dove sia finito il cranio, nessuno lo sa. Nella tomba riposa, diciamo, quindi un ircocervo, una chimerica assurdità con corpo parzialmente del poeta e testa di donna, risultato della instancabile azione degli uomini vuoi per ammirazione, avidità, stupidità, scienza, lettera e testamento. Ma, come disse lui, è solo il corpo «vile», senza «la parte migliore».
Io i pretesti son bravissimo a inventarmeli e così è anche stavolta: Suzanne Vega un anno dopo, però in un posto strepitoso, un’ex-cava sui monti Euganei, formalmente Monselice.
I monti Euganei sono una bignolata di coni vulcanici disseminati nella pianura più piatta, niente a che fare con morene o residui glaciali, qui si parla di un fondo del mare, una volta. Sono bellissimi e non lo scopro oggi io, i patrizi patavini e ancor più su veneziani lo sapevano benissimo, Petrarca pure, i vescovi di Padova altrettanto e gli uomini che scheggiavano selci da queste parti non erano da meno. Certo, è Veneto, quindi insieme zone meravigliose spesso sfruttate da sèmpi, senza criterio. Perché oltre a tutto, essendo vulcani, ci son pure le acque calde e con esse immensi albergoni abbandonati, testimoni di cure e soggiorni termali benefit della borghesia d’anzianità, col beneplacito dello stato nascente.
Galzignano, Battaglia, la leggendaria Abano, tutte terme. Venni una volta a vederla con mio padre, si prospettava un periodo di cure, scappammo a gambe levate, preferendo piuttosto soluzioni tentacolari col logorio. Ma sono i posti in sé, alcuni, non i colli, che vale la pena invece girarseli. Il senso, poi, dei Colli aveva ancor più senso perché erano raggiungibili via acqua, il che rendeva non solo per i padovani facile la cosa ma, di conseguenza, anche per i veneziani, distanza breve anche da là. Una breve remata dei servitori ed era Catajo, Valsanzibio, Praglia, ovviamente Este, Saccolongo, la scamozzata delle sette chiese e avanti così, e Cornaro, Emo, Obizzi e facciamo notte. Oggi poi ci sono i veneti produttivi che, nonostante ci si siano provati con la pervicacia che li contraddistingue, non sono ancora riusciti a rovinare tutto e a musealizzare l’esistente con inserti di cemento armato e serramenti in alluminio pensando di essere Carlo Scarpa.
Sorpresa piacevole, la mattina dopo, incontro nella sala colazione Gerry Leonard, cortesi cenni del capo di saluto e gratitudine, per poi incrociare anche lei, Suzanne Vega, idem. Non è che abbia poi granché da dire, intendo io, se non una generica riconoscenza per una carriera prolifica fatta di canzoni che mi piacciono. Ma fa piacere il saluto vicendevole, così potrà dire agli amici di avermi incontrato. Dando corso al mio progetto di fine settimana sui Colli Euganei, seguo l’indicazione della mia guida spirituale, del maestro, di colui che mi indica la via, che alla domanda su quale sia il suo rifugio dello spirito risponde: «Non riesco mai a trovarne in città abitate; per me qui è il Monte Venda nei Colli Euganei». E io su, dritto al Monte Venda, come il migliore dei discepoli. Una volta ho diviso un piatto di risotto agli asparagi con il mio maestro DDP ma questa sarebbe un’altra storia. Al Monte Venda, presto. Spirito perché in cima, oltre a una base militare NATO e ai ripetitori che permettono di vedere ‘L’Eredità’ a tutto il nord Italia, si trovano i resti di un’importante abbazia olivetana del dodicesimo secolo e là vado, perché il maestro me l’ha detto.
Un po’ anche perché è la cima più alta di tutti i colli e io devo sempre andare nel posto più alto, più lontano, più difficile. Quindi, come Petrarca, di casa qui sui colli, nella sua familiaris racconta la sua ascensione a Dionigi da San Sepolcro, «Oggi spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul più alto monte di questa regione, chiamato giustamente Ventoso», posso io oggi dichiarare alla stessa maniera, immodestamente, «Oggi spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul più alto monte di questa regione, chiamato giustamente Venda». Buffoncello. Poiché «l’ostinata fatica vince ogni cosa» e nonostante un caldo ribaldo e nonostante io non abbia un fratello virtuoso che salga per la via più impervia a insegnarmi le cose della vita, arrivo su anch’io, da solo solingo che anima viva non si coglie, tranne due coppie di civili che hanno vinto tutte le lotterie del mondo, gestendo per conto dell’esercito l’abbazia e che colgo intenti a pranzare sotto le piante belli ventilati. Due ore dopo, quando ridiscendo, il loro pranzo è ancora in corso. Chissà se c’è un futuro Vannacci tra loro, mentre l’altro disgraziato si balocca in queste ore a Strasburgo, che vergogna. A questo penso mentre scrivo queste righe, non solo. Mi godo parecchio il posto e la vista, altroché.
Piglio su le mie, dunque, e scendo per tornare nel mondo reale che più velocemente non potrei, anche se ancora non lo so. Ma questo, domani, che ancora son turbato.
In un futuro distopico, il Vaticano ha scoperto come resuscitare le persone. Un prete incappa in una cospirazione che si nasconde dietro alle resurrezioni, probabilmente collegate a una serie di omicidi.
Omicidi che però ci sono le resurrezioni, attenzione. È ‘Resurrected’ del grande Egor Baranov, 2023.
E contrariamente alle attese, il gambetto alla francese funziona e la faccia di Bardella a sera è da incorniciare nella galleria delle soddisfazioni. “Alleanza del disonore” la chiamano Le Pen e il giovanetto e la destra tutta e in effetti il gioco delle devoluzioni dei candidati è un po’ al limite, l’avessero fatto loro forse avrei avuto a che dire. Ma loro son fascisti, è questa la differenza. Per cui la Francia va a letto che è a sinistra mentre si era alzata sicura della destra, vedi te la vita. Serve un’altra rassegna stampa, ancor più stavolta col risultato ribaltato. E la gente va in piazza, come mostra Libération:
Le Figaro fa più l’istituzionale, mostra la sconfittona di RN, “cocente”:
Il quotidiano liberale l’Opinion sottolinea la difficoltà di trovare una maggioranza, imparino da noi che siamo molto più bravi in questo, e sottolinea il carattere un po’ estemporaneo di tutta la vicenda elettorale:
La prima pagina più bella, insieme a Libération, è quella del cattolico La Croix, la Francia dice no a RN, con l’ennesima Marianna avvolta nel tricolore:
Les Échos è il principale giornale economico finanziario francese per cui registra i fatti apparentemente senza entusiasmi o mal di pancia:
L’Humanité, infine, giornale fondato da Jean Jaurès e da sempre vicino alle posizioni del PCF gongola non poco e sfodera per la prima pagina la grande onda di Kanagawa:
Beh, che goduria, esser certi del peggio e poi ritrovarsi del tutto in altra situazione. Sarà un pasticcio comunque, intendiamoci, l’operazione è stata spericolata – non per la prima volta, peraltro – ma ne è valsa la pena: all’angolo RN e con esso anche il governo italiano e la tronfia destrina europea, che perdono appoggi da qualche settimana. Su 151 ballottaggi tra la sinistra e il RN, i due terzi sono vinti dalla gauche, e su 131 ballottaggi tra macronisti e RN, nel novanta per cento l’estrema destra è stata battuta ed è anche sconfitta in 70 delle 75 triangolari. Stiamo a vedere, adesso servono alchimie complesse e difficoltose ma se non succedono scemenze se ne riparla alle presidenziali tra due anni e mezzo. Salùt e in culo ai lepenisti.
Dopo le europee, le elezioni politiche in diversi paesi europei, con la Francia domani, il panorama dei paesi meno ostili politicamente è in evoluzione. Se, appunto, Francia e Germania mostrano preoccupanti segni di orbanismo, e Ungheria, Italia, Paesi Bassi per dire tra i peggiori restano lì nelle paludi dove sono, ce ne sono altri che prendono pieghe diverse. La Polacchia, per esempio, che già da mesi ha svoltato, per loro e per fortuna nostra nell’UE, verso panorami più luminosi; la Gran Bretagna dopo quattordici anni ha liquidato i miserevoli conservatori e ha optato per una piena e chiara svolta progressista, a macerie ormai dappertutto.
Ora posso tornare con una certa convinzione e starci con soddisfazione, sperando che Starmer sappia il fatto suo come sembra. Tra i paesi che hanno preso una piega sensata, aspettare per vedere ma comunque meglio dei maledetti reazionari oscurantisti, la sopresa Iran: dopo la fortunata morte di Raisi a maggio, il medico progressista Massoud Pezeshkian ha vinto le elezioni, sconfiggendo l’orrendo conservatore Saeed Jalili. Intendiamoci, si parla dell’Iran, non è che uno faccia quel che vuole. La Repubblica Islamica dell’Iran è un’accidenti di teocrazia in cui comanda tutto la Guida Suprema Ali Khamenei, politica, religione, molto militari e sicurezza, oltre ad avere dalla propria le Guardie Rivoluzionarie, forzona militare dell’accidenti anche loro. E per presentarsi alle elezioni bisogna comunque andare bene a questi, il Consiglio dei guardiani, composto da 12 membri, sei religiosi e sei giuristi, figuriamoci, esaminano i candidati e hanno comunque approvato Pezeshkian, eliminandone prima, attenzione!, 74. Quindi non è che uno adesso possa togliere Khomeini dalle aule di scuola, così debbotto. Però è un approccio nuovo, non cambieranno gli obbiettivi, almeno ufficialmente, ma cambieranno i modi per evitare la tensione continua con l’Occidente e con i paesi mediorientali, si spera, soprattutto con quei rompicoglioni degli israeliani. Mostafa Khoshcheshm, professore alla Fars Media Faculty di Teheran, ha detto ad Al Jazeera: «Dal punto di vista strategico la politica estera dell’Iran rimarrà la stessa, ma dal punto di vista tattico potrebbe essere diversa. Andrà nella stessa direzione, ma con un’intensità e un ritmo che potrebbero essere diversi».
Comunque, grande vittoria: il dottor Massoud Pezeshkian ha ottenuto il 53,3 per cento, circa 16,3 milioni di voti, battendo l’ultraconservatore niente-di-niente Jalili, 13,5 milioni di voti (44 per cento circa). Il che conferma, specie dopo le proteste dei mesi scorsi e dal 2022, che il regime conserva il potere solo con una feroce repressione e che i giorni, per quanti siano, sono contati. Da qui ad andarci a vivere ne passa ma considero la cosa, e la tentazione si fa più forte per ogni sieg heil di fratelli d’italia o per ogni sparata di quell’altro, vedi l’aeroporto intitolato al babbione, per ogni voto olandese dal 1973 a oggi.
Come da previsioni, larghissima vittoria dei laburisti in Gran Bretagna, come non se ne vedevano da Tony Blair ma nemmeno dal 1906, credo sia la peggiore batosta per i conservatori dell’epoca moderna. E del tutto non solo meritata ma pervicacemente cercata, portando il paese sull’orlo del baratro, ‘sti criminali minchioni.
Ho una certa voglia di rassegna stampa, voglio vedere come la stanno prendendo, là. A partire dalla prima pagina più bella, secondo me, il Daily Express che ammette e accoglie la sconfitta, decent and sincere:
Tra i locali, l’unico a dedicare quasi tutta la prima pagina è il Manchester Evening News che sottolinea l’urgenza del compito di Starmer:
Il Daily Mirror invece gongola, mattone per mattone:
Immagine del mattone ripresa anche dal Daily Record, scozzese, a fronte della sonora sconfitta anche degli indipendentisti del paese. Noto il possessivo our prime minister non da poco e mi fa sorridere l’elenco delle pagine dedicate, perché 2-17 chiaramente non riempiva la riga:
Il Daily Star conferma la fetecchia che è, sottotitolando una cosa del tipo: “Starmer inizia il lavoro facendo cose importanti”, lasciando poi spazio alle consuete notizie ben più importantissime:
Il Liverpool Echo, da sempre rivolto alle cose davvero fondamentali in città, il calcio, il fòball, il calcio e quella cosa contro i mancuniani, fa la battutona e unisce i rossi al governo ai rossi di casa:
Il Newcastle Chronicle va via pulito per essere un locale e segnala la vittoria popolare, facendosi scappare qualche soddisfazione:
Un po’ di quelli grossi. Ehm, nazionali. Il Guardian è ovviamente entusiasta e parla appunto di ‘valanga’:
Il liberale The Indipendent riporta invece la notizia in modo asciutto, tranne il carattere del titolo, pur segnalando anch’esso la valanga e giocando sulle due foto, chi entra e chi esce:
Il Sun, ahah da minchione qual è, ripiglia la stessa immagine e in modo del tutto irrilevante gioca di parole tra ‘here’ e ‘Keir’, il nome di Starmer, serve immaginare la pronuncia:
Ciò che conta è la seconda pagina, al Sun. Il Times, che è conservatore ma più decent, riporta fatti e dichiarazioni:
Non male la pubblicità ingannevole in fondo alla pagina. Segnalo infine la dichiarazione ufficiale di Rishi Sunak, premier uscente, magnanima e onesta insieme, che alla sconfitta ha dichiarato: «Sir Keir Startmer will shortly become our Prime Minister. In this job, his successes will be all our successes, and I wish him and his family well», i suoi successi saranno i nostri successi, visto il lavoro che fa. Non è nuovo, Sunak, a questa frase, già usata svariate volte. Ma è comunque un tono e un modo che da noi sarebbe davvero impensabile e questo mi dà anche stavolta da pensare. Avanti, dunque, adesso con la valanga e vediamo di fare le cose come vanno fatte. Amen.
Una giovane guida autistica di un museo vive secondo una rigida routine fino a quando non si innamora del suo collega e deve affrontare un vortice di nuove e intense emozioni.
È la trama di Goyo di Marcos Carnevale ma non è quello che mi interessa: semplice, senza fronzoli, dritta al punto, non convenzionale, coerente con la trama, è la locandina. Ben fatta, ben riuscita, complimenti. Unica pecca, del film e non della locandina: sarebbe bello, sorpresa!, se la guida autistica fosse lui e il (la) collega che la trascina nel vortice fosse lei. Invece no, sempre la stessa dinamica.
facciamo 'sta cosa
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