Ecco, la disfatta elettorale americana mi ha distolto dalla conclusione del minidiario giordano e, devo dire, reso piuttosto di cattivo umore. Ma le cose vanno concluse, va messo un punto per partire con altro. È chiaro che, come per l’Ucraina, per Gaza ora le cose si fanno difficili – ancora più difficili -, non a caso in Israele si è fatta festa per la vittoria di Trump, il carnefice criminale Netanyahu idem, era due settimane fa a casa Trump in Florida, dove ha passato la fine settimana, figuriamoci.
Scrivo ora da casa, ampiamente tornato: ne apprezzo il verde, l’erba, le piante, dopo molto molto seccume e deserto, sabbia e polvere, la terra promessa… Questa è una cosa che se uno non ci è nato, si fa fatica o, almeno, la faccio io. Per il resto, la domanda nello sguardo delle persone con cui parlo dopo il ritorno è: ma non è pericoloso? No, non lo è, le condizioni della Giordania sono più che sicure, proprio per quel trattato di pace ineguale con Israele che li mette al riparo da un lato e da una certa capacità di equilibrismo con gli altri paesi attorno che sono, però, genericamente arabi allo stesso modo. Di sicuro, un paese come la Giordania che campa di aiuti internazionali per le decine di migliaia di profughi che accoglie e, soprattutto, di turismo, la situazione attuale sta mettendo in difficoltà tutta l’economia dello stato e la condizione personale degli individui: guide turistiche, autisti, operatori, impiegati del settore, tutti quanti subiscono il calo superiore all’ottanta per cento del numero dei turisti, il che vuol dire non lavorare proprio. A Petra, dove dopo una certa ora non si cammina dalla ressa, non dico fossi da solo ma insomma poco ci mancava. E, ammetto, la cosa ha influito anche nella mia decisione di andare proprio ora.
Nel frattempo, ha nevicato nel deserto di Al-Jawf, in Arabia Saudita, di cui il Wadi Rum è la piccola estensione giordana. La notizia è pessima, è la prima volta a memoria d’uomo che la cosa accade ed è sintomo, l’ennesimo, di un cambiamento radicale che non va bene per nulla: correnti d’acqua e d’aria, temperature di terra, mare e cielo che cambiano e spostano equilibri che, a vita d’uomo, consideravamo immodificabili e che, in quel poco di tempo da cui esistiamo, ci hanno consentito di svilupparci nelle direzioni che conosciamo fino a oggi.
Certo, poi se si vota Trump… Sono partito con agenti Frontex a fianco, concludo con due funzionari di UNHCR, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, in attesa in aeroporto. Passano due caccia in cielo diretti verso est, va’ a sapere, e un elicottero dai colori militari volteggia attorno da un poì, anche qui chissà. Non sono i primi, ogni giorno o quasi è capitato, d’altronde le basi militari dei paesi colonialisti, come dicono qui, sono molto vicine. Succede un mezzo casino ad Amsterdam dove, pare, un gruppo filopalestinese aggredisce un gruppo di tifosi del Maccabi Tel Aviv e la cosa non è sorprendente: chi a Gaza ha perso tutto crescerà nell’odio più profondo per Israele, dato lo strapotere militare chi potrà esprimerà il proprio odio lontano, persone e luoghi legati al paese oppressore in questo momento, i quarantatremila morti in un anno sono un abominio.
Ora so molte cose in più di quando sono partito, e questo è già molto, adesso ciò che ho visto deve avere una rilevanza per ciò che sono e faccio, altrimenti non ha senso, è farsi viaggiare senza scopo: deve modificarsi di conseguenza il mio modo di affrontare le cose, di raccontarle e condividerle, come dopo ogni viaggio o persona rilevante incontrata. Guardo fuori, stanno arrivando gli storni come sempre fanno a novembre. Mi piace guardarli volare, non sono sicuro sia un novembre, questo, in cui fare degli auspici, meglio non fare domande di cui si temono le risposte.