Il primo che vedo è un grande film, ‘Il terzo uomo’ (The Third Man) di Carol Reed, del 1949. Bianco e nero clamoroso, sceneggiatura di Greene, l’idea di girare sulle macerie della cittù – impressionanti, varrebbe da sé come documento storico – bagnate così da moltiplicare le luci. Joseph Cotten arriva in città cercando di risolvere il mistero della morte dell’amico Orson Welles e del fantomatico terzo uomo, innamorandosi ovviamente di un’irresistibile Alida Valli. Famosa la battuta di Welles, pare improvvisata, sugli orologi a cucù svizzeri, poi redarguito dagli orologiai della Foresta nera.
Soprattutto, una magnifica colonna sonora, tutta alla Django Reinhardt, che conferisce qua e là un tono di ironia anche alle scene più drammatiche. Film molto bello. L’altro film è ‘L’altro uomo’ (Strangers on a Train), di due anni successivo, di Alfred Hitchcock su sceneggiatura di un’esordiente Patricia Highsmith. Robert Walker propone a Farley Granger un doppio e reciproco omicidio di, rispettivamente, padre e moglie, così da disinnescare il movente. Walker procede immediatamente, insidiando poi Granger in maniera ossessiva perché compia il suo dovere.
La sceneggiatura avrebbe dovuto essere di Raymond Chandler, già assunto, ma non si intesero. Buon film, decisamente da Hitchcock, notevolissima la scena in cui Walker scoppia il palloncino del bambino prima dell’omicidio, tanto per far capire la cattiveria. Pure del buon tennis, qua e là. ‘Il terzo uomo’ è però di un’altra categoria.
Il finale sul viale del cimitero è davvero notevole. E piantiamola con questa cosa degli spoiler, quando è cominciata questa ossessione?
E proprio niente, faccio una foto da un posto (il post precedente), chiaramente un posto instagrammabile, e vualà, tutta la grande originalità e creatività sbattuta in piena faccia:
Si potrebbe andare avanti per centinaia di schermate, diciamo che ho capito. Il punto, immagino, è testimoniare di esserci stati, in uno di quei cinquemila posti nel mondo dove c’è la photo opportunity, farla come va fatta escludendo il contesto e instagrammando e saturando la realtà, e via, verso uno snodo successivo della vita che vale la pena vivere.
Dopo Salò, la destra perde un’altra delle roccaforti simboliche del loro potere locale: Pontida.
Ci sono passato per la prima volta la settimana scorsa e in un bar sulla strada ho comprato una calamita da frigo del pratone del raduno. Non quella con le bandiere, non ho avuto cuore, ma quella con l’erba. Devo avergli sottratto potere, evidentemente. La calamita del comando, la cercheranno gli orchi. Il nuovo sindaco è laureato in Storia e sta facendo il servizio civile nella biblioteca comunale. Probabile quindi non abbia mai incrociato un leghista. L’anno prossimo sul pratone lissio e Contesse e in culo ai leghisti.
Niente, la maggioranza degli italiani aventi diritto non vota. Tutti idioti menefreghisti? La tentazione di risolverla così è forte, mi metterebbe anche in pace cone stesso sulla mia condizione di non idiota, visto che voto. Temo purtroppo non mi vada così liscia.
Nei giorni precedenti le Europee chiedo esplicitamente alle persone più vicine: voterai? Non è come fare domande sulle tasse ma da qualche tempo un po’ di ansia la genera. Qualcuno tentenna, si vede, qualcuno sceglie per la verità, qualcuno no. Poi non va benissimo, astenuti quello che manca tra 48,31%, i votanti, e cento per cento. Venti e rotti milioni di persone.
Questo è il dato complessivo UE. Meno interessante la distribuzione territoriale dell’astensionismo, non è che si noti alcunché di nuovo o imprevisto.
Mai una sorpresa in questo paese. Comunque, al giorno prima delle votazioni, sette giugno, il mio personale sondaggio interno tra le persone più vicine dà il seguente risultato: sei astenuti; tre uomini e tre donne; tutti ampiamente sopra i quaranta, una sopra i sessanta, uno i settanta. Motivo: cinque al mare, non insieme tra loro, non tutti, il sesto non si è premurato di chiedere dove votare, se nel paese di origine o in quello di residenza, entrambi UE. Tutti buona o alta o altissima scolarizzazione e tutti, senza eccezione, con consapevolezza e coscienza politica. E ultimo e peggio: tutti voti a sinistra. Persi.
Ovvio, ci resto male. E per qualcuno vola pure un vaffanculo. Ne avrò diritto, poi? Forse no, però diciamo che aver fatto qualche sforzo per accompagnare tre ultrasettantenni non esattamente deambulanti al seggio qualche prerogativa, forse, me la dà. O me la arrogo, perché ci credo. E poi qualcuno ha pure il coraggio di sostenere che siano i giovani a non votare, pelandroni disinteressati. Comunque, oltre a rimanerci male, non capisco. È un florilegio di: avevamo prenotato prima, è l’unico periodo possibile per andare, la mia amica, amico può solo in questo momento, nessuno azzarda le spiegazioni dei più giovani, tanto non cambia nulla. Come se il riposo dalla freneticissima vita lavorativa e non meno l’investimento per la camera d’albergo, il volo, il boccaglio costituiscano ragioni inoppugnabili, di per sé e ai miei occhi, che interrogo. Quello diviso tra i due paesi abbozza qualcosa su una qual disorganizzazione tra i paesi, pur non avendo fatto alcuna domanda. Il punto è che questi, a sinistra, li abbiamo persi. Se ci sono, votano. Se è comodo, eccome. Ma se è giugno, o settembre, o c’è la sagra del pesce fritto a Porto Empedocle, o serve fare qualcosa per accreditarsi al voto, ciccia. Però il 28 maggio la maggior parte di loro, le donne direi per introdurre a questo punto pure una questione di genere, sono in piazza, il 25 aprile pure, le canzoni di Ivan della Mea le sanno. E allora? Forse sono le europee, alle politiche forse sarebbero andati. Probabile, visto che nel 2022 la percentuale di votanti fu il 63,91%, è di certo così.
C’è un però, però. Ed è un però bello grosso secondo me. Ritenere più importanti le politiche rispetto alle europee è frutto di una visione obsoleta e condizionata dalla propaganda locale. Proprio le stesse persone che lamentano un’Unione europea debole e poco integrata ritengono poi secondarie le elezioni stesse, quando invece nell’ottica dell’integrazione presente e futura è proprio il contrario: oggi le elezioni più importanti sono, appunto, le europee e le regionali, viste le deleghe poderose che anni di federalismo e localismo hanno garantito, sanità in primis. Per queste due serve votare veramente. Non per elezioni in cui il capo del governo gestisce sì e no un quarto della finanziaria e che, di volta in volta, avrà sempre meno capacità di intervento. Perché l’integrazione europea va giustamente in questa direzione. Certo, poi ci sarebbe da capire chi si occupi dei diritti, perché né di qua né di là, attualmente, ciò accade. Se poi votate Meloni, stiamo proprio belli freschi.
È con un misto di imbarazzo e vergogna che numerosi utenti rumeni in rete si stanno scusando a nome del paese per aver mandato al Parlamento europeo questa, ehm, tizia:
Si chiama Diana Șoșoacă, è un’avvocata e politica rumena e stupirà sapere, lo so, che sia di estrema destra, no vax, seguace di teorie anti-immigrazione del tutto sballate, antieuropea, filorussa e tutto quello di altro che la foto suggerisce. Com’era quella cosa del mondo vario? Tra le sue amene affermazioni, mi piace ricordare quella che diceva grossomodo: «Vaccinandovi resterete sterili per almeno tre generazioni» che so che non arriva subito ma poi lo fa con soddisfazione. Detto questo, chi è senza peccato scagli la prima pietra, non c’è paese europeo privo di colpe in questo senso, da Vannacci in giù, passando per Salvini, Berlusconi, Iva Zanicchi al nipote di Crosetto, Mussolini, quel pistola del leghista Ciocca con cartellino rosso e fischietto e avanti. Il che non toglie nulla, comunque, a Șoșoacă né al fatto che tutte queste figurine siano quasi sempre, invariabilmente, di destra.
Andando per confronto, perdono i verdi, -19 seggi, si confermano i socialisti, -2, perdono i liberali, -23 ed è il peggior risultato, aumentano i popolari con nove seggi in più, tiene la sinistra che perde un solo seggio. Ecco la comoda immaginetta comparativa ingrandibile.
Oppure qui. Data, quindi, la maggioranza di 360 più uno, tutto ciò che sta a sinistra di ECR, il Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei di Fratelli d’Italia, fa 489, più che sufficienti per costruire maggioranze. Certo, quando von der Leyen un minuto dopo la chiusura dei seggi dice: «Costruiremo un bastione contro gli estremisti da sinistra e da destra» sta dicendo non solo che non farà accordi con la sinistra, il gruppo The Left, ma sta dicendo anche a un certo tipo di destra, quella che ritiene più istituzionalizzata, ovvero proprio ECR, ci si può parlare.
In realtà, sempre parlando complessivamente, non è che ci sia stato tutto questo spostamento a destra, perché ECR ha solo quattro seggi in più e ID-Gruppo Identità e Democrazia, quello della Lega per parlare italiano, nove. La differenza è però che nei due paesi trainanti l’Unione, Francia e Germania, l’avanzata da destra invece si è vista eccome, con il Rassemblement national oltre il trenta e Alternative für Deutschland quasi al sedici, oltre ai Cristiano Democratici (CDU/CSU) di opposizione che da soli prendono quanto i tre partiti di governo insieme. Il che poi in ottica delle elezioni politiche a fine mese in Francia e un equilibrio instabile in Germania complicherà le cose. I cinquantaquattro ‘Altri’, cioè neoeletti senza appartenenza a un gruppo politico del Parlamento uscente, qualche peso sposteranno.
Leggendo, infine, le cose in chiave italiana, cosa poco interessante perché bisognerebbe smettere di farlo ma tant’è, sono ancora lette come elezioni di mid-term, vincono tutti tranne Cinque stelle, c’è poco da fare, e Lega, ma non abbastanza, forse, da mettere in discussione il segretario che non fa congressi da dieci anni. Anche se in termini assoluti conta l’astensione, Fratelli d’Italia, dato con il PD come vincitore in termini percentuali, in realtà ha ottenuto 6,6 milioni di voti contro i 7,3 milioni di settembre 2022. Vediamo come sarà la seconda parte dell’anno, alla luce dei rapporti con un’UE più interessata di prima a parlare con esponenti europei di ECR che è guidata, lo ricordo, proprio da Meloni.
A.P.T. è un’amica, testa pensante e leggera, presente politicamente, pronta a spendersi in prima persona da una vita. Come stavolta, in cui ha sentito la necessità di esprimersi pubblicamente:
Un discorso politico e civile chiaro, netto, senza sbavature. Come è lei. Non si faccia l’errore di considerarlo un consiglio della nonna, è un ragionamento chiaro, diretto e coraggioso. Non le si faccia torto, sia sottovalutandolo che non votando.
Ecco, il servizio è quasi finito, grazie. Mi sono tenuto in fondo i più belli, in fondo in fondo il più bello di tutti, ne valeva la pena. Citandomi, “fedele alle funzioni di servizio, l’Ufficio Analisi Elettorali, sezione Europea (UAE-E) di trivigante prosegue la sapida disamina dei simboli elettorali depositati per le elezioni di domenica prossima”, vabbuò. Ecco l’ultimo giro.
Anche il simbolo di Italia Moderata è l’ennesima volta che viene presentato, e il suo fondatore, socio unico, ispiratore e amministratore Antonio Sabella insiste nel ricordare, ci tiene, che il suo arcobaleno, poi copiato a mani basse, sia stato il primo di tutti e che nel suo caso alluda a un’alleanza con l’Alto.
Moderati son moderati, va detto. Anche nella scelta dei colori e delle scritte. Forse più Italia Modesta, ecco. I penultimi due, che vanno necessariamente affiancati. Quello a sinistra è il simbolo di un partito, il Partito pirata italiano, che cinque anni fa si era presentato apparentandosi con il Partito Pirata Europeo, evitandosi così l’onere della raccolta firme. Poi però hanno litigato e allora alcuni pirati italiani hanno costituito l’associazione Pirati che, richiamando lo stesso simbolo – nel tondo piccolo – si sono associati a quello europeo, tagliando fuori di fatto il primo soggetto. La domanda è: ma su cosa avranno litigato? P2P, protocolli, 1080 e 4k? Boh. E in che differiranno i loro programmi? Windows e Linux? La bandana allude alla Federazione dei Giovani Pirata, proprio detta così.
Ed eccomi alla fine e alla vetta, finalmente: il Movimento Poeti d’azione. Loro ci sono da parecchio e lo stesso accostamento da molti anni dei poeti all’azione, non esattamente l’immaginario più diffuso, forse Foscolo e qualche cavallo, Byron, solitamente stanno al tavolo incatenati e ingobbiti. La penna e la spada difendono un tricolore da confezione di affettato – prodotto italiano, quasi – e riportano il nome unico dei poeti: Alessandro D’Agostini.
Anni fa presentò il movimento Giovani poeti d’azione, giusto, poi è cresciuto anche lui e i Giovani sono diventati Poeti d’azione e basta, però maiuscolo. D’Agostini, ovviamente poeta pure lui, con afflato dannunziano spiega il senso: «i Poeti d’Azione credono che i poeti e gli artisti possano mettersi alla guida di un popolo come nella storia ci si sono messi conquistatori, re, rivoluzionari. Sarebbe la rivincita di una oppressione millenaria. La liberazione definitiva dell’uomo prigioniero nel mondo perché prigioniero di se stesso». E io sono d’accordo, guidatemi, o poeti.
E a tutti gli altri: andate a votare, santoddio. Eddai.
Sempre fedele bla bla bla funzioni bla bla servizio, proseguo la disamina dei simboli depositati per le Europee di sabato e domenica, sperando che il loro iddio guardi giù e li castighi come meritano. Avanti, che siamo quasi sotto, rapidamente. Perché, anche se non sembra, lavori di questo genere sfiancano: prima si ride, poi si abbozza e poi di intelligenza sparsa a piene mani se ne farebbe anche un po’ a meno. Andiamo, dunque.
La combriccoletta che deposita il simbolo di “Base popolare” dichiara: «Lo abbiamo fatto innanzitutto per avere una prima tutela giuridica per il nostro che è un simbolo nuovo; continueremo a usarlo più avanti per iniziative, guardando oltre le elezioni europee», quindi niente scheda stavolta ma, comunque, ci sono. Se il simbolo è nuovo, vecchi sono gli ingredienti: gli ex parlamentari Lorenzo Dellai, Giuseppe De Mita, Mario Mauro e Gaetano Quagliariello, l’ex presidente della regione Marche Gian Mario Spacca. Sai mai che poi si aprano spazi, meglio essere pronti. A me ricorda certe cassette che usavo negli anni Ottanta per registrare Duran Duran e Iron Maiden, capace che se mi distraessi li voterei pure, in nome di allora.
Il simbolo successivo è un casino: presentato da tal Antonino Iracà, ora tra i reggenti di ItalExit per l’Italia, dichiara il desiderio di libertà e di comunanza, “Insieme liberi”. Il problema è che lo stesso simbolo appare quasi identico – con la parte di “UscITA” nella metà inferiore – nel simbolo di Libertà, lista di cui è propulsore “Sud chiama Nord” di Cateno De Luca. Che è senza ombra di dubbio il simbolo più pieno, accatastato e riempito si sia mai visto. Un prodigio politico oltre che grafico, oserei dire anche fisico, ovvero l’attrazione di molteplici soggetti delle dimensioni di un nanosbirolo.
Lo vogliamo fare? Sì, lo vogliamo, li elenco tutti: Sud chiama Nord, nelle declinazioni “per le autonomie” e “De Luca sindaco d’Italia”, il predecessore Sicilia Vera, i Civici in MoVimento con Pirozzi, Confederazione Grande Nord, Popolo Veneto, Noi agricoltori e pescatori, Noi ambulanti uniti, Partito pensionati + salute, Sovranità [Marco Mori], il Vero Nord, il Popolo della Famiglia, Vita, Fronte Verde, Insieme liberi – UscITA, Partito moderato d’Italia, Movimento per l’Italexit e i simboli individuali di Capitano Ultimo ed Enrico Rizzi. Gira la testa? Già. Per riprendersi, uno semplice: il simbolo di In-pen-za! Di-den di Gianni Alemanno. Scherzo, Indipendenza!, il cui simbolo è stato disegnato dagli stessi due autori di quello di Alleanza Nazionale, non hanno né perso né mutato il tocco. D’altronde gli elementi obbligatori quelli sono, non c’è tanto da spaziare.
Indipendenza da che non è dato sapere, anche perché non si presentano stavolta, i tempi non sono ancora maturi. Un altro bello, con delle belle implicazioni: Partito animalista – ItalExit per l’Italia, sopra l’anima animalista che contiene i simboli della coalizione animalista europea Animal Politics EU – che però non è un partito europeo -, della tedesca Partei Mensch Umwelt Tierschutz e l’olandese Partij voor de Dieren. Sotto, sempre per lo stesso ideatore, Cristiano Ceriello, il simbolo ufficiale di ItalExit. Ed è già la terza volta che lo si incontra. La cosa promette bene, ancor di più sapendo che Andrea Perillo, membro del consiglio di reggenza di ItalExit per l’Italia, ha già depositato una memoria per contestare il Movimento per l’Italexit della lista promossa da Cateno De Luca.
Spumeggianti. Meno la Nuova Italia di Giuseppe Giovanni Grippo, con le sue venti stelle, boh, su bandiera italiana, spiga di grano ed Euro tridimensionale fluttuante. Niente a che vedere con la casa editrice, anche loro, o lui, chissà, restano a vedere con simbolo depositato, in attesa di tempi buoni per papparsi tutto. Solo che è dal 2004 che depositano e aspettano, io due conclusioni le avrei tratte.
E poi c’è chi vorrebbe la bici: nella prima ruota, Pensioni & Lavoro, partito creato quasi trent’anni fa da Ugo Sarao che si è inventato anche la seconda ruota, quella di Risveglio pubblico, ribattezzato per l’occasione Risveglio europeo, l’omino che si stiracchia. Il cartello sulla canna della bici recita: “… e si riparte”, insieme alla mappa vecchiotta sotto direi che mette le migliori premesse al futuro che potremmo desiderare.
Pedalare, adesso, verso l’ultima tappa.
facciamo 'sta cosa
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