vagolando poi capita di trovare una nuova patria

Come faccio spesso, vagolo per mappe osservando parti del mondo in forma stilizzata o realistica da satellite. Capito su un’isola di quelle sperdute, di quelle che festeggiano il primo dell’anno prima di tutti causa linea di cambio-data, di quelle che a guardare il globo terrestre da quel lato si vede solo oceano.

Lì nel mezzo c’è l’arcipelago di Kiribati e, in particolare, l’atollo di Kiritimati, il più antico e grande del mondo, noto anche come Isola Christmas, per qualche squilibrata ragione.

Ciò che attrae inizialmente la mia attenzione è un segno strano, grande, sul terreno: una frecciona crociata.

È parecchio grande, dopo lungo pensamento la interpreto come un segnale per gli aerei durante la seconda guerra mondiale, un grosso cartello segnaletico come ne esistono in altre parti del mondo.
Spostandomi un po’ a nord-ovest scopro il paesello in cui mi trasferirò senz’altro, perché dotato di aeroporto internazionale, di una storia interessante, di una chiesa da vedere, di un ambiente circostante incontaminato:

La chiesa, che sta su Main Street, ovvero la strada principale, ovvero lo stradario è così ricco che non serve nemmeno darle un nome specifico, è il punto nevralgico del villaggio e ha evidentemente la palestra, che è un po’ la cosa più importante. Mentre comincio a sbrigare le pratiche per il trasferimento e la richiesta di residenza, mi chiedo se non mi sentirò un po’ a disagio così lontano dalla civiltà e dalla vita metropolitana fatta di musei, cinema, teatri e persone. Per fortuna, scopro che a pochi chilometri, al di là del centro dell’atollo, la vita è frenetica:

Due in un colpo solo. Non bastassero loro, London e Paris con la classica Manica in mezzo, c’è anche di più grande appena sotto:

Ottimo. Ma sì, certo, ci sarebbero un paio di cosine trascurabili di cui tenere conto prima del trasferimento, il fatto che gli americani fecero qualche test qua e là, 22 esplosioni nucleari di successo, e che gli inglesi tra il 25 aprile e l’11 luglio 1962 buttarono giù sull’atollo più di 24 megatoni idrogenati, niente di che.

Senza evacuare nessuno in ogni test, peraltro. Carini.
La bomba della foto fu attaccata a palloni per lo scoppio in quota e i palloni erano attaccati qui:

Ecco tre dei miei nuovi, futuri, vicini. Etnicamente vari come piace a me.
Mentre sto contrattando l’acquisto della mia casa a Banana, leggo piacevolmente alcune tra le recensioni della chiesa di Banana su Main Street

Il “bellissima esperienza ma non la ri-farei” suona tanto come il “bella ma non ci vivrei” il che è impossibile, parlando di Banana. Ma io non mi faccio infinocchiare dalle recensioni di ignoti. Vado senza, però, chiedere dove sia il bagno.

appecoronati

Dopo la foto dei miliardari nerds allineati all’incoronazione di Trump, prosegue l’appecoronamento delle aziende tecnologiche americane al nuovo presidente, nel desiderio di assecondarlo in ogni modo e mostrarsi compiacenti a ogni suo volere. Anche i più sconclusionati, tra cui si annovera il ribattezzamento del Golfo del Messico in Golfo d’America. Le maggiori aziende produttrici di mappe online, ormai le uniche mappe disponibili o quasi, quando avrò a tiro una mappa cartacea del golfo guarderò, si stanno adeguando: Google per prima, inizialmente solo per gli USA – il che avrebbe avuto pure senso – e poi anche per il resto del mondo.

E così anche per noi, sebbene tra parentesi, il toponimo è cambiato. Molto non bene. Oggi si è adeguata anche Apple, altro colosso con proprie mappe, ed ecco il Gulf of America, prossimamente – è questione di giorni – con diffusione planetaria.

Openstreetmap al momento non registra la cosa per il semplice fatto che non indica i nomi delle acque.

Non è, ovviamente, per la cosa in sé, per quanto fastidiosa. Inquieta la rapidità con cui, aziende che durante l’amministrazione Biden avevano chiaramente preso una posizione inclusiva e progressista, esse si sono prontamente riallineate, mostrando palese sudditanza nei confronti della nuova classe dirigente. Va da sé che preoccupa per eventuali richieste ben più significative, come per esempio – il tema è di assoluta attualità – i dati sensibili che queste compagnie conservano e che dovrebbero proteggere. Peraltro, aziende che, come Google ed Apple, avevano fin dalla loro fondazione uno scopo altruistico e di diffusione della conoscenza e degli strumenti, vedi come vanno le cose? Erano altri tempi, altro internet, altra consapevolezza, altre persone, altre aziende. Il motto della fondazione di Google, tra l’altro, era proprio Don’t be evil, figurarsi.

Ovviamente c’è chi poi si sbizzarrisce.

Per fortuna?

accidenti tardivo per Wolfgang Becker

Già nelle prime ore di apertura dei varchi di confine migliaia di cittadini della Repubblica Federale Tedesca hanno compiuto nell’entusiasmo generale i primi passi nel nostro paese. E sono in molti a voler restare alla ricerca di un’alternativa all’insensata lotta per la sopravvivenza a cui si ispira il sistema capitalista, desiderosi di un mondo che rifiutando il carrierismo sfrenato e la schiavitù del consumismo, metta nel dovuto risalto i più autentici valori dell’umanesimo. Queste persone vogliono una vita diversa. Hanno compreso che automobili, videoregistratori e apparecchi tv non sono tutto e sono giunte qui per realizzare il sogno di una società fondata sul lavoro, sulla volontà, sulla speranza.

I tedeschi dell’ovest che scavalcavano il muro verso est alla ricerca degli autentici valori dell’umanesimo, finalmente liberi di abbandonare quel mondo pieno di prodotti e plastica, senza verità, questo fu Goodbye Lenin, il meraviglioso film di Wolfgang Becker del 2002, il suo picco artistico. Pieno di dolcezze e di umanità, di politica e di ironia («La sera del 7 ottobre 1989 svariate centinaia di persone si radunarono nel centro di Berlino per sgranchirsi un po’ le gambe. Rivendicavano il diritto di passeggiare senza muri fra i piedi»), di riferimenti cinematografici, Kubrick molto, una colonna sonora formidabile, di battute spiritose e commoventi («Ma la mamma non si svegliava. Neppure le soavi note del concerto tenutosi davanti al municipio di Berlino Ovest la svegliarono. Né si accorse della compravendita di mattoni usati più lucrosa della storia»), di Sigmund Jähn, di pisellini Globus, di marchi scambiati a due, è certamente tra i miei tre film preferiti di sempre.

Perché era così, io c’ero, me lo ricordo: «Venti di cambiamento soffiavano sulle polverose rovine della Repubblica Democratica. Venne la primavera che fece di Berlino il posto più bello dell’universo. Ci sentivamo al centro del mondo, dove tutto era sul punto di accadere e ci abbandonammo alla corrente», i nostri vent’anni, fu proprio quello il sentimento, un mondo aperto e libero, finché non ci sbattemmo la faccia, come tutti. Ma se Sigmund Jähn, il cosmonauta tassista presidente, diceva: «Questo non è certo il migliore dei paesi, ma i valori in cui crediamo continuano ad entusiasmare uomini e donne di tutto il mondo. Spesso abbiamo perso di vista i nostri reali traguardi, è vero. Ma ora ne siamo coscienti. Il socialismo non è nato per innalzare muri. Socialismo significa tendere la mano agli altri e insieme ad essi convivere pacificamente» era esattamente così, era quello. E uno stronzo dell’ovest si inventava che tutto ciò non aveva più valore.

Alex: Mocca-Fix?
Commessa: Fuori commercio.
Alex: Cracker Fillinchen?
Commessa: Non la vendiamo più quella roba.
Alex: Cetrioli Spreewald?
Commessa: Ma dove diavolo vivi, sulle nuvole? Moneta nuova, vita nuova, non mi dire che hai ancora lo stomaco di mangiare quelle porcherie!

Wolfgang Becker è deceduto a metà dicembre, accidenti di nuovo. «Mia madre sopravvisse alla Repubblica Democratica esattamente tre giorni» e «Il paese che mia madre lasciò era un paese nel quale aveva creduto e che io ero riuscito a far sopravvivere fino all’ultimo respiro. Un paese che nella realtà non era mai esistito, che per me rimarrà sempre legato alla memoria di mia madre».

(Photo by Peter Kramer/Getty Images)

Anna Schäfer [leggendo]: “Il maglione da voi contrassegnato taglia 48 ha una larghezza di una 54 e la lunghezza di una 38”.
Christiane [dettando]: “Riesce difficile capire i criteri da voi usati per misurare le taglie. A noi non risulta che a Berlino vivano esseri umani di forma rettangolare”.
Anna Schäfer [ridendo sotto i baffi]: “Questa si che è davvero buona!”
Christiane [dettando]: “Forse è proprio questa la ragione per cui sinora non siamo riusciti a portare a termine l’attuazione del piano quinquennale. Pertanto vi preghiamo di scusarci. Vorrà dire che, in futuro, cercheremo di essere rettangolari come richiesto. Saluti socialisti”.

accidenti, Marianne Faithfull

Di tutto il pezzo prima, Rolling stones e il successo londinese, so poco, troppo presto. Io la incontrai dopo, comprando gli LP di Broken English del 1978, A Child’s Adventure del 1983, Strange Weather del 1987, al cui tour si riferisce la foto qui sotto. Tutti bellissimi, in cui oltre a tutto il suo apporto nella scrittura fu fondamentale, è lì che mi ci sono affezionato.

(Rita Barros/Getty Images)

Fece anche l’attrice lungo tutta la carriera, cinema e teatro, anche qui io la ricordo per Irina Palm, mica banale prestarsi a un ruolo del genere. Molto inglese, poteva trasformarsi agevolmente in donna sofisticata e casalinga sciupata, andata e ritorno. «Ho abbandonato la scuola e sono diventata una cantante pop. Che non era quello che pensavo di fare nella vita. Avevo altri progetti. Iscrivermi a una buona università, Oxford, o magari Stanford in California. Volevo studiare letteratura inglese, filosofia e religioni comparate. Ma non era il mio destino. Invece di andare all’università sono entrata in studio di registrazione, e ho fatto As Tears Go By». Già, è proprio come è andata. I dischi però restano.