figli di cotanto padre
Per l’ora dell’aneddoto, oggi: i figli d’arte.
Non tutti, anzi, è bene restringere la categoria: musicisti figli di musicisti. La legge del buon senso vorrebbe che un figlio di musicista si cimentasse in altro, magari in una delle sei arti restanti, poiché non essendo l’ispirazione musicale trasmissibile o contagiosa, è improbabile che si replichi la magica combinazione. A maggior ragione se le doti del padre sono eccelse, il consiglio sarebbe quello di darsi ad altro, evitando così anche le implicazioni psicologiche ed emotive della vicenda. Difficile, però, anche fare altro: un poverello che in casa ha respirato musica, insufflato musica, assaggiato musica se poi si dedica alla ragioneria non sempre riscuote l’ammirazione paterna, così importante in un corretto sviluppo.
Fare altro, consiglio diffuso e condiviso che non viene però molto ascoltato: Cristiano De Andrè resta schiacciato ancora oggi dalla lunga ombra paterna, Sean e Julian Lennon non hanno mai sfondato, Zack Starck suona onestamente la batteria (ma, in questo caso, non era difficile raggiungere il livello tecnico del padre), Jakob Dylan fa musica onestissima ma un po’ dimessa, Eagle-Eye Cherry ha già problemi con il nome e sua sorella fu una meteora, tanto per citarne alcuni. E fin qui la musica leggera, per usare una catalogazione vaga.
Ma la storia non è nuova, per esempio: cinque figli di Bach (su venti!) decisero di essere musicisti e uno, Carl Philipp Emanuel Bach, divenne incredibilmente più noto del padre, ai suoi tempi. Venne però giustiziato dalla storia e dal tempo, visto che attualmente vende meno dischi del suo finto fratello P.D.Q. Bach, ultraburlone.
Ma il vero paradigma di quanto detto finora furono i figli dell’incommensurabile, nonché ingombrante come padre di riferimento, Mozart. Dei due figli superstiti, il primo – Carl Thomas – ebbe l’ottima idea di non fare il musicista e, anzi, di andarsene piuttosto lontano: andò a fare l’apprendista in una ditta commerciale a Livorno e il suo sogno non tanto segreto fu quello di aprire un negozio tutto suo. Bravo, dico io. Poi non ce la fece, causa soldi, e si trasferì a Milano a studiare musica, ahilui all’ombra del babbo morto. Ma il tentativo durò poco, mollò la scuola (era ormai grandicello) e fece il funzionario del vicerè di Napoli. Pur seguendo le rappresentazioni delle opere di suo padre, non tornò mai alla musica e visse lungamente e abbastanza felicemente, fino a diventare l’ultimo discendente della stirpe. Il babbo lo vedeva a teatro e, forse, non negli incubi, e il peggio che gli sia capitato di vedere furono le facce stranite di coloro che lo scoprivano figlio di Mozart.
Suo fratello Franz Xaver Wolfgang, sul quale pesava anche un pezzo di nome oltre che il cognome, fece invece testardamente il musicista. Risultato: visse l’intera vita nel terrore, e poi nella piena consapevolezza, di non poter raggiungere il livello del padre, il che lo rese perennemente insicuro, dubbioso e mortificato. Fu pure allievo di Salieri, il che – per i fan della versione cinematografica – appare un certo qual grado di smacco professionale (nulla di reale, in questo). Ebbe pure la sfortuna di nascere cinque mesi prima della morte del padre, motivo per il quale si dovette confrontare più con l’eredità artistica che con la sostanza dell’augusto genitore, il che complicava parecchio le cose. Compositore più che dignitoso, venne però schiacciato dall’eterno paragone e si dissolse in fretta, morendo a cinquant’anni tutto crucciato dalle ombre nella sua testa.
Valga per tutto l’epitaffio che si fece scolpire sulla lapide: “Che il nome di suo padre sia il suo epitaffio, giacché la sua venerazione per Mozart fu l’essenza della sua stessa vita”. Mamma mia, povero caro, che vita d’inferno. Forse se la scelse, incautamente, forse ne fu costretto, probabilmente non saprebbe la risposta nemmeno lui. Di certo, non si avvicinò mai, neppur lontanamente, alla metaforica uccisione del padre, il che – la storia insegna – di solito genera una bella frotta di casini (si noti, quindi, il gergo tecnico).
E così finisce l’aneddoto, le conclusioni a ciascuno in misura del proprio padre.
Il tema è affascinante, perchè ci sono curiosità mai chiaramente e definitivamente chiarite.
1. la genetica vince e i figli di talenti hanno comunque un talento?
2. che lo possiedano o no, il talento, il confronto con il genitore è impietoso e sfrantuma i maroni, pertanto vince la psicologia e un figlio non potrà mai essere all’altezza?
3. Arrendersi fin da subito e dedicarsi ad altra arte forse libera dell’uno e dell’altro. Ma libera davvero?
A me sembra che andare a fare altro (tipo il figlio di Hemingway a Lambrate) è a suo modo altrettanto geniale.
Esempi di musicisti figli ben riusciti? A me viene in mente solo Buckley…
Giudicare Buckley da un solo album da vivo e otto da postumo è difficile, non so se lo si possa considerare riuscito. O, almeno, io non lo considero tale.
Piuttosto, il padre di Mozart, Leopold, era ovviamente musicista, quindi bisogna trovare un capo e una coda.
Una coda geniale, concordo, è il figlio di EH a Lambrate, verissimo, il quale fa veramente tutt’altro e, a quanto si sa, felicemente.