l’attentato
Amsterdam, una notte del 1945.
Una SS percorre in bicicletta un viale alberato di una zona residenziale della città, quando due partigiani escono dall’oscurità e sparano due pistolettate sul nazista uccidendolo. Un ragazzino, richiamato dai colpi di pistola, si affaccia alla finestra e scorge il corpo sul vialetto della casa accanto alla sua.
Poco dopo, dalla casa accanto, escono due persone, un uomo e una donna, che rapidamente sollevano il corpo e lo depongono una ventina di metri più avanti, davanti al vialetto della casa del ragazzino; poi, sempre veloci, fanno lo stesso con la bicicletta e scompaiono nella casa accanto.
Il bambino, terrorizzato, corre a letto.
Poco dopo, il corpo viene ritrovato: arrivano i tedeschi e la prima cosa che fanno è fare irruzione nella casa davanti alla quale giace il corpo del commilitone. La casa del ragazzino. Arrestano i genitori e portano via anche il bambino.
Poi, spietati, bruciano la casa. Non basta ancora, il giorno dopo compiono la rappresaglia: fucilano i genitori del bambino, il quale – dopo alcuni giorni di prigione – viene affidato a un lontano parente.
Questa storia è vera.
Il ragazzino crebbe e, dilaniato tra propositi di vendetta e desiderio di comprendere, decise un giorno di andare a fondo del suo passato: riuscì a trovare uno dei due partigiani e a incontrarlo. Egli, ormai vecchio, gli raccontò della Resistenza, della sua compagna morta per le torture dei nazisti, del perché quella notte uccisero la SS.
Ma non poteva bastare: doveva trovare i suoi vicini, quei due che spostarono il corpo davanti alla sua casa, l’origine delle sue disgrazie. Li cercò e li trovò: un anziano professore di latino e greco in pensione e sua figlia, anch’essa insegnante. Andò a casa loro e si presentò, rivelando subito la sua storia, senza sapere cosa avrebbe fatto poi. I due, in un incontro drammatico e commovente, ricordarono quella notte, riaprendo un discorso che si era chiuso nel 1945, schiacciato sul fondo della coscienza e del ricordo. Ricordarono la paura, il terrore, la decisione presa in fretta di spostare il corpo per salvarsi, soprattutto il caso: il caso che li fece andare in una direzione piuttosto che nell’altra, il caso che fece mettere il corpo morto dinanzi alla casa del ragazzino e non davanti alla casa di un altro. Il caso, la rappresaglia, la violenza cieca, la guerra, la morte e la distruzione.
Tante domande si affollavano nella testa dell’uomo, il ragazzino di una volta, cui bisognava dare delle risposte. Le stesse domande che esigevano risposte in tanti altri casi: via Rasella, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, per citare solo alcuni casi italiani. Risposte. E lui se le diede. Comprese dove stesse la colpa, la colpa prima, non quella dell’uomo e della figlia, ma la colpa originaria, la violenza nazista senza codice morale sui civili e sugli innocenti, la colpa collettiva che sovrastava le colpe individuali, comprese le parti che compongono il tutto, vide il quadro finalmente chiaro, dopo tanto tempo. E il suo dolore trovò una spiegazione e un significato, la sua storia, un caso limite ma tragicamente comune, si ricompose e apparirono chiare le vittime e i carnefici. Dopo tanto tempo, ogni cosa aveva trovato il proprio posto.
Alcuni anni dopo, questa storia venne raccolta e narrata da Harry Mulisch, uno dei tre grandi narratori olandesi contemporanei, nel romanzo “L’attentato”, pubblicato da Feltrinelli nel 1986, e lo stesso anno ne fu tratto un film, “De aanslag (Assault – Profondo nero)”.
A certe domande bisogna sempre dare una risposta.
Storia come tante, come troppe, ne sono successe e continuano a succedere, in giro per il mondo.
Grazie di cuore per averla raccontata e per aver segnalaeto Mulisch, da tenere tra le cose da leggere!