camerata piede nero (fascismo interplanetario)
Nell’estate del 1924 alcuni vivevano con estrema preoccupazione l’ascesa del fascismo e le ripercussioni del delitto Matteotti, alcuni invece seguivano con entusiasmo l’arrivo di Sua Altezza il Principe Tewanna Ray in quel dell’Europa.
Le cronache impazzivano, e le donne pure, per quell’uomo aitante e bellissimo che si faceva chiamare con il proprio nome indiano, Cervo bianco, discendente dei capi indiani che avevano a lungo dominato le terre dei Grandi Laghi, sempre vestito come si conviene con penna e pipa fumante.
Mondano, colto, brillante, sempre disposto alle conversazioni eleganti, era venuto dalle praterie in Europa perché affascinato dalla cultura fascista: la sua tribù avrebbe presto vestito la camicia nera, in ribellione alla piatta democrazia dei discendenti di Washington, e le ingenti riserve di petrolio di cui egli disponeva sarebbero state a disposizione del Duce e dei suoi camerati.
Inutile dire che la borghesia fascista impazzì per il capo indiano-fascista: fece il giro di tutta l’Italia, partecipò a convegni e crociere, a spettacoli e a cene sontuose, il Duce stesso gli rese onori e simpatia traboccante a Palazzo Chigi, due aristocratiche signore di Trieste, fascistissime dalla prima ora, ovvio, lo ospitarono a lungo nel proprio castello ricoprendolo di soldi e attenzioni, disputandosi la sua vigoria al di sotto delle lenzuola.
E lui ricambiava: grandi manifestazioni di affetto nei confronti delle folle plaudenti, mance generose agli orfani di guerra, vigorose strette di mano e saluti a braccio teso ai gerarchi fascisti spuntati come funghetti all’ombra dei tronchi morti. A Firenze, addirittura, esagerarono e lo nominarono console ad honorem, a Venezia, a Fiume, a Bari, a Napoli, a Genova fu ricevuto e applaudito con tutti gli onori, in una tournée eclatante.
A Roma già sognavano succursali fasciste nell’America del Nord, tee-pee del Fascio e squadracce di cherokee picchiatori contro la demo-pluto-giudaico-crazia nordamericana.
Ripartì alla fine del 1924, lasciando dietro di sé uno stuolo di signore sognanti e di fascisti deliranti, tutti a ungersi con il miracoloso olio di serpente che tutto guarisce e che rende nero il cuore del giusto. Lo si rivide l’anno successivo a Bellinzona, un tantinello sciupato: dai e dai con le contesse e le crociere, si era beccato la sifilide. E la verve ne aveva risentito.
In Svizzera fecero un paio di accertamenti e lo arrestarono, processato per direttissima. Risultò infatti che il grande capo indiano, titolare di potere immane e di carisma immarcescibile, altri non era che un olandese spiantato piuttosto pratico della truffa e del raggiro, ricercato qua e là per numeri vari all’insegna della fregatura. Sua Altezza finì nelle galere svizzere e buona notte, più nulla si seppe dell’avventuriero, con gran dolore delle contessine vogliose sparse per l’italico suolo. La città di Firenze, alla chetichella, ritirò l’onorificenza e fece finta di nulla, come tanti altri camerati ancora scivolosi per troppo unguento miracoloso.
Troppo tardi, comunque: Cervo bianco aveva avuto i loro scalpi, e anche molto di più, e la figura da pirla era ormai di dominio interplanetario. Ma si sa, ad alcuni tutto ciò turba relativamente: si faccia finta di nulla e si prosegua, dunque, a moschetto ben ritto.
Questa non solo non me la sarei mai immaginata, ma avrei fatto fatica perfino ad inventarmela… Grazie una volta di più, Trivigante. Augh!
Bellissima (si fa per dire) storia! Peccato della magra figura fatta dai fiorentini: ma si sa, a Firenze fa buca.
Augh, per fortuna la realtà è sempre almeno tre passi avanti alla fantasia più sfrenata e ci dà modo di attingere a piene mani.
In questo caso, la storia attiene alla categoria “fascisti rincoglioniti”, ben sintetizzata da grandesacchetto, e alla stessa categoria appartengono i fiorentini della storia. Non tutti, quindi, solo quelli boccaloni.
A margine ma non tanto, per chi fosse interessato al genere e, magari, anche a considerazioni un pochino più stringenti, consiglio caldamente “Marcia su Roma e dintorni” di Emilio Lussu, Einaudi 1945 e 2002. Scritto meravigliosamente con spirito critico e ironico, racconta gli anni dal 1919 al 1929, anno del confino di Lussu a Lipari, ovvero gli anni dell’affermazione fascista, tra squadracce e capi indiani d’accatto.
Andrebbe letto nelle scuole.
Un grandissimo, Lussu. E a proposito di scuole, in quella del nord-ovest dove ho a lungo insegnato, in terza media proiettavamo sempre “Uomini contro” (il film da “Un anno sull’altipiano” che, insieme a “E Johnny prese il fucile”, dice secondo me sulla pazzia della guerrra più e meglio di mille trattati).
E i gagni, anche quelli che fino a due ore prima avresti strozzato volentieri, mi ricordo che quasi sempre, osservandoli all’uscita dal film, ti colpiva quanto erano diversi da com’erano entrati.
Non conoscevo “E Johnny prese il fucile” (Johnny Got His Gun), grazie siu. Terrificante ma necessario.
Darsi contro tra italiani e come pisciarsi addosso.