reintrodurre il duello a Montecitorio?

Il 6 marzo 1898 la contessa Cellere (mazzanti-viendalmare, molto eccitata) mise a disposizione il giardino della propria villa romana affinché il conte Ferruccio Macola, fondatore del Secolo XIX e deputato conservatore, potesse aver ragione – via duello – delle offese ricevute da Felice Cavallotti, il noto radicale garibaldino.
La ragione del contendere fu una notiziola riguardante una querela ricevuta da Cavallotti, pubblicata dal conte sulla Gazzetta di Venezia: all’epiteto “mentitore” lanciato dal deputato, Macola gli mandò i padrini, che chiesero giustizia mediante duello alla sciabola, non si sa se al primo o all’ultimo sangue. L’offeso di vent’anni più giovane, il radicale al trentatreesimo duello.
Tra la contessa tutta fremente per l’avvenimento e servitori vari in guanti bianchi, il duello si concluse al terzo assalto con un fendente tirato da Macola che raggiunse Cavallotti alla bocca e alla giugulare, causandone la morte in pochi istanti. Ma il vincitore non ne ebbe soddisfazione.
Alla morte di Cavallotti, un corteo lungo tre chilometri ne accompagnò il feretro, Carducci ne tirò una filippica funebre memorabile (“Lugete, Ausoni, doctae lugete Camenae!”) arrivando ad accusare Crispi come mandante dell’omicidio e sui banchi del parlamento si fece il vuoto attorno al posto del conte Macola. Il quale, del tutto isolato, nel 1910 arrivò a tirarsi una pistolettata alla tempia proprio sui banchi di Montecitorio (o a Merate, bene non si sa).

Duello esemplare perché fu l’unico, in quegli anni, a condurre a cadavere, causa non ultima anche la scelta delle armi: la sciabola tradizionale, infatti, se portata da mani inesperte è senza dubbio arma pericolosissima. Poiché tutti i duellanti del periodo ne erano consci, la norma prevedeva che il duello si svolgesse con una serie di assalti, messe in guardia, proclami e schermagliette, alla fine dei quali i contendenti si dichiaravano soddisfatti e, non raramente, uscivano a pranzo insieme, avendo pienamente rispettato le convenzioni sociali in uso.
Convenzioni, bisogna dirlo, largamente condivise al tempo, tanto che tra i soli banchi dei deputati si contarono innumerevoli duelli: Cavour, Barzilai, Belcredi, Bizzoni, Cavallotti, Bixio, Bonacci, Bovio, Cairoli, Ciano, Cicciotti, Colaianni, Conte di Torino, Crespi, Carducci, D’Annunzio, D’Arco, De Felice, Tommaso Villa, Zanardelli, Sonnino, Santini, Rostignac, Nicotera, Nigra, Minghetti, Ettore Ferrari, Giolitti, Depretis, per citarne alcuni coinvolti. Perché il duello implica l’onore, e l’onore è prerogativa dei gentiluomini.

Fattisi furbi, dopo l’epilogo di Cavallotti, i duellanti smisero la sciabola tradizionale per adottare la rigida spada Greco, la quale aveva due innegabili vantaggi: facile da essere governata, poteva ferire solamente di punta, arrivando al massimo all’omero e poco più; secondariamente, essa era prodotta dal famoso armaiolo Greco, appunto, che aveva bottega a due passi da Montecitorio. Comodo.
Vale la pena ricordare il duello tra il ministro della Guerra Mocenni e Salvatore Barzilai a porta del Popolo, che si concluse con dieci punti di sutura per il secondo e una fetta d’orecchio sul selciato; nulla di fatto, invece, tra Mussolini e Ciccotti Scozzese, essendo crollato quest’ultimo per insufficienza cardiaca al quattordicesimo assalto. Lo stesso D’Annunzio, coraggioso tanto quanto un gattino alla vista dell’acqua, sfidò Magnini e ne ricavò un cerottone alla tempia destra, di cui fece sfoggio per lungo tempo (e qui il paragone con l’attuale vien facile), mentre nel duello con Scarfoglio il tutto finì a gambe sotto il tavolo.

I reati “cavallereschi” in Italia sono stati abrogati dal codice penale nel 1999, a un pelo dal nuovo millennio. Essi risultano illegali in ogni parte del mondo tranne che in Paraguay, a patto però che entrambi i contendenti siano donatori di sangue. Che non si butta via nulla.

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