traiettorie/2: democristiani
“La corruzione è sempre stata compagna di strada dell’uomo. D’altronde, la stessa cultura cattolica ci insegna: senza soldi non si cantano messe. Pensiamo all’obolo di San Pietro. Il problema per noi politici, ma in generale per tutti coloro che amministrano la cosa pubblica, è gestire il proprio percorso verso Dio cercando una mediazione” (Paolo Cirino Pomicino, dal Corriere, 2007)
“Siamo diventati un Paese che non pensa, non cresce, non ha più speranza e affoga nella amoralità, che è peggio dell’immoralità” (Ciriaco De Mita, dal Corriere, 2010).
Partiamo in medias res: stronzoli.
Dopo il primo post, proseguo con la rappresentazione delle traiettorie politiche di certi fiorellini rari della politica italiana degli ultimi quarant’anni, cinquanta dai, allo scopo di preservarne memoria e di, chissà, riportare alla mente passaggi che si erano perduti. La teoria della faccenda l’ho fatta di là, nel primo post, non vorrei tediare.
Veniamo al dunque, quindi, Paolo Cirino Pomicino e Ciriaco de Mita:
E ora, i fatti notevoli: rimasti entrambi orfani in età matura della Grande Mamma che li aveva pinguamente allattati per vari decenni, consentendo loro di centrare numerose vittorie alla lotteria di Ministro e Presidente del Consiglio, si trovarono dopo il 1992 nella difficile situazione di dover mantenere il proprio ruolo di Ras a Napoli e ad Avellino. Perché, purtroppo, di terremoti in Irpinia ce ne sono sempre troppo pochi, e la vita – politica e non – costa. Il primo, Pomicino, dopo essersi accoccolato al caminetto di Mastella fu espulso dal partito con ignominia e, memore delle origini, decise di aderire a qualsiasi movimento politico o partito che avesse nel nome la parola “Democrazia Cristiana” (se questa non è dedizione…), riuscendo nelle mirabolanti imprese di tornare al Parlamento Europeo lui, emblema della corruzione e del facciadimerdismo, e di essere tuttora – attenzione! – membro del Controllo strategico della pubblica amministrazione del ministro Rotondi. Parrebbe una stronzata se non fosse vero. L’altro, quello che quando governava l’Avellino squadra di calcio stazionava perennemente in serie A e poi non la si vide mai più, perse la trebisonda, porello, e pensò addirittura di accasarsi nel centrosinistra. E la cosa gli riuscì per ben tre volte, senza che nessuno dicesse alcunché. Poi, storia recente, siccome qualcuno gli disse che non sarebbe stato ricandidato si offese molto e cambiò di nuovo partito, riuscendo – ma guarda! – ad andare anche lui al Parlamento Europeo. Dove, ovviamente, non ne mantengono memoria.
Poverelli, anche loro: entrambi più ambiziosi di ciò che raggiunsero ma destinatari di privilegi a dir poco immeritati, causa statura politica, umana e fisica piccoletta, da quando persero la mamma politica furono costretti a vagare di casa in casa per rimediare un pasto caldo e un giaciglio non troppo scomodo, loro che erano abituati alle riverenze e alle grandi torte in regalo. E così dovettero vendere fiammiferi agli angoli delle strade per sbarcare il lunario, prostituendosi – politicamente parlando, sia chiaro – occasionalmente per una fettina di torta piccolina. E’ giustizia questa? E’ riconoscenza?
No, non lo è. Ma la vita è dura per tutti, si sa. Triste destino dover fare i salti mortali per un tozzo di torta pastiera con i canditi.
Ma non siamo tristi noi, che proseguiamo verso altri sapidi racconti di traiettorie politiche, speranzosi in ben altro spasso.