monumenti (ai) caduti: mulazzo
Per la rassegna dei monumenti ai patrii caduti cui arrise la mano felice dello scultore, oggi è il turno di Mulazzo.
Grazioso borgo della Lunigiana, fu feudo dei Malaspina e, più che altro, baciato dalla presenza di Dante nell’aprile del 1306, che vi vide il cosmo e ci pensò su, scrivendone.
Meno splendido, anche Arturo Dazzi vi trascorse del tempo, dopo i fasti del Bigio e delle testone di Ciano che, ora, giacciono rispettivamente in un magazzino e in una cava; essendo scultore, qualche indizio ci avvicina al responsabile, forse, del monumento locale.
Alla composizione, dunque: l’uomo di spalle a sinistra che pare contare per il nascondarello in realtà è combattente che dona, o riceve?, una pagnuchina da una madre triste con bimbo aggrappato, mentre alle sue spalle e dietro il monolite si svolge l’azione: un uomo, parmi lo scultore con martello e scalpello, o pugnale e bomba a mano chissà, visto che ha in testa un cappello che pare infelicemente elmetto germanico, con lo scalpello cava fuori dalla muta pietra il ricordo e le fattezze dei poveri caduti, piuttosto deformi. Ricorda invero una certa scena di “Alien”, che se dico: “uccidimi” alcuni sanno ciò che dico.
Inquietante è la concatenazione di moti da luogo alla base, sangue>libertà>pace, che vien male a pensarci, data la categorica ineluttabilità del testo. Ma così non è, caro il mio scultore elmettato: dal sangue dei buoni vien, talvolta, la libertà ma, e sottolineo il ma, è solo con molto molto sangue dei cattivi che vien la libertà per davvero. Riscrivere, dunque: “Dal sangue dei cattivi la libertà per i buoni, dalla libertà per i buoni la pace per tutti”. Innegabile.
(grazie a mg).