Una galleria tra Reggio Calabria e Roma (1970)
E’ il 1970. Da luglio a Reggio Calabria è in scena la sommossa, guidata dai fascisti di Ciccio Franco al grido di “boia chi molla”, scatenata per motivi a dir poco ridicoli e poi degenerata in rivolta terrorista. Da una settimana la città è a ferro e fuoco, quando il 22 luglio scoppia una bomba sul treno Palermo-Torino, all’altezza di Gioia Tauro: il treno deraglia causando sei morti e cinquantaquattro feriti. I fascisti cavalcano l’onda, spadroneggiando sulle barricate e dai palchi dei comizi, mettono bombe dove capita – tra luglio 1970 e ottobre 1972 in Calabria si contano almeno quarantaquattro episodi dinamitardi di una certa gravità, di cui ventiquattro a treni, tralicci, rotaie e stazioni – e lanciano rivendicazioni confuse e populiste, approfittando della confusione. Il governo, imbelle, ci metterà quasi dieci mesi a reprimere la rivolta, prima inviando l’esercito e poi scendendo a patti e compromessi con i fascisti, ma soltanto la risposta degli operai metalmeccanici ed edili, scesi in Calabria nel 1972 per manifestare in massa, porrà fine alla sommossa: “e alla sera Reggio era trasformata / pareva una giornata di mercato / quanti abbracci e quanta commozione / gli operai hanno dato una dimostrazione”.
Gianni Aricò, Annalise Borth, Angelo Casile, Franco Scordo, Luigi Lo Celso, i cinque “Anarchici della Baracca”, erano ragazzi reggini di area anarchica che in quell’estate di quarant’anni fa fecero – come usava allora – controinformazione: si informarono, chiesero in giro, misero insieme i pezzi, fecero addizioni che a Roma avevano già fatto e scrissero una controinchiesta sulla strumentalizzazione fascista della rivolta, puntando soprattutto la propria attenzione sui responsabili della strage di Gioia Tauro. Pare che Angelo Casile avesse anche un elenco dei neofascisti che avevano rapporti con i colonnelli in Grecia. Ai primi di settembre del 1970 si misero in contatto con la redazione romana di Umanità Nova e con l’avvocato Di Giovanni, che seguiva la controinchiesta su Piazza Fontana, e decisero di partire per Roma, portando i documenti che avevano raccolto. “Cose che faranno tremare l’Italia”, dissero a parenti e amici.
Il 26 settembre, quarant’anni fa oggi, si misero in macchina tutti e cinque e partirono. Quasi a Roma, a Ferentino, si schiantarono di notte contro un camion fermo in galleria, a luci spente, sulla corsia d’emergenza. Inesperienza e velocità sostenuta, disse l’inchiesta, e bon, tamponamento fatale. La visibilità, però, era buona, niente traffico, la strada larga, e – soprattutto – nessun danno al retro del camion, piuttosto evidenti i segni sulla fiancata del camion e sul lato destro della Mini. I cinque morirono tutti, tre subito e due dopo parecchi giorni di agonia. L’aveva detto qualcuno, ignoto, che aveva telefonato la sera prima a casa di Lo Celso dicendo: “È meglio che non faccia partire suo figlio”, ma son cose che si sanno sempre dopo.
Mezz’ora dopo lo schianto sul luogo non arrivò la stradale ma la polizia politica di Roma, le perizie furono a dir poco sommarie, tutti i documenti a bordo della Mini sparirono per sempre, solo molto tempo dopo qualcuno rilevò che i due camionisti coinvolti nell’incidente erano dipendenti di Junio Valerio Borghese e che l’inchiesta sulla morte dei ragazzi fu condotta da Crescenzio Mezzina, poi partecipante a dicembre al Golpe Borghese.
Già, il golpe. Perché De Mauro era scomparso solo dieci giorni prima, i preparativi del colpo di Stato – secondo quanto testimoniarono moltissimi pentiti tra cui Buscetta – procedevano da almeno due anni e non fu certo, come ad alcuni piace far pensare, un golpe da operetta. E la ‘ndrangheta, i neofascisti del nord e quelli calabresi, le inchieste de “L’Ora” sull’intreccio tra mafia e politica, gli americani, Andreotti e le correnti DC, i missini, gli stragisti, le forze che si muovevano erano molte e potenti, cinque ragazzi su una Mini non avrebbero certo potuto cambiare lo stato delle cose. Però ci provarono, fecero la propria parte, ben sapendo i rischi che correvano perché ingenui forse ma stupidi no di certo, e inseguirono un desiderio di libertà e di giustizia cui bisogna rendere onore. La storia, alla fine, è tutta qui, persino troppo semplice per essere vera: cinque ragazzi volevano stabilire un principio di legalità, lottare per rendere noti fatti criminosi e per questo furono uccisi. Da chi, ancora, non si sa.
e alla sera Reggio era trasformata pareva una giornata di mercato quanti abbracci e quanta commozione gli operai hanno dato una dimostrazione
Un certo signor Antonio di Locri (che presumo essere questo signore) mi scrive in privato le seguenti frasi su questo post, che riporto qui:
“Mai lette così tante stupidaggini in così breve spazio. Un primato?
Certo, un primato dell’idiozia elevata a sistema (della politica e
della cosiddetta cultura della sinistra ciabattona e conformista,
strutturalmente incapace di usdare la testa). Buon sonno, signori
anarchici dei miei stivali.” (sic).
Forse voleva commentare.
Fatto sta che ovviamente non entra nel merito ma butta lì giudizi generici (mai letto così tante stupidaggini? Onorato, signor Antonio, legga di più) e – cosa peggiore – voglio pensare che la chiusa sia rivolta a me e non a Gianni Aricò, Annalise Borth, Angelo Casile, Franco Scordo e Luigi Lo Celso.
Faccia uno sforzo, signor Antonio, usi la testa lei che ne è capace e mi dica quali sono le stupidaggini, sia conformista anche lei e provi a scrivere due righe costruttive, su.
Non è difficile.
Ci provo e riprovo a usdare la testa. Ma proprio non ci riesco. Come non riesco a togliermi le ciabatte (quelle scamosciate col pelo, ché si approssima per il freddo).
L’acrimonia di Antonio da Locri, non stupisce peraltro, visto che, non troppo tempo fa, ebbero la bella idea di inaugurare (o meglio re-intitolare) questo:
http://it.wikipedia.org/wiki/Anfiteatro_Senatore_Ciccio_Franco
Da parte mia, un ringraziamento a Trivigante, ché ancora una volta illumina angoli bui della storia nostra, recente, o meno.
sempre mi piace leggerti amico, lo so che non c’entra niente e magari non è il posto corretto ma in questi giorni la vita è stata movimentata,tra l’altro la spagna alla sua quinta huelga general dall’inizio della repubblica è scesa per strada, la cosa strana pareva quasi non ci fosse un corteo.. nè un capo nè una coda, a caso sparpagliandosi in maniera rizomatica l’effetto è stato quasi più efficace, permettendo di confondere le forze dell’ordine e di arrivare dentro la rambla, mischiandosi ai turisti, divertente, gli occhi della gente disorientata che aveva perso la sua sicurezza e doveva per forza stare attento, le forze che si facevano degli scrupoli… cmq arrivando al punto sempre la stampa e propaganda mi sorprendono coniando una nuovo acronimo per i disturbatori li chiamavano:: elementi dall’estetica antisistema…
non ti suona divertente?
Ciao Pankh! Bella, l’idea rizomatica del corteo-non corteo…
(Come stanno, asine e asinelle?)