che dittatura, l’estate
Francesco Piccolo ha scritto per il domenicale del Sole un pezzo semiserio sull’estate che io, qui e ora, sottoscrivo in ogni sua virgola. Eccolo:
In estate si parla soprattutto d’estate. Ci si prepara qualche tempo prima, e il segnale è quando alla fine della primavera qualcuno ti chiede: che farai questa estate? Da quel momento in poi, si apre una voragine di domande e risposte. Poi arriva l’estate, in cui si fa quello che si è annunciato a centinaia di persone che te l’hanno chiesto. E infine c’è il ritorno a casa, con le domande che ti aspettano già al casello dell’autostrada: com’è andata questa estate? E si mettono in attesa di racconti dettagliati, ma soprattutto non vedono l’ora che tu dica: e a te? Per farti racconti dettagliatissimi.
L’umanità si può catalogare in molti modi, ai quali si può aggiungere il seguente: quelli che non vedono l’ora che arrivi l’estate, quelli che non vedono l’ora che finisca l’estate. Le due specie umane divise secondo tale criterio, si differenziano per un sentimento del tempo elementare: la prima ritiene che l’estate finisca troppo presto; la seconda ritiene che l’estate non finisca mai. Questi ultimi sono di meno, ma ci sono. Sono di meno, ma sono di più di quanti ne vengano censiti, perché si vergognano di esprimere il loro sentimento di impazienza, di noia. Si nascondono, come quelli che agli exit poll si vergognano di dire chi hanno votato per davvero, e rispondono ciò che immaginano faccia piacere agli altri. E infatti, quando qualcuno dice loro: quant’è bella l’estate, vero? Vorrebbero rispondere no, e rispondono sì.
Io faccio parte della seconda specie. Mi sono vergognato di dirlo per tanti anni, ma poi alla fine ho cominciato timidamente a fare accenni a una certa insofferenza, a un dispiacere. Questo non ha determinato nulla nella mia vita: perché i molti che amano l’estate non prendono minimamente in considerazione la possibilità che si possa pensare il contrario. Se lo dici, non ti ascoltano, o ridono e ti battono la mano sulla spalla per dire: stai scherzando. Così, da quando ho coscienza di far parte della seconda specie, non è cambiato nulla nella sostanza: dico cosa farò questa estate, passo l’intera estate da qualche parte al mare o in montagna, racconto cosa ho fatto questa estate, finisco perfino per mostrare le foto, se mi chiedono con insistenza di vedere le foto. Solo, che non sono contento.
A noi che non amiamo l’estate, sembra che il tempo di agosto duri circa otto mesi. Ci piace andare al mare. Il primo giorno, un po’ anche il secondo. Poi, basta. Perché in fondo, quando vai al mare, anche quando è un mare bellissimo come c’è in molte coste italiane, più che altro puoi farti il bagno. E poi? E quanto può durare un bagno? Facciamo mezz’ora, per esagerare.
No, facciamo di più: un’ora. E poi? Tutto il resto del tempo? Tutto il resto delle vacanze? Puoi fare soltanto altri bagni. Uguali. Ciò che rimane è disagio. Calore, sudore, scomodità, prestazioni, sabbia che si infila da tutte le parti o scogli che ti sfregiano per tutta la vita. In estate, poi, devi essere tu, ma migliore: più simpatico, più disponibile, più spensierato, più folle. Qualsiasi stupidaggine si faccia, ti guardano negli occhi e ti dicono: vabbe’, dai, siamo in vacanza… I giornali non si riescono a leggere; i libri si inumidiscono e si gonfiano. Poi ci sono quelli che non si possono nemmeno guardare perché appena usciti dal mare, completamente bagnati, si rotolano nella sabbia, e fino a quando non si vanno a risciacquare sto malissimo; e gli altri che se va un granello di sabbia sul telo urlano contro chiunque e stanno un’ora e mezza a sbatterlo e un’altra ora e mezza a distenderlo a terra allungando tutti gli angoli – inutilmente, tra l’altro. E alla fine c’è ogni volta qualcuno che, se viene il tempo brutto e le nuvole coprono il sole, dice: «lo sapete che così ci si abbronza di più?». E non ho mai capito chi è che ha messo in giro questa storia, e perché la gente ci crede e la ripete, e perché poi se ci crede fino in fondo non ci va in inverno al mare, invece che in estate. E poi gli altri ti chiedono continuamente di andare a fare il bagno, insistono, e anche se dici «ho mangiato, non posso», pare non sia più valido, eppure era bello quando da bambini ci dicevano che potevamo fare il bagno soltanto tre ore dopo averci lasciato mangiato non più di mezza pizzetta («sennò muori»). E gli ultimi cinque minuti li passavamo attorno all’orologio per aspettare che scoccasse la fine della terza ora e poi tuffarci in acqua, perché se ti tuffavi trenta secondi prima si bloccava la digestione e morivi. Adesso invece ti dicono che il bagno si può fare e non ti succede niente; ma tanto dicono addirittura che se i bambini mangiano le cose raccolte a terra, fanno bene, perché formano anticorpi. E tu non sai se devi addirittura dire a tuo figlio: guarda cosa c’è lì a terra, perché non la mangi?
Per quanto mi riguarda, passo tutta l’estate a sorridere a tutti per mostrare soddisfazione, perché gli altri sono felici se tu sei felice, in vacanza. Però nel mio intimo, passo tutta l’estate ad aspettare l’inverno. Sogno che venga buio presto, ripasso nella mente tutti i maglioni che ho, mi viene l’acquolina in bocca ripensando alle minestre, al brodo. Cerco di riprovare con l’autoipnosi quella sensazione di stare con la fronte appoggiata alla finestra mentre fuori c’è il diluvio, o il gesto di chiudersi il cappotto appena oltrepassato il portone di casa.
Passo tutta l’estate ad aspettare che arrivi l’inverno.
Non che ci si possa liberare alla dittatura di agosto; anche se gli esseri umani della specie che non ama l’estate, si pongono domande molto molto profonde, tipo: ma chi sarà stato il primo a decidere che bisognava andare in vacanza ad agosto? Attraverso quale processo evolutivo di questo primo atto si è arrivati all’ombrellone e alle sdraio? Cosa si pensa davvero di ottenere scappando per qualche settimana dalla propria esistenza?
«Anche se cambio luogo – anche se cambiassi mondo -, mi ritrovo sempre con me, con il solito me stesso», diceva Cioran. E lui, almeno, si ritrovava con Cioran.
Due (sole) peculiarità estive meritano apprezzamento:
1) la luce del sole fino alle nove di sera
2) le canottierine alle Feste dell’Unità (et similia)
Per il resto, sottoscrivo tutto.
Anch’io sottoscrivo. Agosto, poi, è la domenica pomeriggio dei mesi.
Ho sempre il dubbio, viste le opinioni in merito, che poi alla fine le vacanze agostane non piacciano a nessuno. E se così fosse, allora, la domanda unica e sola è: perchè? (gridato con urlo simil-adriana ed echeggiante nello spazio immenso).
Di Piccolo ho finito di leggere da poco “La separazione del maschio”, mi è piaciuto e pure parecchio. Ha uno stile molto asciutto e divertente, mi piacciono gli uomini che si prendono sul serio ma con riserva.
Soglia, sei molto poetico quando dici che agosto è la domenica pomeriggio dei mesi, verissimo e profondo.
Agosto mi angoscia, ma davvero davvero.
Luglio, invece, mi rompe le balle.
Che bello quando dice che pensa ai maglioni, alla pioggia e alle minestre.
Mi verrebbe da saltare in piedi e gridare “anch’io, anch’io, fratello! sono come te!!”.
Me ne sbatto delle convenzioni, non mi piace il vuoto pneumatico agostano e lo dico a tutti, sempre, e pensino quello che vogliono.
Vado a mettermi la canottierina e vado alla Festa dell’Unità.
Eheh.
D’accordissimo anch’io. Che però poco dopo il mezzodì dell’orribile domenica (=ieri) ho trovato la mia zattera salvatrice, eccola qua:
http://www.lafeltrinelli.it/products/9788858800263/Mondoviaterra/Cattaneo_Eddy.html
Il più libro che non è solo un libro mai capitatomi tra le mani. Appena l’avrò finito dovrò andare al Sert.
vanessa, infatti pensavo proprio a quell’angoscia che ti prende a volte la domenica pomeriggio, l’ever-spleen-day per altro tematizzato da un sacco di scrittori, non siamo soli né inventiamo niente.
ragazzi, voi non avete idea che cos’è in questi giorni la venezia agostana, na roba brutta, avevo anche cominciato due righe di post abbandonate poi come abbandono ormai da un mese qualunque tentativo di postare.
massimo rispetto per trivigante che non perde un colpo e riesce pure a conciliare quantità e qualità.
troppo buono, come sempre; in realtà, come si vede, vado anch’io di piccolo cabotaggio. Fortuna che ci siete voi.